Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c9
Seguito da un riferimento alla
necessità di sviluppare interventi di orientamento fin dalla scuola primaria,
l’estratto sopra riportato mobilita l’opposizione tra didattica «trasmissiva», da
«superare», e didattica laboratoriale, flessibile e capace di favorire l’esercizio
dell’autonomia individuale: il ruolo dell’orientamento è dunque anche quello di
sollecitare gli insegnanti ad abbracciare un’idea di scuola che ponga gli studenti e
le studentesse «al centro» dei processi di apprendimento attraverso azioni
pedagogiche «di sostegno
¶{p. 167}all’autostima, alle attitudini e
al riconoscimento dei talenti individuali» (p. 3). Sebbene il tentativo di
destabilizzare la forma scolastica tradizionale (trasmissiva, autoritaria,
disciplinante) possa costituire un’importante opportunità per attivare processi di
inclusione ed emancipazione sociale, questa operazione si definisce attraverso
linguaggi e pratiche che tendono a enfatizzare la dimensione competitiva di un
processo scolastico inteso come un campo di accumulo di competenze valorizzabili (si
pensi al frequente riferimento ai «talenti» o allo «spirito di iniziativa» nelle
linee guida, nel PNRR e nei documenti istituzionali
precedenti sopra citati).
3.2. «Problemi» e «soluzioni»
Riprendendo e sintetizzando
quanto già evidenziato nel Piano nazionale, le linee guida
elencano in modo esplicito i seguenti obiettivi: 1) ridurre la percentuale degli
studenti che abbandonano precocemente la scuola; 2) diminuire la distanza tra scuola
e realtà socioeconomiche, il disallineamento
(mismatch) tra formazione e lavoro e
contrastare il fenomeno dei Neet; 3)
rafforzare l’apprendimento e la formazione permanente lungo tutto l’arco della vita;
4) potenziare e investire sulla formazione tecnica e professionale. A questi
obiettivi si aggiunge un esplicito richiamo a incrementare il numero di laureati e
il riferimento costante alle indicazioni che provengono dalle istituzioni europee.
L’orientamento, come campo
pratico e discorsivo, è immaginato dunque come una soluzione a problemi che si
situano sia sul piano dell’equità sociale, sia sul piano della
crescita/competitività economica. Dalla lettura dei documenti analizzati, e ancora
una volta in continuità con la normativa precedente, le questioni sociali sopra
richiamate sono enunciate all’interno di una problematizzazione che le rende
passibili di soluzioni di tipo tecnico ed essenzialmente centrate sull’individuo. La
linea argomentativa, da questo punto di vista, è lineare: facendo leva sulle
capacità di «scelta consapevole» di individui, adeguatamente formati nella lettura
di sé stessi e del contesto formativo e lavorativo ¶{p. 168}in cui
si muovono, è possibile realizzare una canalizzazione più efficiente dei progetti di
vita che faccia corrispondere desideri individuali e necessità del sistema, i
talenti di ciascuno e la loro valorizzazione dentro l’attuale mercato del lavoro.
Allargando lo sguardo ad altri settori del welfare, questa prospettiva non
sorprende, in quanto in linea con le dinamiche di responsabilizzazione e di
attivazione che, fin dagli Ottanta, hanno spostato dai contesti sociali e
istituzionali all’individuo l’onere di adattarsi alle trasformazioni del mercato del
lavoro [van Berkel e Valkenburg 2007]. Inoltre, in ambito scolastico, questa
narrativa è l’altra faccia della medaglia rispetto alla tendenza verso un regime di
quasi-mercato dell’istruzione che, almeno a partire dall’introduzione della parità
scolastica, ha percorso sottotraccia gli ultimi decenni di riforme scolastiche, pur
in maniera decisamente meno radicale rispetto ad altri settori del welfare,
in primis la sanità (cfr. Bifulco, Polizzi e Turri in
questo volume). Le evidenze che supportano la nostra lettura del piano come insieme
di soluzioni individuali e individualiste sono disseminate in tutto il testo: dal
riferimento alla necessità di «un più forte accento sullo sviluppo delle competenze
di base e di quelle trasversali (responsabilità, spirito di iniziativa, motivazione
e creatività, fondamentali anche per promuovere l’imprenditorialità giovanile)»,
all’estensione dei processi di certificazione delle competenze nella scuola
secondaria di secondo grado che ha la finalità di favorire «il riorientamento e il
successo formativo» (pp. 3 e 4).
Tra le soluzioni proposte per
raggiungere questi obiettivi, esemplari appaiono due strumenti suggeriti dalle
linee guida: l’E-portfolio e la piattaforma digitale unica
per l’orientamento.
L’E-portfolio consente:
di valorizzare le competenze acquisite, di avere a disposizione le più importanti prove di una trasformazione di sé, delle relazioni con la cultura, il sociale, gli altri e il mondo esterno, a partire dal mondo del lavoro e del Terzo settore. […] Se l’obiettivo è l’orientamento, le strategie sono la personalizzazione dei piani di studio, l’apertura interdisciplinare degli stessi, l’esplorazione ¶{p. 169}delle competenze maturate anche in ambienti esterni alla scuola (p. 5, enfasi nostra).
Rivelando una sostanziale
continuità con il curriculum dello studente introdotto dalla
legge 107/2015 e con il precedente strumento del Portfolio, introdotto dalla ex
ministra Moratti (decreto legislativo 59/2004), l’E-porfolio punta a mobilitare gli
studenti in un processo di continuo accumulo e certificazione delle competenze
maturate (fuori e dentro la scuola) e di «valorizzazione» dei propri talenti
attraverso le scelte compiute in un’ottica auto-imprenditoriale
[1]
. Ma è anche uno strumento che ridefinisce la funzione insegnante che, da
un lato, deve svolgere la funzione di «tutor» o «consigliere» delle famiglie e degli
studenti e, dall’altro, ha il compito di rendere praticabile l’obiettivo di mediare
tra desideri individuali e richieste del sistema produttivo.
