Costruzioni di genitorialità su terreni incerti
DOI: 10.1401/9788815411365/c2
Quando ti trovi a chiedere aiuto agli altri per i bisogni dei tuoi figli, che sono necessari, ti senti un pochettino come… non è un’umiliazione, perché purtroppo ci¶{p. 38}siamo tutti dentro, purtroppo questo periodo è difficile, però la vivi come tale… per un genitore non poter soddisfare i bisogni primari dei figli è una cosa che… che pesa molto…
Paura, disagio, sconforto e perdita di fiducia in sé a causa della propria condizione sono soltanto alcune delle emozioni descritte da un’altra partecipante allo studio, arrivata nel Sud Italia dall’Europa dell’Est, uscita da una condizione di sfruttamento lavorativo in agricoltura:
Mi facevo il calcolo dei nostri bisogni e di quello che dovevamo comprare per affrontare questo periodo molto difficile… la bambina una volta mi ha chiesto un pacco di biscotti e io non potevo permettermelo in quel momento e ci sono rimasta molto male, mi sono messa a piangere perché avrei potuto rinunciare a un pane e comprarle quel pacco di biscotti, anche se quel pane sarebbe stato importante per l’indomani. Non dico che per essere genitore devi comprare la macchina per tuo figlio, ma anche il minimo e non avendo soldi come fai? Quindi ti interroghi «Che sacrificio devo fare?». E qua inizi a pensare «Ok ora i soldi li prendo io, esco sulla strada e faccio l’elemosina». Ero impaurita nel non avere e non poter dare a mia figlia e questo ti spinge al sacrificio e perdi di vista te in quel momento, però non è detto che se hai un pensiero quella è la soluzione giusta, ma tu in quel momento la vedi come soluzione. La situazione economica ti spinge a fare questo.
Non molto differente è il racconto di un padre meridionale che, a causa della propria disoccupazione, è entrato in una sorta di depressione per l’impossibilità di poter provvedere ai bisogni e alle necessità della propria famiglia, così come accadeva quando era impiegato:
Ci sono momenti in cui dici «Non ce la faccio, non ce la faccio», non sai che strada prendere, entri in una specie di depressione perché il cervello l’hai tutto inserito su quell’argomento e non riesco più ad agire per altre situazioni familiari, perché prima ero uno che quando doveva affrontare delle cose ne parlava a casa con la moglie «Guarda c’è questo problema», poi c’è stato un periodo in cui non ne ho parlato più, mi sono chiuso in me stesso tutto quello che c’era era tutto dentro di me e questo non ha fatto altro che peggiorare la situazione, perché un carico tutto sulle mie spalle, perché giustamente non volevo parlare per non dare preoccupazioni.
Altri genitori hanno dichiarato di aver avvertito la sensazione di non sentirsi «mai abbastanza», per il loro non riuscire, nonostante gli sforzi, a garantire ai propri figli quella serenità che, secondo lo stereotipo, vorrebbe la compresenza di una madre e di un padre. Ciò si evince, ad esempio, in maniera visibile dal racconto di un padre gay di 38 anni, residente nel Centro Italia, che ha sottolineato di percepire il peso di dover dimostrare di essere all’altezza del ruolo genitoriale anche in situazioni apparentemente neutre:
Tu in più devi essere un genitore modello, perché mentre se in una coppia etero lei grida e sclera al parco giochi e gli altri penseranno «Poverina, non ha dormito» ¶{p. 39}o quello che è… noi non possiamo permetterci in nessun modo di sbagliare e questa è la parte, secondo me, che a lungo andare sarà psicologicamente pesante per noi genitori gay, perché in più tu devi avere il burden, il fardello di provare che sei un genitore come gli altri, che però vuol dire meglio degli altri. E quindi c’è sempre il peso, se mia figlia dice una parolaccia o si mette le dita nel naso io devo evitare che qualcuno dica «Ah guarda, è figlia di due gay. Guarda come è maleducata», che poi magari è soltanto nella mia testa…
