Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c2
Riconoscere l’importanza
dell’universalismo porta a delegittimare sempre e comunque gli interventi selettivi
rivolti
¶{p. 39}a sottogruppi di soggetti selezionati sulla base di
una prova dei mezzi? La risposta che darei è negativa.
Certo, la selettività comporta
numerosi rischi. Rischia di essere divisiva: nei termini di Rothstein [1998, 158,
traduzione mia], rischia di rendere «la discussione pubblica una questione di ciò
che la maggioranza ben adattata dovrebbe fare nei confronti degli “altri”, cioè
della minoranza socialmente emarginata». I servizi per i poveri, poi, tendono a
essere servizi poveri. Inoltre, proprio a causa delle differenze fra soggetti,
nessun processo di selezione sarà mai in grado di distinguere in modo preciso i
bisognosi dai non bisognosi. Essendo semplicemente impossibile cogliere il complesso
delle differenze, qualche bisognoso resterà sempre escluso mentre qualcuno meno
bisognoso potrebbe essere incluso. La selettività, infine, trascura le ragioni di
efficienza a favore di molte delle garanzie offerte dallo Stato sociale: è
focalizzata su chi sta peggio, ma anche i ceti medi potrebbero avere bisogno dello
Stato sociale, a causa delle tante incompletezze e inefficienze dei mercati
assicurativi negli ambiti della sanità, della non autosufficienza, delle pensioni e
della disoccupazione.
La selettività, tuttavia, appare
compatibile con l’universalismo, quando i rischi di non soddisfazione di capacità
siano limitati ad alcuni gruppi, i mercati siano sostanzialmente in grado di
provvedervi per chi ha risorse adeguate e non siano presenti rischi di peggioramento
della qualità per chi sta peggio. Un esempio è quello delle politiche contro la
povertà e un altro è quello delle politiche per l’abitazione. L’importante, inoltre,
è assicurare comunque spazi comuni atti a favorire il riconoscimento della comune
uguaglianza morale.
Incompatibili con
l’universalismo si dimostrano, invece, le politiche categoriali, intese come
politiche che selezionano sottogruppi di bisognosi, siano essi i poveri meritevoli,
anziché tutti i poveri, oppure i soggetti in grado di beneficiare delle agevolazioni fiscali
[9]
. Le agevolazioni fiscali sono risorse pubbliche (sono una spesa fiscale,
come ben esprime ¶{p. 40}il termine inglese di fiscal
expenditure) che permettono solo ad alcuni (coloro che sono in grado
di pagare, direttamente o indirettamente, per il tramite dei datori di lavoro) di
godere di coperture che sarebbe nell’interesse di tutti e tutte avere
[10]
. Il che pone più di una perplessità nei confronti delle prospettive di
secondo welfare, che si caratterizzino per l’utilizzazione
di fondi pubblici a beneficio solo di alcuni. Se il welfare ha a che fare con
diritti, i diritti vanno garantiti in modo universale. Il secondo welfare può
aggiungere, ma non a discapito di una fruizione disuguale dei beni e servizi oggetto
dei diritti.
Le politiche selettive
dovrebbero pertanto sempre basarsi sulla logica dell’universalismo selettivo,
includendo tutti coloro che sono privi delle risorse per accedere a determinate
capacità.
3.2. Legittimare i trasferimenti monetari
In questi ultimi decenni, non
solo in Italia, sono andate crescendo le domande di ridimensionamento dei
trasferimenti monetari, in particolare, se rivolti a persone in età da lavoro. La
sostanziale abolizione del reddito di cittadinanza a partire dal 2024 per i
cosiddetti «occupabili» insieme alla forte accentuazione della condizionalità per
chi è considerato meritevole di protezione sono l’esempio estremo di questo
ridimensionamento.
L’importanza dei servizi è
evidente. I servizi sono centrali per lo stare bene individuale e per lo sviluppo
del senso di comune appartenenza. La non osservabilità ex ante
di tutte le differenze impedisce, inoltre, una calibratura coerente dei
trasferimenti monetari. La fornitura di servizi rimedia a tale situazione: i
soggetti autorilevano le loro necessità accedendo ai servizi. I servizi poi sono al
cuore della prospettiva del social investment state, dai
servizi per la prima infanzia e la più complessiva cura ai servizi per l’impiego,
inclusa la ¶{p. 41}formazione nel ciclo di vita. Lo squilibrio
esistente nel nostro paese a danno dei servizi è, infine, evidente.
Riconoscere l’importanza dei
servizi non deve, tuttavia, portarci a delegittimare i trasferimenti monetari.
Disporre di un reddito decente è un bisogno che tutti condividiamo e che è
largamente indipendente dalle responsabilità individuali come i bisogni soddisfatti
dai servizi. Basti pensare al peso delle disuguaglianze di opportunità
intergenerazionali; delle carenze nella domanda di lavoro; delle regolazioni del
mercato del lavoro e degli schemi di governance delle imprese
(imprese, ad esempio, che esternalizzano, cedono rami di attività, trascurano gli
istituti di rappresentanza dei lavoratori sono imprese che favoriscono più povertà
lavorativa). Ricordo come garantire una base di sicurezza economica sia il primo dei
diritti di cittadinanza sociale marshalliana.
I fattori, casuali e di potere,
che influenzano la possibilità di avere un reddito decente influenzano anche la più
complessiva distribuzione delle risorse. Detto in altri termini, cruciali nella
determinazione di quanto si riceve sono le contingenze della domanda e dell’offerta
– una scoperta inattesa può rendere superfluo un lavoro in precedenza apprezzato
così come effetti gregge possono improvvisamente alzare la domanda di una data
prestazione – nonché la configurazione dei diritti di proprietà, degli assetti di
governance delle imprese e dei regimi di cura.
