Costruzioni di genitorialità su terreni incerti
DOI: 10.1401/9788815411365/c2
Al di là delle caratteristiche specifiche, le testimonianze raccolte nei diversi ambiti appaiono tendenzialmente in linea con i risultati emersi nell’ambito di alcune ricerche [Branscombe, Schmitt e Harvey 1999; Major e O’Brien 2005; Schmitt e Branscombe 2002] secondo le quali il gruppo dei pari può offrire un supporto concreto in termini di sostegno psicologico, inclusione sociale, lotta al pregiudizio e accrescimento del senso di appartenenza.
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4.3. Mettere in discussione gli stereotipi
Un’ulteriore strategia volta a mitigare la minaccia all’autostima da parte delle minoranze è quella di mettere in discussione le caratteristiche stereotipate riconosciute come più ambite e legate al successo, possedute dalla maggioranza della popolazione. Nei fatti ciò si traduce nel porre in evidenza alcune specificità del proprio gruppo, sottolineandone l’importanza e la centralità. Si tratta di un espediente che in passato è stato molto utilizzato, ad esempio, dai movimenti femministi, che hanno posto in risalto le qualità e le competenze femminili, a dimostrazione del fatto che sia improprio parlare di «sesso debole» in termini stereotipici.
A proposito della dimensione del confronto per riscattare la propria identità sociale, molti genitori che hanno preso parte allo studio hanno proprio messo in dubbio la bontà dei presupposti della buona genitorialità, stereotipicamente intesa.
Ad esempio, alcuni genitori in coppie dello stesso sesso hanno sottolineato quanto l’impegno da loro profuso per superare le difficoltà imposte dall’attuale sistema normativo italiano sia la prova tangibile della propria volontà di portare avanti un percorso genitoriale consapevole e responsabile, sostenendo che questo elemento non sempre è riscontrabile nelle coppie composte da partner di sesso opposto:
Mentre per una famiglia eterosessuale avere un bambino è il percorso naturale, che magari molto spesso capita così per caso, anche non voluto, per una coppia omosessuale scegliere di avere un bambino è un lavoro a livello psicologico e a livello emotivo, che è molto profondo ed è lunghissimo.Preferisco essere una persona onesta e sincera che non tradisce e che ha scelto di sposarsi, e non una che l’ha fatto perché lo doveva fare perché dopo 10 anni di fidanzamento ti devi sposare, perché devi fare i figli…
Allo stesso modo, da parte di alcuni padri separati, sottolineare la propria disponibilità totale all’ascolto e al supporto dei figli serve non solo a sottolineare il loro impegno in quanto genitori, ma anche a dimostrare di andare oltre lo stereotipo che vorrebbe i padri assenti, maggiormente orientati al lavoro rispetto alla cura:
Sono sempre disponibile per qualsiasi loro necessità. Che non è scontata come cosa. E proprio per dare loro la consapevolezza di poter contare su di me. E che io ero sempre disponibile. E questa non l’ho mai negata. Cioè questa, in maniera costante e quotidiana, io ci sono sempre. E questo non è proprio scontato, non lo credo insomma, almeno per un papà, non credo.
Un altro espediente utilizzato da alcuni partecipanti allo studio per riscattare la propria posizione di buon genitore è stato quello di sottolineare ¶{p. 44}la relatività degli stereotipi, molto radicati in alcune culture e meno presenti (se non finanche assenti) in altre:
La mia cultura è diversa dalla cultura di mio marito. Nella cultura di mio marito le donne devono rimanere a casa, ma nella mia cultura no. Le donne che mi hanno cresciuto, le mie zie, perché io ho perso la mia mamma, mi hanno insegnato che una donna deve combattere, deve essere qualcuno, non deve contare su un uomo, anche se un uomo ti dà, tu fai la tua. E quello ha creato tantissima difficoltà tra me e mio marito perché per loro le donne devono restare a casa, ma io non ho ricevuto quell’insegnamento.Essere mamma immigrata non è facile. Non si deve dire «Se vivevi nel tuo paese come facevi?». Ma è il mio paese, di là posso lasciare i miei bimbi a casa e andare a fare altre cose senza che qualcuno chiama la polizia e dica «Questa donna non si prende cura dei suoi bimbi». No, io mi prendo cura dei miei bimbi perché vado a cercare qualcosa da mangiare per loro al mercato, ma qui no, non si fa, «Tu fai così? Tu non sei una buona mamma che si prende cura dei suoi bimbi».
4.4. Evitare l’esposizione pubblica
Un gruppo (seppur meno nutrito) di genitori, per arginare l’incertezza ha dichiarato di evitare l’esposizione pubblica, soprattutto quando questa viene considerata controproducente o potenzialmente capace di accrescere il senso di insicurezza, a dimostrazione del fatto che non tutti i soggetti posseggono le risorse per contrastare gli effetti negativi degli stereotipi.
