Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c3
Se è vero, infatti, che la tendenza
al definanziamento riduce la capacità di intervento immediato, gli effetti sui servizi
possono essere ben più persistenti. Sul periodo più lungo, ridurre il budget significa
perdere competenze, identità professionali e saperi. In altri termini, significa minare
la capacità dell’organizzazione di rispondere e adattarsi. Nei successivi paragrafi
analizzeremo il meccanismo di impoverimento del sistema di welfare a partire dalle
uscite volontarie dai settori della care economy utilizzando i
microdati forniti dall’ISTAT sulle forze di lavoro del 2021 e del 2022
¶{p. 54}e quelli forniti dal Ministero del Lavoro sulle comunicazioni
obbligatorie (CICO 2010-III trim. 2022).
3. Il lavoro da cambiare
In Italia, secondo la Rilevazione
continua sulle forze di lavoro dell’ISTAT (media 2022), il lavoro nella cura coinvolge
circa 3,963 milioni di persone e rappresenta il 17,2% del totale della popolazione
occupata. Rispetto al 2021, mentre nell’intero mercato del lavoro l’occupazione aumenta
del 2,4%, nel caso della cura la variazione, anche se minima, è negativa e pari allo
0,4%. Ci sono, cioè, circa 17.796 unità in meno. Le ragioni di questo decremento possono
essere diverse e non necessariamente riconducibili alla volontà di chi offre il proprio
lavoro. È però vero che nei due anni crescono quanti, pur lavorando, cercano una diversa
occupazione, con una variazione pari al 2,7%, arrivando al 4,8% del totale. In buona
parte, la necessità di cambiare il proprio lavoro deriva da questioni economiche, ma
cresce la rilevanza delle altre motivazioni. Nel dettaglio, nel 2022 è il 39,8% a
cercare di cambiare occupazione per guadagnare di più, ma diminuisce del 7,6%. Cresce
del 30,2%, invece, la quota di chi cerca un nuovo lavoro che sia più qualificante per le
proprie capacità e competenze. Ciò che si evidenzia, insomma, non è solo l’incremento di
chi concretamente passa da un lavoro poco soddisfacente alla ricerca attiva di un nuovo
impiego, ma anche la tendenza a una maggiore complessità delle motivazioni che sono
sempre meno strettamente economiche e che, per il settore, si intrecciano con
l’irrefrenabile degrado delle condizioni di lavoro [Coin 2023].
3.1. Dall’intenzione alla pratica: le dimissioni
Il fatto che al diminuire del
numero di occupati aumenti il numero di chi pensa di cambiare lavoro è qualcosa che
è lecito attendersi in un comparto ad alta intensità di lavoro.
¶{p. 55}A differenza di altri settori, dove l’investimento
tecnologico può consentire una riduzione del personale a pari quantità di risultati,
nel caso della care economy, la diminuzione del personale
comporta un sovraccarico per chi rimane e che si traduce inevitabilmente nel
peggioramento del servizio. L’esito è quello di un circolo vizioso in cui la
consapevolezza di non star svolgendo bene il proprio lavoro produce un ulteriore
carico, peggiorando le condizioni di lavoro [Dejours 2000]. A due anni dalla crisi
scatenata dal virus SarsCov2, i dati delle comunicazioni obbligatorie diffusi dal
Ministero del Lavoro mostrano che questo circolo è già innescato. Da un lato vediamo
che il rapporto tra entrate e uscite diminuisce passando da 1,8 assunzioni a tempo
indeterminato per cessazione da contratto a tempo indeterminato del 2012 (il più
elevato del periodo) a 1 nel 2021; dall’altro vediamo come dal 2013 a oggi le
assunzioni a tempo indeterminato sono andate via via diminuendo: dal 39,3% del 2012,
al 32,3% del 2021. I dati del 2022, parziali, consolidano la tendenza.
Contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettato dopo il 2020, a seguito della fase
acuta di crisi, non sono state messe in campo iniziative tese a ridurre il carico di
lavoro, a compensare le uscite o anche solo a riconoscere gli sforzi fatti a chi è
rimasto al suo posto.
2021 |
2022 |
||||||
Val.
ass. |
Val.
% |
Val.
ass. |
Val.
% |
Var.
