Lavinia Bifulco, Maria Dodaro (a cura di)
Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c2
La misura di Gini, infine, non informa su chi occupa le diverse posizioni, se siano, nel tempo, gli stessi soggetti oppure no, ossia se vi sia persistenza o mobilità e, in caso di mobilità, se la direzione sia verso l’alto o il basso. Nulla ci dice poi sulla mobilità intergenerazionale. Negli ultimi
{p. 34}decenni, ad esempio, abbiamo assistito allo scivolamento nei decili più bassi di operai e di impiegati, che prima occupavano posizioni più elevate, e abbiamo registrato segnali di minore mobilità intragenerazionale [Raitano e Subioli 2022] e di crescenti disuguaglianze intergenerazionali, nonostante i livelli di partenza già elevati [Cannari e D’Alessio 2018].
In sintesi, la stabilità della misura di Gini della disuguaglianza di reddito disponibile non deve portarci a trascurare un insieme differenziato di disuguaglianze socioeconomiche che quella misura non coglie.

2.4. I nuovi rischi associati al Covid

Il Covid ha accentuato e rischia di accentuare molte delle disuguaglianze appena indicate. Nonostante gli interventi realizzati abbiano aumentato la quota di reddito equivalente per il 10% di popolazione più povero, la povertà assoluta è aumentata (nel 2022 è arrivata al 9,7%) [4]
. La quota di reddito equivalente per i decili superiori al primo e inferiori al top 20% è, inoltre, diminuita e questa diminuzione rischia di comportare impoverimento, come alcuni studi recenti segnalano [Caritas 2022].
Si considerino, d’altro canto, i gradi di copertura dell’indennità di disoccupazione (NASPI) e della cassa integrazione guadagni (CIG). La NASPI è pari al 75% della retribuzione per le retribuzioni più basse e prevede una riduzione del 3% a partire dal quarto o dal sesto mese (a seconda che si abbia meno o più di 55 anni). La CIG permette un’integrazione del reddito sino all’80% dell’ultimo stipendio e ha un massimo che, nel 2023, è 1.321,53 euro. Avere una bassa retribuzione aumenta i rischi di povertà.
Aumenta anche la disuguaglianza di ricchezza. Come riporta Banca d’Italia [2022], la quota di famiglie indebitate {p. 35}è tornata ad aumentare (seppure la moratoria sui debiti introdotta durante la crisi abbia ridotto il peso delle famiglie finanziariamente vulnerabili, ossia, con un reddito equivalente inferiore a quello mediano e una spesa annua per il servizio del debito superiore al 30% del loro reddito). Al contempo, i soggetti non colpiti dal calo del reddito hanno incrementato i risparmi, data la generale caduta dei consumi durante la pandemia. Tra marzo 2020 e novembre 2021, 13 nuovi miliardari italiani sono entrati nella lista Forbes e l’aumento medio del valore dei patrimoni dei più ricchi è stato del 56%. I 40 miliardari più ricchi detenevano l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli italiani più poveri. Nel complesso, nel 2021, la quota di ricchezza detenuta dal 5% della popolazione più ricca è arrivata al 41,7% della ricchezza nazionale netta, mentre quella detenuta dall’80% più povero ammonta al 31% [Oxfam 2022].
La perdita di lavoro ha, inoltre, penalizzato soprattutto chi già aveva più difficoltà ad accedere al mercato del lavoro, giovani con contratti di lavoro non standard e donne aggravate dai carichi di cura. Spazi affollati e rumorosi, oltre a carenza di strumenti idonei, hanno generato disuguaglianze nell’accesso alla didattica a distanza. In ogni caso, la didattica a distanza priva di quanto solo la scuola può dare a chi è più svantaggiato, da pasti decenti nelle mense scolastiche alla possibilità di praticare la lingua italiana che in famiglia potrebbe non essere (ben) parlata nonché alla possibilità di rapportarsi ai mondi diversi degli insegnanti e dei compagni e delle compagne di classe.
Disoccupazione, inattività e carenze nel processo di apprendimento rischiano di generare «cicatrici durature» influenzando le traiettorie future di vita, dalle possibilità di lavoro alla salute. A quest’ultimo riguardo, va ricordato il generale peggioramento del benessere psichico per adolescenti e donne registratosi durante il Covid, i cui effetti rischiano di protrarsi nel tempo [Amerio et al. 2021].
Infine, rispetto alla salute, non vanno trascurate né le tante disuguaglianze nell’esposizione ai rischi di Covid né le tante disuguaglianze a carico sia di chi ha avuto la sfortuna di ammalarsi non di Covid durante la pandemia (ed {p. 36}ha dovuto rimandare gli interventi necessari) sia di chi si ammala oggi e deve confrontarsi con un SSN ulteriormente minato dalla pandemia [5]
.

3. Le sfide per lo Stato sociale

Contrastare il complesso di queste disuguaglianze richiede un insieme composito di interventi che vanno oltre le responsabilità dello Stato sociale. Richiede di riattivare un processo di crescita inclusiva che, grazie all’offerta di lavori decenti, possa contrastare l’insorgenza della disuguaglianza nel mercato. A tal fine, serve una politica industriale in grado di innalzare la produttività del sistema industriale, orientando le transizioni ecologica e tecnologica in un quadro di sviluppo territoriale coeso. Servono un salario minimo e politiche del lavoro tese alla valorizzazione di quest’ultimo. Servono dialogo sociale e governance democratica delle imprese. Serve, altresì, una coerente politica tributaria. In breve, economia e fisco devono fare la loro parte.
Ciò riconosciuto, lo Stato sociale ha un ruolo indispensabile nel contrastare le disuguaglianze di reddito e di ricchezza e nel realizzare le più complessive capacità, grazie all’esercizio delle funzioni di redistribuzione; di normalizzazione delle risorse nel ciclo di vita (grazie agli ammortizzatori sociali) e di investimento nella formazione fin dai primi anni di vita e nella conciliazione fra lavoro e cura, come sottolineato dalla prospettiva del social investment state.
A tal fine, tre mosse appaiono oggi particolarmente desiderabili: rafforzare l’universalismo; contrastare la delegittimazione diffusa nei confronti dei trasferimenti monetari per le persone in età da lavoro e sperimentare nuove forme di governance democratica dei servizi.{p. 37}