Ad esempio, anziché cercare un confronto con professionisti che non si conoscono, alcuni genitori appartenenti a minoranze sessuali o di genere hanno dichiarato di preferire muoversi all’interno di una rete già frequentata da loro conoscenti. È il caso, ad esempio, di una coppia di padri gay, residenti nel Nord Italia:
Per facilitarci le cose, giriamo in un network di conoscenze che abbiamo… Quindi la pediatra è amica di un nostro medico, ed è diventata anche una nostra amica, il nostro medico di famiglia è una nostra amica da vent’anni… Abbiamo tutta una rete di conoscenze ed amicizie per cui è tutto molto soft e tranquillo.
Analogamente, altri genitori transgender hanno sostenuto di evitare per quanto possibile il rapporto con le principali istituzioni o di non palesare la propria identità sessuale per non muoversi in terreni considerati potenzialmente non sicuri o evitare di creare nuove condizioni di vulnerabilità:
Il mio rapporto con le istituzioni è cercare di evitarle il più possibile… Perché io credo che spesso non ci sia una preparazione adeguata e che, insomma, spesso si ragiona in maniera molto binaria.¶{p. 45}
Abbiamo deciso che dalle superiori in poi sarebbe andato il padre a parlare con gli insegnanti… Era anche un po’ forse per proteggermi io, ma anche per proteggere i ragazzi.
La medesima strategia è adottata da alcuni genitori in difficoltà economica, soprattutto per evitare situazioni sociali che non possono permettersi. Dalle interviste raccolte su questo particolare target di genitori emerge inoltre una paura generalizzata dei servizi sociali, soprattutto nelle situazioni di estrema precarietà:
Ho iniziato a fidarmi dell’assistente sociale perché ormai non mi sentivo in quel contesto disagiato di prima, parlavo molto più liberamente perché la paura che mi togliessero la bambina non l’avevo più, ero più sciolta e ho creato un rapporto diverso… ma in quel contesto non l’avrei fatto.
L’affermazione del partecipante pone in luce un effetto perverso: per il timore delle possibili conseguenze dell’incontro con i professionisti sulla propria famiglia, alcuni genitori tendono a non rivolgersi ai servizi, che potrebbero rappresentare una fonte di supporto, nel momento di maggiore bisogno, rimandando l’incontro nella speranza di riuscire a trovare autonomamente delle soluzioni. Le istituzioni, infatti, sono in molti casi non solo avvertite come distanti ma, nell’incapacità di fornire le risposte desiderate ai problemi strutturali, spesso vengono temute per il possibile controllo che queste possono esercitare.
5. La modificazione degli stereotipi
Alcuni studi si sono proposti anche di individuare le condizioni capaci di favorire la modificazione degli stereotipi e la riduzione del pregiudizio. Entro questo filone si inserisce il lavoro pionieristico The Nature of Prejudice di Allport [1954], secondo il quale la strategia più opportuna in tal senso è rappresentata dal contatto tra membri di gruppi diversi.
Studi successivi hanno posto in risalto, tuttavia, che il solo contatto non può essere considerato un elemento sufficiente per rompere i pregiudizi. Al contrario, in alcune condizioni l’incontro può anche trasformarsi in un momento di scontro e accentuazione delle ostilità [Sherif 1966]. Dunque, affinché la relazione possa realmente produrre un cambiamento nell’atteggiamento delle persone, portando alla decostruzione degli stereotipi, alcuni elementi sono stati indicati come necessari.
Riassumendo i fattori individuati da diversi autori [Amir 1969; Cook 1963; Katz e Taylor 1988; Miller e Brewer 1984; Pettigrew 1971], è possibile annoverare in prima battuta la «piacevolezza del contatto», nel senso che le interazioni con i membri degli altri gruppi devono essere realizzate per piacere e non per costrizione. Allo stesso modo, le relazioni devono essere «intime», ossia non ¶{p. 46}devono essere superficiali o occasionali, ma, al contrario, devono essere caratterizzate da frequenza, durata e profondità. Un ulteriore elemento ravvisabile è la «volontà di raggiungere uno scopo comune». Infatti, il raggiungimento di uno stesso obiettivo aiuta a limare gli ostacoli e a favorire l’interazione, la conoscenza reciproca e il processo di «decategorizzazione». Tutto ciò può avvenire soltanto in presenza di una «uguaglianza di status» tra i membri dei due gruppi, per cui non devono esserci relazioni gerarchicamente ordinate. Non in ultimo, è importante anche «il sostegno sociale e istituzionale». Più nello specifico, un ruolo importante è giocato dal contesto istituzionale e dal clima culturale, che dovrebbero ammonire (con sanzioni o disapprovazione sociale) gli atteggiamenti discriminatori, promuovendo tolleranza e giustizia sociale.
Le testimonianze di alcuni genitori si muovono in questa direzione.