% |
|||
N.
occupate/i |
Totale MDL |
22.553.955 |
100 |
23.099.389 |
100 |
2,42 |
|
Lavoro di
cura |
3.981.247 |
17,7 |
3.963.451 |
17,2 |
–0,45 |
||
N. occ. (cura) in cerca di
altro lavoro |
186.061 |
4,7 |
191.092 |
4,8 |
2,7 |
||
Cerca un nuovo
lavoro |
136.261 |
73,2 |
145.633 |
76,2 |
6,88 |
||
Cerca un
secondo lavoro |
49.800 |
26,8 |
45.459 |
23,8 |
–8,72 |
||
Motivazioni |
Lavoro attuale
è a termine (lavoro a tempo determinato) |
22.628 |
12,2 |
23.995 |
12,6 |
6,04 |
|
Teme di
perdere l’attuale lavoro |
14.899 |
8 |
14.952 |
7,8 |
0,36 |
||
Considera
l’attuale lavoro occasionale |
11.473 |
6,2 |
10.302 |
5,4 |
–10,21 |
||
Guadagnare di
più |
82.353 |
44,3 |
76.110 |
39,8 |
–7,58 |
||
Raggiungere
più facilmente il luogo di lavoro |
4.356 |
2,3 |
5.239 |
2,7 |
20,27 |
||
Orario più
adatto a prendersi cura dei figli e/o di altri
familiari |
2.189 |
1,2 |
2.700 |
1,4 |
23,34 |
||
Orario diverso
per altri motivi |
1.877 |
1 |
2.026 |
1,1 |
7,94 |
||
Cerca un
lavoro più qualificante per le proprie capacità/competenze e con
maggiori prospettive di carriera |
35.678 |
19,2 |
46.437 |
24,3 |
30,16 |
||
Cerca un
lavoro più adatto alle proprie condizioni di
salute |
1.435 |
0,8 |
1.505 |
0,8 |
4,88 |
||
Altri motivi
(specificare) |
9.174 |
4,9 |
7.825 |
4,1 |
–14,7 |
||
¶{p. 56}Il forte ricorso a contratti di
lavoro a termine ha fatto sì che fino al 2019 la quota di cessazioni per
licenziamento o scadenza naturale del contratto si sia sempre mantenuta al di sopra
del 70%. Dal 2020, però, mentre la quota di cessazioni per scadenza naturale del
contratto diminuisce al 65%, cresce quella per dimissioni volontarie che, dopo una
progressiva crescita, dal 19% del 2014 al 23,5% del 2019, passa al 27,5% nel 2020
restando poi al di sopra del 25% fino alla fine del periodo considerato. In valori
assoluti, parliamo di un numero di movimenti che al suo massimo stimiamo pari ai
228.790 nel 2020 e ai 264.358 nel 2021. Rispetto ai dati di stock considerati poco
sopra, il peso delle dimissioni è relativamente basso. Ma la sua crescita indica un
malessere generalizzato che, se da un lato non può ridursi all’idea della fuga dal
lavoro, dall’altro riguarda il settore nel suo complesso e non solo la parte più
ricca o che potrebbe ¶{p. 57}poterselo permettere. Anzi, guardando
le condizioni di chi si dimette per la prima volta nel suo percorso, osserviamo che
negli ultimi tre anni cresce la quota di chi si dimette dalle posizioni meno
qualificate, come chi lavora per le famiglie o nei servizi sociosanitari senza
qualifica. Rispetto a chi decide di interrompere il proprio rapporto di lavoro, il
personale meno qualificato rappresenta il 22% nel 2020, mentre è il 26,9% nel 2021 e
il 30,4% nel 2022 (al III trim.). Non si dimette, insomma, solo chi può permettersi
una vita senza un lavoro dipendente, magari passando al professionismo, ma anche chi
per vivere ha bisogno di un lavoro migliore.
3.2. Dimissioni: tra abbandono e ricollocamento
Coerentemente a quanto
osservato con riferimento alla ricerca di lavoro da parte di chi ne ha già uno,
buona parte delle 212.451 lavoratrici che si sono dimesse per la prima volta tra il
2019 e il 2021 e che si sono ricollocate come dipendenti avevano già un secondo
impiego. Questo è vero almeno per il 25% della popolazione ricollocata. Non solo: se
almeno la metà non ha impiegato più di 30 giorni, a un anno dalla prima dimissione,
l’88% di chi ha trovato un nuovo lavoro dipendente nel triennio era già occupato.
Chiaramente, questo non vale per l’intera platea. Tra le più giovani, la percentuale
di rientro è sensibilmente al di sotto del valore generale (41,7% a fronte del
58,5%), mentre la permanenza nell’alveo del lavoro dipendente è maggiore tra chi al
momento della prima dimissione apparteneva alle fasce di età avanzate. I tassi di
rientro cambiano anche in base ai settori di uscita. Se complessivamente il rientro
coinvolge il 58,5% delle dimissionarie, è il 68,6% di chi esce dal settore
dell’istruzione e il 65,4% di chi si è dimesso dai servizi di assistenza sociale non
residenziale.