Anche una buona parte dei genitori coinvolti nello studio che, a seguito di una separazione conflittuale, ha dovuto reinventare la propria genitorialità senza il sostegno del partner, si è trovata ad avvertire il peso di rispondere alle pressioni provenienti dall’esterno, che hanno accresciuto il senso di vulnerabilità già generato dalla difficile condizione familiare:
Sinceramente io non ho avuto tante persone vicine in quella fase perché… non lo so se sono state quelle persone che io… sarà stato sicuramente per quelle persone che io conoscevo, nel senso che tutte mi dicevano che un po’ era più difficile vivere come una persona, una donna da sola senza un marito. Queste cose che effettivamente sono vere nella nostra società no? Come se tu non avessi proprio una tua… il tuo ruolo. Ti manca sempre un qualcosa, come se ti mancasse un qualcosa.Quindi vergogna per la separazione, assistenti sociali… quindi sei incapace ad essere genitore, sei limitata da tutti i punti di vista. Insomma, non è bello perché soprattutto per come sono fatta io che forse cerco sempre la perfezione nelle cose e cerco sempre di arrivare ad avere le cose fatte in modo perfetto.
Dall’analisi delle interviste è emerso anche che in alcuni casi i feedback più critici ricevuti possono condurre alcuni genitori a mettere in discussione la propria autostima. È il caso, ad esempio, di una madre che, «accusata» dall’ex marito di essere diventata isterica dopo la separazione, sembra aver interiorizzato così tanto tale visione di sé, da descriversi come incapace di provvedere ai propri figli:
Sì, sì, certe volte veramente mi verrebbe voglia di mollare tutto e di dire proprio «Guardate, io non sono più in grado di riuscire a seguire la crescita dei miei figli con serenità», perché adesso loro hanno una madre isterica, comunque, stressata, che non gli sta comunicando serenità, per tutti gli sforzi che io possa fare.
Allo stesso modo, tra le interviste raccolte tra i genitori immigrati, non sono mancate testimonianze di persone che hanno dichiarato di non sentirsi sempre adeguate rispetto al ruolo genitoriale non a causa dei propri comportamenti, ma per il peso di avere poca o scarsa conoscenza della lingua italiana:
Un mio problema è la lingua… rende difficile la mia vita soprattutto come madre perché non riesco ad aiutare i miei figli nei compiti. Quando devo andare a scuola ¶{p. 40}a parlare con la maestra quelli del Centro mi aiutano, io sto in silenzio, un po’ in disparte e loro parlano di come vanno a scuola i miei figli.
Un filone di studi specifico sviluppatosi all’interno degli studi sugli stereotipi ha rilevato che il rischio di bassa autostima è mitigato a seconda delle caratteristiche del contesto relazionale. Per meglio chiarire tale aspetto è possibile fare riferimento, ad esempio, a uno studio condotto da Simmons e Rosenberg [1971], che mise in risalto che gli studenti afroamericani, nonostante fossero stigmatizzati dai loro compagni bianchi, grazie al confronto con i colleghi appartenenti allo stesso gruppo etnico, avevano sviluppato un’autostima migliore di quelli che si confrontavano con studenti bianchi.
Proprio nell’ambito della migrazione, uno studio realizzato in America alla fine degli anni Novanta [Turney e Kao 2009] ha posto in luce come per molti genitori di origine ispanica l’esistenza di una rete di supporto costituita da altri genitori con esperienza migratoria abbia rappresentato un importante elemento per ridurre la sensazione di marginalità e vulnerabilità. Da qui è possibile addurre l’importanza ricoperta dal gruppo di appartenenza, che nel caso specifico dei genitori che avvertono di muoversi su terreni incerti si traduce nella relazione con altri genitori che condividono la stessa esperienza. Come emerso nell’ambito di alcuni studi sulla genitorialità in condizioni di vulnerabilità, la relazioni con soggetti con profili simili può accrescere la consapevolezza di sé e consentire l’individuazione di strategie di coping condivise per vivere in maniera meno condizionata dalle aspettative sociali la propria quotidianità [Canavan, Dolan e Pinkerton 2000; Fram 2003; Houston e Dolan 2007].
