Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c3
Un terzo elemento emerso
dall’analisi è il collegamento tra questi processi e una duplice crisi: da un lato
quella delle politiche di welfare, dall’altro quella del Terzo settore. La crisi del
welfare è declinata, classicamente, sia in termini economico-finanziari (rispetto
all’insufficienza della spesa pubblica) sia in termini di adeguatezza rispetto alle
trasformazioni sociali in corso (dall’invecchiamento della popolazione alla crisi
economica). Rispetto a questo scenario, sembrano emergere due orizzonti di possibilità,
non necessariamente alternative. Da un lato, il rilancio dei principi del welfare
sussidiario attraverso l’istituto della co-progettazione, con ampio spazio dato all’onda
lunga del dibattito regolativo conseguente alla riforma del Terzo settore (in
particolare la tensione e il conflitto tra co-progettazione e Codice degli appalti) e ad
alcune esperienze pilota annunciate o in atto a livello locale. Dall’altro, lo sviluppo
di maggiori capacità
¶{p. 64}imprenditoriali da parte delle cooperative
e imprese sociali e la diversificazione delle loro fonti di finanziamento grazie a
strategie di «ibridazione» con soggetti e logiche dell’impresa for profit, con la
dimensione «mutualistica» della cooperazione come nuovo valore aggiunto nella
competizione di mercato. La crisi del Terzo settore, che viene fatta risalire
all’assunzione di un ruolo meramente esecutivo e gestionale all’interno dei servizi
pubblici, viene vista secondo diverse angolazioni, ciascuna delle quali con il suo
specifico ruolo rispetto alla crisi del lavoro sociale: la rigidità delle strutture
organizzative e decisionali degli enti; la difficoltà a valorizzare il contributo delle
«giovani generazioni di cooperatori» (resistenza al ricambio generazionale delle classi
dirigenti).
Un ulteriore tema emerso, in parte
anch’esso riconducibile alla dialettica generazionale, riguarda le professionalità
emergenti nel settore con ai primi posti quelle orientate alla costruzione di comunità,
alla ricomposizione delle risorse, al fundraising e alla
valorizzazione delle nuove tecnologie. Infine, un discorso a parte meritano i richiami
periodici alla necessità del recupero della «dimensione politica» del lavoro e della
cooperazione sociale, ricostruendo la parabola della trasformazione della società
civile: da «spina nel fianco» del potere, a soggetto istituzionalizzato nella politica e
nelle politiche.
Pur trattandosi di punti di vista
che «complicano» il quadro interpretativo, offrendo uno sguardo critico rispetto alla
rappresentazione «angelicata» delle lavoratrici della cura fornita dai media generalisti
[Galanti 2022], non vi è tuttavia dubbio che importanti istanze ne restino escluse. È ad
esempio il caso della voce di soggetti tradizionalmente titolari delle questioni
relative alle condizioni di lavoro – sindacati e collettivi di lavoratrici – e, con rare
eccezioni, quella delle associazioni di utenti e loro familiari. Di conseguenza dai
testi analizzati emergono due elementi critici: in primo luogo un trattamento assai
generico del tema della regolazione del lavoro, con lo spazio, assai limitato e molto
parziale nei punti di vista, dedicato per esempio alle trattative per il rinnovo dei
principali contratti collettivi nazionali del lavoro che regolano il settore; in secondo
luogo l’assenza di ¶{p. 65}riferimenti a esperienze di lotta e
mobilitazione, che pure sono avvenute e altrove documentate: non solo dalle cronache di
vicende puntuali, ma anche da iniziative di giornalismo indipendente condotto da
operatrici stesse del settore
[1]
e da alcuni recenti lavori di ricerca accademica [Castellini 2021; Galanti
2022; Caselli 2022; De Angelis 2022].
5. Note conclusive
Complessivamente ci pare che i dati
presentati indichino alcune tendenze chiare e pongano diversi interrogativi sul welfare
del futuro. Innanzitutto la persistente marginalità degli investimenti sul lavoro nei
tre grandi settori della cura (pur con ovvie e importanti differenze tra uno e l’altro):
il riconoscimento che era stato rivolto alle lavoratrici della cura durante la pandemia
non si è in altre parole tradotto in significativi ripensamenti dell’assetto che il
regime di cura italiano aveva maturato negli ultimi decenni, né in investimenti per il
suo rilancio dal punto di vista quali-quantitativo (esemplari sono da questo punto di
vista i vincoli del PNRR); ci sembra pertanto di non registrare un’inversione di rotta
rispetto al ruolo dello stato e ai processi di marketization che
hanno investito il settore della cura, principalmente attraverso le dinamiche di
esternalizzazione dei servizi. In secondo luogo, l’emersione di un grande malessere sul
lavoro in tutti i principali settori della cura, con una quota crescente di lavoratrici
che si dimette per tentare strategie autonome di miglioramento. Come hanno mostrato i
dati, si tratta peraltro in maniera consistente di figure collocate nella fascia bassa
del settore in termini di qualifica e reddito. Infine, la difficoltà di affrontare in
modo unitario i diversi aspetti di questa crisi della cura e, in particolare, il
contrasto tra la debole visibilità dei ¶{p. 66}soggetti collettivi
impegnati nella tutela delle condizioni di lavoro a vantaggio di quelle rappresentazioni
che fanno delle lavoratrici del settore soggetti docili e/o schiacciati sulle istanze
dei datori di lavoro.
Nel contesto post-pandemico,
segnato da un ulteriore peggioramento degli indicatori sociali ed economici, per evitare
il rischio che la ricerca di migliori condizioni di lavoro sia unicamente affidata a
strategie individuali, con un ulteriore aumento delle disuguaglianze, è indispensabile
uno scatto in avanti della responsabilità collettiva, per un complessivo miglioramento
quanti-qualitativo delle condizioni di lavoro nel settore della cura. Questo obiettivo è
realizzabile attraverso una profonda revisione dei meccanismi macro-strutturali che
presiedono il funzionamento del welfare nel nostro paese e, in specifico, attraverso un
rilancio dell’impiego pubblico nei settori della cura e una profonda riqualificazione
del rapporto tra attori pubblici e privati. La perdita di competenze a cui stiamo
assistendo mette infatti in discussione la capacità di reagire di un settore che sempre
di più fatica a qualificarsi come approdo desiderabile agli occhi di chi lavora. In
gioco ci sono i diritti di cittadinanza di tutti e di tutte e la possibilità di una
società più giusta e uguale.
Riferimenti bibliografici
Bhattacharya, T. [2017] (a cura
di), Social Reproduction Theory: Remapping Class, Recentering
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Caselli, D. [2022],
Troppa grazia, poca cura. Lavorare nel welfare esternalizzato tra nuove
emergenze e contraddizioni strutturali, in «Cartografie sociali», 13, pp.
125-146.
Castellini, V. [2021],
Spaces of Social Recomposition: Resisting Meaningful Work in Social
Cooperatives in Italy, in «Antipode», 5, 6, pp. 1661-1681.
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Roma.¶{p. 67}
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Fazzi, L. e Rosignoli, A. [2020],
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Galanti, C. [2022],
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Statistica [2019], Censimento permanente delle Istituzioni
pubbliche, Roma, ISTAT.
Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali [2021], Piano degli interventi e dei servizi sociali
21-23, Roma, MLPS.
Note
[1] Si veda l’archivio della trasmissione Signore e signori il welfare è sparito in onda su Radio Città Fujiko. L’archivio completo degli ultimi due anni della trasmissione si trova a questi link: https://rss.com/it/podcasts/eucit/ e https://www.mixcloud.com/EUCIT/.