I docenti di classe delle scuole secondarie di primo e secondo grado, sono chiamati a svolgere la funzione «tutor» di gruppi di studenti, in un dialogo costante con lo studente, la sua famiglia e i colleghi, svolgendo due attività: 1) aiutare ogni studente a rivedere le parti fondamentali che contraddistinguono ogni E-portfolio […]; 2) costituirsi «consigliere» delle famiglie, nei momenti di scelta dei percorsi formativi e/o delle prospettive professionali, anche alla luce dei dati territoriali e nazionali.
Similmente, la piattaforma
digitale dell’orientamento dovrebbe costituire uno spazio in cui ciascuno studente
può accedere al proprio E-portfolio per poter consultare le competenze acquisite
durante il percorso scolastico ed extrascolastico e, dunque, «procedere a scelte
consapevoli sulla base delle competenze chiave, delle motivazioni e degli interessi
prevalenti» (p. 6), ma rappresenta anche un nuovo campo di attività e compiti per
gli insegnanti.¶{p. 170}
Ogni istituzione scolastica […] individua una figura che, nel gestire i dati forniti dal Ministero […], si preoccupi di raffinarli e di integrarli con quelli specifici raccolti nelle differenti realtà economiche territoriali, così da metterli a disposizione dei docenti (in particolare dei docenti tutor), delle famiglie e degli studenti, anche nell’ottica di agevolare la prosecuzione del percorso di studi o l’ingresso nel mondo del lavoro. In tale contesto le istituzioni scolastiche favoriscono l’incontro tra le competenze degli studenti e la domanda di lavoro.
Come evidenzia questo stralcio,
nelle sue interconnessioni con altre parti del documento e del PNRR, si esplicita in
modo evidente una spinta a un rinnovamento profondo nella funzione e nel ruolo delle
autonomie scolastiche (già introdotta, come si è detto, nella normativa precedente,
ma qui particolarmente accentuata). Le scuole acquisiscono il compito di raccogliere
dati sul mercato del lavoro locale e di «favorire» la collocazione occupazionale dei
loro studenti e studentesse. Un compito che assume la domanda di lavoro come un
riferimento chiave per definire le scelte degli studenti e le attività di
orientamento come dispositivi pedagogici attraverso cui favorire l’adattamento delle
aspirazioni e dei desideri degli studenti alle richieste del sistema produttivo
(locale).
4. Conclusioni
Dopo anni in cui il sistema
scolastico italiano è stato sottoposto a un sistematico sottofinanziamento e dopo una
pandemia che ne ha reso ancora più evidenti gli elementi di fragilità, soprattutto dal
punto di vista dell’equità, il PNRR avrebbe potuto costituire un’opportunità per
intervenire sulle sue debolezze strutturali. Tuttavia, se gli stanziamenti previsti
costituiscono una importante novità, in questo capitolo abbiamo mostrato che il piano si
muove, sia nel merito che nel metodo, perfettamente in continuità con la logica che ha
caratterizzato l’approccio delle politiche nel campo dell’istruzione a partire dagli
anni Duemila. In primo luogo, ¶{p. 171}il piano ripropone e cristallizza
una visione della scuola come un «servizio» a disposizione di studenti e famiglie per
accumulare competenze il cui fine è, in ultima analisi, quello di essere spendibili sul
mercato del lavoro. In questa chiave, ossia in una visione economicista in cui la scuola
è uno strumento di produzione di capitale umano e in cui gli studenti sono visti come
imprenditori di sé, sono inquadrati tutti gli interventi di riforma proposti:
dall’estensione del tempo pieno, al rilancio degli istituti tecnici e professionali,
alla riforma dell’orientamento, passando per le competenze digitali e in ambito STEM. In
secondo luogo, il piano si poggia per la sua attuazione su processi di regolazione e di
governance che, in continuità con il paradigma managerialista,
esasperano la dimensione competitiva del campo scolastico e dunque, il rischio di
approfondire le disuguaglianze tra scuole e tra studenti. La messa a terra della gran
parte degli interventi finanziabili passa attraverso una accresciuta
responsabilizzazione delle singole autonomie scolastiche nella mappatura dei bisogni,
nella progettazione, nell’attuazione e nella rendicontazione dei risultati: questo
rischia di ampliare le disuguaglianze tra scuole e tra territori [Viesti 2022] e di
sovraccaricare un corpo docente già in sofferenza. Mentre scriviamo, emergono elementi
di resistenza al piano, sia da parte di dirigenti scolastici, sia di insegnanti, che
riguardano, non a caso, il rifiuto a inviare candidature per ricoprire la funzione di
«tutor» richiamata nelle pagine precedenti. È presto per comprendere se tali resistenze,
nel quadro più complessivo di un sistema scolastico progressivamente indebolito in
termini di capacità amministrativa, costituiranno un ostacolo determinante
all’attuazione del PNRR. Tuttavia, è certamente plausibile che esse esprimano non solo
una (legittima) protesta sindacale, dal momento che le remunerazioni aggiuntive sono
giudicate troppo basse rispetto ai nuovi compiti richiesti, ma forse anche una critica
al paradigma educativo sottostante al piano, nella sua definizione della funzione
insegnante e, simultaneamente, di quella di studenti e
studentesse.
¶{p. 172}
Note
[1] Particolarmente significativo il richiamo, per certi versi sorprendente per la sua specificità, al compito per i docenti di aiutare ciascun alunno a scegliere «almeno un prodotto riconosciuto criticamente dallo studente in ciascun anno scolastico e formativo come il proprio capolavoro».