Anche questo aspetto è stato sottolineato a più riprese da molti dei genitori che hanno preso parte allo studio, i quali hanno individuato nello scambio e nel confronto tra pari un possibile strumento per attivare un’azione collettiva volta alla decostruzione degli stereotipi che li riguardano.
Per quanto riguarda, ad esempio, i genitori appartenenti alla comunità LGBT, questi hanno raccontato che in particolar modo il mondo associazionistico, molto presente sul territorio italiano, svolge contemporaneamente due funzioni: da un lato costituisce un importante ambito di incontro e confronto e, dall’altro, getta le basi per un attivismo dal basso, volto a cambiare lo status quo, legittimando la loro identità attraverso azioni collettive e condivise:
Per me l’associazione è come se fosse un piccolo Stato. Lì dove lo Stato manca, abbiamo un nostro statuto, una costituzione, abbiamo delle nostre regole. Ma questo non vuol dire ghettizzarsi, assolutamente, è semplicemente avere un riferimento proprio. Anche dal punto di vista normativo, legale, abbiamo un gruppo di avvocati che ci segue.L’attivismo è stato una protezione: io so che c’è l’omofobia, ma io faccio attivismo in maniera pubblica, visibile e questa cosa mi tutela perché io non mi nascondo ¶{p. 41}affatto. Io esprimo quello che sono, non devo nascondermi, non è un problema e non deve essere considerato tale.
Si tratta di una visione condivisa anche da alcuni padri separati, i quali hanno raccontato di aver avuto la sensazione di aver trovato una serie di risposte e soluzioni a problemi e quesiti che li attanagliavano da tempo nella rete di relazioni costruita attraverso l’associazione:
Le associazioni di padri separati… Quando ho conosciuto loro ho cominciato a risolvere tutti i miei problemi perché mi hanno detto come interagire e mi hanno detto come fare. Mi hanno fatto cambiare avvocato, non dicendomi un nome, ma tramite un altro padre separato che si era trovato molto bene che dice «Vai da lui che… Se puoi ottenere, ottieni, se non puoi ottenere te lo dice in faccia». E infatti il mio avvocato è fantastico, mi trovo benissimo e stiamo portando a casa tutti i risultati, non per me, per i ragazzi. Perciò cambiando avvocato, insegnandomi anche come interagire, tanto che per un periodo avevo due o tre amici, dove prima di rispondere a lei gli mandavo il messaggio che mi mandava lei.
Altri partecipanti che hanno avuto esperienza di separazione conflittuale, pur non facendo parte di specifiche associazioni, hanno comunque sottolineato l’importanza del confronto e della vicinanza di altri genitori capaci di comprendere la situazione vissuta, essendo passati per la loro stessa esperienza:
Mi ha aiutato molto. Lui ha avuto un percorso forse anche più difficile del mio, quindi è stato molto gentile nell’indicarmi gli errori da non fare, cioè mantenere la calma, cercare di essere razionale… è difficile in quei momenti lì tenersi saldi. Lui è stato come sempre nella vita un aiuto fondamentale.Sicuramente mi sono legata di più alle mamme che hanno le mie stesse problematiche, le mamme di separati, che in classe ce ne sono ormai 5 o 6 (…). Perché magari hanno figlie dell’età della mia, sola io, sola lei, abbiamo gli stessi argomenti che girano, ci troviamo nella stessa situazione, quindi sentire che anche lei vive le mie problematiche, aiuta.