3.1. Rafforzare l’universalismo

Spesso sentiamo attaccare l’universalismo in quanto disattento alle differenze fra soggetti. Questa posizione va contrastata. Universalismo è concetto polisemico: il nucleo centrale di elementi che lo definisce, riassumibile nell’applicazione a tutte le persone del medesimo trattamento, può essere diversamente declinato [6]
. Chi lo critica assume una declinazione univoca di fornitura a tutti delle stesse risorse, a prescindere dalle differenze fra soggetti, ma nulla obbliga a tale definizione.
L’uguale trattamento potrebbe riguardare risultati che si vogliono raggiungere e questi risultati potrebbero essi stessi essere offerti in termini di opportunità come avviene nella prospettiva delle capacità. Ciò che conta, quanto meno in riferimento a persone in grado di intendere e di volere, è offrire la possibilità di raggiungere risultati, nel pieno riconoscimento del valore della libertà (e in ogni caso, deve valere l’uguaglianza di considerazione e rispetto). Focalizzarsi sui risultati obbliga esattamente a tenere conto delle differenze fra soggetti, riguardino esse le caratteristiche personali o il contesto socioeconomico in cui le persone vivono o nei termini di Powell, Menendian e Ake [2019, 5] «le strutture, le culture e le geografie». Emblematico è l’esempio di Sen della bicicletta. Se tutti siamo interessati al risultato della mobilità, non ha senso dare la bicicletta a chi non è in grado di usarla. Sarebbe uno spreco di risorse e sarebbe un’ingiustizia, poiché non si prenderebbe sul serio il diritto alla mobilità. O, passando ad altri esempi, un sistema di sicurezza sociale pensato per l’individuo maschio è cieco alle esigenze di chi ha responsabilità di cura, così come servizi pensati per i grandi agglomerati urbani non rispondono alle esigenze di chi vive nelle aree interne [7]
.
In ogni caso, non si faccia dell’universalismo delle risorse un cane di paglia. Nessun universalista delle risorse mai si {p. 38}è sognato di invocare l’insulina per chi non ha il diabete. Anche l’universalismo delle risorse riconosce, dunque, alcune differenze. E non si butti via il bambino con l’acqua sporca. Se qualificata all’interno di una prospettiva centrata sulla possibilità di accedere a risultati, l’uguaglianza delle risorse ha aspetti desiderabili, obbligando a riconoscere che le prestazioni offerte devono essere uguali di fronte agli stessi bisogni.
Si consideri la cura in presenza di non autosufficienza. Le condizioni delle persone non autosufficienti sono diverse e, proprio per questa ragione, sono auspicabili budget di cura/salute, un insieme di risorse diversamente spendibili a seconda delle condizioni (e delle preferenze) delle stesse persone non autosufficienti. Ebbene, un conto (apprezzabile) è garantire la possibilità di scegliere pacchetti di prestazioni diverse e un altro (non apprezzabile) è accettare differenze di qualità fra le prestazioni contenute nei pacchetti. Diversamente, ad alcuni sarebbe permesso di avere più degli altri per ragioni che nulla hanno a che fare con l’eterogeneità individuale. L’uguaglianza di risorse ci allerta dell’importanza di considerare l’uguale qualità delle risorse.
Inoltre, le preferenze non nascono nel vuoto. Il sostegno allo Stato sociale va nutrito attraverso un disegno istituzionale appropriato, capace di favorire il senso di appartenenza ad una comune uguaglianza morale. Il che appare particolarmente importante in società frammentate come le nostre. Servizi accessibili in modo uguale a tutti forniscono esattamente lo spazio comune dove i diversi interagiscono gli uni con gli altri. Una difesa importante della scuola pubblica, ad esempio, è ed è stata proprio quella di offrire uno spazio comune dove sviluppare relazioni fra uguali [8]
.
Riconoscere l’importanza dell’universalismo porta a delegittimare sempre e comunque gli interventi selettivi rivolti
{p. 39}a sottogruppi di soggetti selezionati sulla base di una prova dei mezzi? La risposta che darei è negativa.
Note
[4] La povertà relativa, dipendendo dall’andamento del reddito mediano, non è mutata: l’abbassamento della soglia di povertà porta con sé un abbassamento del numero dei poveri. Diverso è il caso qualora si utilizzasse una soglia ancorata a uno standard fisso in termini reali.
[5] Per un’interessante mappatura dei tanti rischi del dopo Covid, cfr. Stancheva [2021].
[6] Sul tema, cfr. la sezione monografica di Politiche sociali [2016] e Muñoz De Bustillo Lorente, Fernandez Macias e Gonzalez Vazquez [2020].
[7] Per approfondimenti, cfr. Granaglia [2022a].
[8] L’importanza degli spazi comuni per lo sviluppo del senso della comune appartenenza è stata al centro della difesa dello Stato sociale nella prospettiva di Titmuss e Tawney e più complessivamente del movimento Fabiano. Sull’importanza del disegno istituzionale ai fini dello sviluppo dei valori cfr. il recente Carrugati e Levi [2021].