Ad esempio, diversi tra i partecipanti LGBT hanno dichiarato di impegnarsi per dimostrare che la loro genitorialità non è diversa da quella delle altre famiglie, ricercando visibilità pubblica. Si tratta di un espediente in linea con gli assunti teorici del displaying family [Finch 2007; Morgan 1996], secondo il quale alcune persone mostrano come «fanno cose di famiglia», al di là delle prescrizioni formali, per comunicare al di fuori delle mura domestiche che le loro relazioni sono «famigliari»:
Io penso che siamo noi i primi a dover spiegare agli altri, ma questo lo puoi fare una volta che hai accettato quello che sei. Tuttavia, non è semplice perché comunque viviamo in una società che va contro tutto quello che non è eteronormato e che vuole ruoli. Noi viviamo di ruoli, di ruoli culturali.Essere mamma arcobaleno in coppia, soprattutto nel nostro paese, è un impegno che passa anche attraverso le cose più banali, che sono quelle di partecipare a tutte le feste di compleanno in cui ti invitano, perché sono delle occasioni di socializzazione, sono delle occasioni in cui la gente ti conosce.
Dai racconti di alcuni partecipanti LGBT emerge che la conoscenza diretta è stata in grado in diverse situazioni di scardinare stereotipi e pregiudizi:
Nella stragrande maggioranza dei casi, quando le persone ci conoscono, si annulla quel pregiudizio che si era creato senza conoscerci, perché si rendono conto che si trovano davanti una famiglia, con tutti i pregi e i difetti di una famiglia, con tutte le difficoltà e le cose belle di una famiglia.Io ho avuto anche persone che dopo averci conosciuto mi hanno detto che non avrebbero mai pensato e mai accettato questa situazione, ma vedendo poi la normalità della nostra famiglia, nella vita quotidiana poi si sono rese conto che non c’è nulla di tanto diverso dalla loro.
Narrazioni simili sono rintracciabili anche nei racconti di alcuni genitori in migrazione forzata:¶{p. 47}
Ci sentiamo delle volte diversi, ma la gente intorno a noi mi fa venire in mente che siamo umani e possiamo anche vivere come loro tranquillamente.
Nel loro caso, in sede di intervista è spesso emersa una rivendicazione forte nel sostenere che la genitorialità non è funzione dell’etnia di appartenenza. Nel narrarsi, molti partecipanti hanno affermato con forza che essere genitore non cambia da un luogo a un altro. Questi genitori attribuiscono proprio allo scarso livello di conoscenza reciproca la mancanza di integrazione sociale, che si traduce non di rado in un ostacolo che non gli permette di «agire» tale convinzione attraverso comportamenti:
L’essere mamma non cambia, dovunque tu sia, dovunque tu ti trovi sempre mamma sei e sempre mamma ti trovi a fare. L’unica cosa che cambia qui è l’instabilità.
Infine, il valore della solidarietà, anche in contesti in cui sembra prevalere fortemente la competizione, è stato descritto da alcuni partecipanti alla ricerca come un possibile elemento per far fronte alle difficoltà. Anche se aprirsi agli altri o raccontare la propria esperienza in taluni casi può risultare non semplice – per il timore di essere considerati genitori inadeguati o di avvertire un senso di imbarazzo – questo viene fatto non solo per promuovere una conoscenza reciproca, ma anche per rendere i contesti più accoglienti nei confronti dei figli:
L’unico modo per far crescere bene tuo figlio è essere visibile sempre, sempre, h24, non ti puoi può eclissare e ti deve sempre esporre di più.Mi sento umiliata però per i figli si fa tutto (…) perché cadi in un baratro, sprofondi, pensi… «no, ma guarda a che livello sono arrivata a chiedere aiuto», ma poi penso «ma che me ne frega, l’importante è che non vado a rubare»… penso che è più umiliante andare a rubare, però, sì, mi viene anche vergognoso chiedere, però non me ne frega, vado a testa alta e chiedo.
6. Conclusioni
Essere consapevoli degli stereotipi sulle famiglie e delle conseguenze della loro diffusione sulle minoranze rappresenta senz’altro un requisito fondamentale nel servizio sociale per orientare un agire professionale consapevole e rispettoso delle diversità e delle pratiche genitoriali in situazioni di incertezza o davanti a sfide particolari. Informazioni semplificate o scorrette associate erroneamente a nuclei e pratiche familiari che si discostano da modelli dominanti di buona genitorialità rischiano infatti di veicolare – anche in maniera inconsapevole – forme più o meno accentuate di pregiudizio, accrescendo da un lato le differenze tra gruppi e, dall’altro, generando forme di discrimi
¶{p. 48}nazione e, finanche oppressione [Featherstone, Morris e White 2014]. Tali situazioni si muovono in una direzione antitetica al mandato del servizio sociale, che invece dovrebbe essere orientato al supporto, all’emancipazione e alla liberazione delle persone, contrastando processi di discriminazione e marginalizzazione e promuovendo i diritti e la giustizia sociale [IASSW 2018].