Un aspetto interessante di
queste «storie» è che una quota rilevante tende a trovare un nuovo lavoro nello
stesso ambito. Questo vale per oltre la metà di chi è uscita dal settore
dell’istruzione, per quasi il 40% di chi si è dimessa dal settore dell’assistenza
sanitaria, e per oltre un terzo di chi ¶{p. 58}si è dimessa dalle
dipendenze di famiglie. Circa un quinto di coloro che si dimettono dai settori
dell’«assistenza sociale residenziale e non residenziale» resta nello stesso
comparto, mentre un altro 15% entra nel settore dell’assistenza sanitaria. Nel caso
dei servizi non residenziali, se il 16% rientra nello stesso settore, il 10,8% passa
all’istruzione e il 12,4% entra in settori diversi da quelli principali. Chi lascia
il proprio lavoro, insomma, tende a trovarne uno simile o non troppo distante. Non
si rinuncia cioè al lavoro, ma si prova a cambiarne la cornice, tendendo ad approdi
più consoni alle proprie attese o comunque più stabili. Ove questo è più difficile,
per via di qualifiche basse o per la difficoltà a vedersele riconosciute, come nel
caso dell’assistenza sociale non residenziale o del lavoro domestico, il passaggio
da un settore a un altro è più significativo.
Pubblica amm.
|
Istruzione
|
Assistenza sanitaria
|
Ass.
sociale resid.
|
Ass. sociale
non resid.
|
Lavoro domestico
|
Altri
settori
|
||
Settore
di provenienza
|
Pubblica
amm.
|
17,31
|
6,57
|
16,55
|
1,64
|
1,03
|
0,21
|
3,03
|
Istruzione
|
2,46
|
51,34
|
2,18
|
0,99
|
1,71
|
0,39
|
9,55
|
|
Assistenza sanitaria
|
5,69
|
1,78
|
37,58
|
3,88
|
1,75
|
0,46
|
5,71
|
|
Ass.
sociale resid.
|
4,12
|
5,05
|
15,07
|
19,83
|
7,08
|
1,9
|
10,35
|
|
Ass.
sociale non resid.
|
3,81
|
10,81
|
8,68
|
9,66
|
15,97
|
4,11
|
12,38
|
|
Lavoro
domestico
|
0,11
|
0,69
|
0,46
|
0,77
|
1,18
|
33,43
|
16,34
|
|
Altri
settori
|
3,19
|
9,75
|
6,08
|
3,71
|
4,06
|
2,11
|
30,83
|
|
Totale
|
3,04
|
9,52
|
10,62
|
4,99
|
3,89
|
12,97
|
13,51
|
|
Nessuna nuova posizione
|
Totale ricollocato
|
Totale dimesso/a
|
||
Settore
di provenienza
|
Pubblica
amm.
|
53,67
|
46,33
|
100
|
Istruzione
|
31,38
|
68,62
|
100
|
|
Assistenza sanitaria
|
43,15
|
56,85
|
100
|
|
Ass.
sociale resid.
|
36,59
|
63,41
|
100
|
|
Ass.
sociale non resid.
|
34,58
|
65,42
|
100
|
|
Lavoro
domestico
|
47,02
|
52,98
|
100
|
|
Altri
settori
|
40,27
|
59,73
|
100
|
|
Totale
|
41,46
|
58,54
|
100
|
|
Retribuzione
alla dimissione |
Retribuzione
nella nuova posizione |
||
N |
Valido |
235.296 |
129.945 |
Mancante |
127.862 |
233.214 |
|
Media |
895,6 |
1.073,90 |
|
Minimo |
– |
– |
|
Massimo |
7.677 |
8.400 |
|
25 |
507 |
606 |
|
Percentili |
50 |
743 |
912 |
75 |
1.157 |
1.385 |
|
¶{p. 59}La componente monetaria è senza
dubbio una delle più importanti per spiegare il fenomeno delle dimissioni. In media,
la retribuzione di chi si è dimessa tra il 2019 e il 2021 era di 895 euro mensili,
mentre la media di chi si è ricollocata è di 1.073 euro mensili. La differenza
riguarda tutta la distribuzione e non solo il valore medio. Chi guadagnava di meno
ha lasciato un lavoro la cui retribuzione non raggiungeva più di 507 euro mensili,
mentre chi guadagna di meno tra chi si è ricollocata raggiunge i 606 euro;
parimenti, il valore mediano passa da 742 euro a 912 euro e così
via.{p. 60}
Note