La definizione dei diritti di
proprietà e della governance dell’impresa investe la
regolazione dell’economia, da cui qui si prescinde. Persino in un contesto in cui
l’economia sia regolata sulla base di principi equitativi, dove siano, ad esempio,
presenti un salario minimo decente e forme democratiche di governance
dell’impresa, alcuni settori di mercato avranno, però, la fortuna di
ricevere di più ed altri di meno, alcuni lavoratori riusciranno a lavorare le ore
desiderate e altri no, alcune persone svolgeranno attività di cura per tutti utili.
E, comunque, oggi siamo ben lontani dal contesto equitativo appena prospettato. Se
così, resta giustificata una ripartizione fra tutti dei frutti comuni
dell’interazione di mercato e questa ripartizione richiede, appunto, trasferimenti
monetari.¶{p. 42}
In questa direzione, una via è
quella del reddito di partecipazione prospettato da Atkinson [1996]. Il reddito di
partecipazione è un trasferimento a base individuale erogato a tutti all’unica
condizione che si lavori o si sia disponibili a lavorare. Il lavoro è inteso in
un’accezione ampia inclusiva della cura al di fuori del mercato. È sottratto alla
condizionalità chi non sia in grado di lavorare. La presenza di un reddito di
partecipazione permetterebbe anche di attenuare il ricorso alle misure di contrasto
alla povertà le quali, nonostante i tanti benefici, comportano le diverse criticità
sopra rilevate.
Un’altra, ai fini soprattutto di
diminuire la disuguaglianza intergenerazionale nelle opportunità, è quella
dell’eredità universale, una dotazione di ricchezza incondizionata e universale
erogata a tutti i giovani e le giovani al passaggio all’età adulta, proposta dal
Forum Disuguaglianze Diversità [2019]. L’eredità può essere spesa come i giovani e
le giovani preferiscono ed è affiancata a servizi formativi sui possibili usi del
trasferimento, da attivarsi sia all’interno delle scuole sia dei servizi
sociali/delle agenzie per il lavoro, per raggiungere anche i giovani che abbiano
abbandonato la scuola. L’eredità universale integrerebbe le più tradizionali
politiche per l’uguaglianza di opportunità intergenerazionale, assicurando una base
universale di ricchezza a tutti e tutte, a prescindere dalla famiglia di origine.
3.3. Sperimentare nuove forme di «governance» democratica nei servizi
Nonostante l’impulso
all’amministrazione condivisa e, con essa, alla co-programmazione e alla
co-produzione, offerto dalla legge 328 del 2000 e alcune pregevoli esperienze
locali, due sono state le modalità preminenti di governance dei
servizi sociali negli scorsi decenni: le modalità amministrative top-down
e le modalità che si richiamano alla prospettiva dei quasi-mercati. La
prospettiva dei quasi-mercati include l’introduzione di remunerazioni incentivanti
all’interno delle organizzazioni pubbliche e l’estensione dello spazio
¶{p. 43}dei privati attraverso il ricorso a bandi ed
esternalizzazioni della produzione.
Entrambe queste vie presentano
diverse criticità. Le obiezioni alle modalità top-down sono
spesso richiamate nella discussione pubblica. Tali modalità implicherebbero
erogazioni rigide, uniformi, insensibili o, al meglio, scarsamente sensibili, alla
voce degli utenti dei servizi e paternalistiche. Enfatizzerebbero l’osservanza
formale delle procedure e l’impersonalità anziché l’attenzione rispettivamente ai
risultati e alla natura, inevitabilmente personale, delle relazioni. Questi rischi,
peraltro, erano già stati riconosciuti da Beveridge stesso.
I quasi-mercati, invece, sono
stati e continuano a essere oggetto di maggiore favore, nonostante la sentenza 131
della Corte costituzionale del 2020, che difende la possibilità di realizzare «in
relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato
non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà». Un esempio recente è la
legge 118/2022 (legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) che, su impulso
dell’Autorità garante della concorrenza, ha ulteriormente facilitato la concorrenza
con il SSN da parte degli operatori privati. Le criticità dei quasi-mercati,
tuttavia, sono molteplici. L’assenza di asimmetrie informative è essenziale ai fini
dell’allineamento fra interessi dei produttori e dei consumatori: diversamente, la
massimizzazione dei profitti comporta una riduzione della qualità delle prestazioni,
quanto meno della componente di qualità osservabile, una scrematura dei casi
trattati, con scaricamento sul settore pubblico dei casi più complessi e un
incremento della produzione lucrativa a prescindere dalle valutazioni di efficacia.
Le asimmetrie informative sono dilaganti in ambito sociale.
Inoltre, anche quando ben
funzionanti, i mercati forniscono singole prestazioni. Gli svantaggi sociali sono,
però, spesso connessi: contrastarli richiede interventi coordinati e integrati.
Cruciale, poi, è il ruolo dei determinanti sociali: vale a dire, molti svantaggi
dipendono dalla struttura socioeconomica. È nota, ad esempio, la dipendenza delle
attese di vita dalle condizioni di povertà e dalla qualità del lavoro
¶{p. 44}effettuato. La fornitura di prestazioni è evidentemente
impotente anche di fronte alle esigenze di modificazione di tale struttura. Persino
rispetto alle singole prestazioni, potrebbe essere insufficiente. In presenza di
barriere all’accesso (assenza di informazione, assenza di possibilità di muoversi…),
servono anche politiche attive capaci di «andare verso»/ricercare le persone in
maggiore difficoltà.