Per quanto riguarda i genitori che vivono in condizioni di povertà, dalle interviste è emerso che la propensione a ricercare un confronto con altre persone che condividono lo stesso status economico non è molto diffusa. In particolar modo, il supporto tra pari appare frenato dal fatto che la povertà sia avvertita da molti come un tema tabù. In Italia, infatti, essere genitori in difficoltà economica rappresenta ancora una fonte di forte stigma sociale, al contrario di quanto avviene in altri contesti. Nello Stato di New York, ad esempio, già da tempo, i genitori in difficoltà economica in rete tra loro, anche grazie al supporto ricevuto da attori pubblici e istituzionali, hanno ricercato visibilità per dare voce alle proprie istanze ed esigenze [Tobis 2013]. ¶{p. 42}
Nell’ambito della ricerca CoPInG, solo in un’intervista un padre, residente nel Sud Italia, ha fatto riferimento all’importanza di organizzarsi e unirsi, spiegando anche perché nel nostro contesto non sia invece ravvisabile un «orgoglio dell’essere poveri»:
Non c’è l’orgoglio di essere poveri, no? C’è la vergogna… invece bisognerebbe trasformarla in orgoglio e dire «Non è colpa mia, quindi mi unisco con quelli come me». È un lavoro difficile, io lo sto facendo proprio con gli istruttori, proprio per modificare questa legge vergognosa che ci priva di un contratto, ho contattato un’infinità di istruttori, ho creato un comitato, ho creato gruppo, vengono, vanno via, non manifestano, però ci sta, perché siamo cresciuti in un mondo dove l’apparenza è tutto e l’apparenza è che io devo dimostrare di essere arrivato, quindi bisogna anche lì seminare, seminare tantissimo e so che è difficile farlo, non ce l’ho con loro perché capisco che non è facile, arrivati a un certo punto, svegliarti e avere l’orgoglio di dire «Io faccio parte di coloro che il potere lo subiscono e non lo gestiscono» (…) perché oggi c’è il senso di colpa per una cultura del fallito, ma ho fallito io o ha fallito chi ci governa?… È questo… immaginiamo il dipinto famoso Il Quarto Stato, quella gente che esce dall’ombra e va verso la luce tutti insieme… oggi siamo ritornati nell’ombra, una marcia all’indietro e dobbiamo riuscire ad andare di nuovo verso la luce e per farlo bisogna essere insieme e uniti e per unirci bisogna riconoscerci per quello che siamo. Non possiamo fingere di stare bene e invece stiamo male e non possiamo colpevolizzarci per il malessere che viviamo.
Tale testimonianza è in linea con le parole rilasciate da una madre italiana settentrionale, separata e disoccupata, che ha riconosciuto il valore delle relazioni tra pari:
Lei più che altro frequenta bambini che hanno la nostra situazione, per cui mamme che sono seguite dai servizi, mamme che sono da sole come magari siamo noi, e mamme dove vanno al doposcuola, quindi conosce questo di ambiente capisci? Frequentiamo quello anche al doposcuola dove va vanno bambini che sono seguiti dai servizi e le mamme, per cui magari bambini che vanno là per fare i compiti, e quindi lei vede questa di realtà.
In generale i genitori che vivono in condizioni economiche precarie che hanno preso parte allo studio ricercano maggiormente relazioni solidali, come ad esempio aiuti da famiglie che hanno meno difficoltà o da servizi/volontari.
Al di là delle caratteristiche specifiche, le testimonianze raccolte nei diversi ambiti appaiono tendenzialmente in linea con i risultati emersi nell’ambito di alcune ricerche [Branscombe, Schmitt e Harvey 1999; Major e O’Brien 2005; Schmitt e Branscombe 2002] secondo le quali il gruppo dei pari può offrire un supporto concreto in termini di sostegno psicologico, inclusione sociale, lotta al pregiudizio e accrescimento del senso di appartenenza.
¶{p. 43}