Elena dell'Agnese, Daniel Delatin Rodrigues (a cura di)
Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c3
Numerose città hanno sviluppato, in Italia, e più in generale in tutta Europa, progetti volti a rifunzionalizzare e recuperare all’uso positivo spazi e luoghi degradati o sottoutilizzati, dando vita a iniziative ed eventi partecipati per sostenere una nuova immagine e consapevolezza nei processi di riappropriazione di medio-lungo respiro che li hanno accompagnati. In alcune città italiane di provincia si possono riconoscere quartieri periferici che, pur caratterizzati da notevoli criticità e debolezze, esprimono vivacità e dispiegano energie potenziali quasi del tutto inaspettate [Cau 2016]. Gli interventi realizzati stanno ridefinendo le periferie come luoghi di innovazione e sperimentazione, e chiaramente questo non riguarda solo la dimensione urbana, poiché si tratta di «modelli ecosistemici» che si stanno moltiplicando anche in centri minori, paesi, aree interne e marginali dove la presenza di partnership cross-sector inconsuete e l’attivazione della popolazione locale fanno germogliare e crescere progetti trasversali agli ambiti del welfare municipale, della riqualificazione di spazi, della cura dei beni comuni, dell’educazione, della cultura [Dominici e Buongiovanni 2015]. Si tratta di progetti che dimostrano
{p. 76}come sia possibile rigenerare piccoli ma significativi luoghi pubblici per restituire (nuove) identità a diversi rioni o zone, per contrastare il degrado, per combattere l’abbandono e l’isolamento percepiti e/o reali, rendendo protagonisti e corresponsabili gli abitanti; progetti, anche low cost, in cui proprio questi ultimi diventano ideatori e attori di iniziative per migliorare gli spazi e delineare funzioni e usi rinnovati [Cau 2016]. Un’analisi della situazione nazionale aveva rilevato a inizio anni Duemila un fenomeno nuovo per i territori, quello di trovarsi «pieni di vuoti»: numerosi, infatti, i luoghi abbandonati mappati, dai cinema alle stazioni ferroviarie, dalle scuole agli uffici, dalle abitazioni alle strutture produttive e industriali [Campagnoli 2014]. Nel tempo, molti sono divenuti spazi vivi e aperti, laboratori di progettualità per la cui stessa rifunzionalizzazione si sono adoperate comunità locali attente e miste, mostrando sia caratteri endogeni di resilienza sia innesti di creatività e visioni partecipate. Questo grazie a iniziative di matrice fisica e materiale che sanno, al contempo, far leva sugli elementi immateriali di nuove modalità di governance e narrazione.
È in questa intelaiatura che si può incorniciare un significativo progetto di rigenerazione condivisa di uno spazio dismesso tra le alpi piemontesi, nei piccoli comuni di Quarna Sopra e Quarna Sotto. Posti a circa un chilometro di distanza tra loro, sulle alture che dominano il lago d’Orta e la vicina città di Omegna, nella provincia piemontese del Verbano Cusio Ossola, possono essere collettivamente identificati come «comunità delle Quarne» [14]
. Pur mantenendo una propria autonomia amministrativa e la presenza di alcuni servizi-base per i propri cittadini, rispettivamente 256 e 364 abitanti [15]
, si tratta di borghi che hanno conosciuto, in particolare a partire dalla seconda metà del Novecento, fenomeni analoghi a quelli che hanno {p. 77}caratterizzato le zone vallive e montuose delle Alpi, ovvero spopolamento, migrazione verso centri urbani e industriali vicini, perdita di occupazione in attività economiche locali, depauperamento del tessuto sociale.
Non sono, però, mancate alcune importanti iniziative che hanno riportato linfa ed energie feconde. Le Quarne legano la propria storia alla produzione artigianale di oggetti in legno, per la casa, e da oltre 200 anni alla fabbricazione di strumenti musicali a fiato. Alla scomparsa della prima tipologia, accelerata dai processi di industrializzazione che, nel Novecento, hanno visto il fiorire, nelle zone subalpine intorno al Lago d’Orta, dei distretti del casalingo (a Omegna) e del rubinetto e valvolame (incentrato a San Maurizio d’Opaglio), ha fatto eco un forte indebolimento anche della seconda. Resta in vita la ditta Rampone&Cazzani, con alterne fortune, mentre chiude i battenti la Ida Maria Grassi, che aveva in paese la sua seconda sede e che per molti anni aveva dato occupazione a numerosi artigiani locali [16]
.
La produzione di strumenti continua con la stessa maestria di un tempo a opera della Rampone&Cazzani, eccellenza piemontese e nazionale, che esporta in tutto il mondo e che accoglie in paese numerosi professionisti, soprattutto jazzisti, alla ricerca di saxofoni fatti interamente a mano e customizzati [17]
. Una tradizione che, anche in altri contesti italiani, trasmette continuità e saperi localizzati in contesti «minuti» ma aperti su larga scala [Antoldi, Capelli e Macconi 2017]. Al presente, e al futuro, si intrecciano vicende antiche: è presente un interessante Museo etnografico dedicato anche agli strumenti musicali a fiato qui prodotti [Cecchetti e Zolla 2011], che fa parte della rete dell’Ecomuseo Cusius e alla cui realizzazione hanno contributo le stesse comunità, con i loro «pezzi» materiali e immateriali: oltre ai saxofoni, anche flauti, clarinetti, trombe e molti altri, sono custoditi ed esposti al pubblico a partire dagli anni Settanta del Novecento [18]
, destando attrazione in esperti e {p. 78}appassionati. Produzione ed esposizione si accoppiano ad altre iniziative portate avanti dallo stesso museo, dalla banda musicale a quelle dell’Associazione «Quarna. Un Paese per la Musica» che, da oltre vent’anni, propone una stagione musicale con nomi di rilievo, e organizza corsi e masterclass di rilievo internazionale [19]
. Sono presenti strutture ricettive e più di dieci associazioni no profit che organizzano attività ricreative e sportive. Si tratta, quindi, di comunità vive, che hanno saputo tramandare usi e costumi del passato, rendendoli materia viva su cui investire per nuove progettualità, generando un capitale sociale e territoriale «di senso», ancor prima che di ritorno economico.
Come accennato, con la chiusura della Ida Maria Grassi rimane un «vuoto» in paese, un contenitore ancora denso di significati ma svuotato delle sue funzioni, che per molti anni resta inutilizzato. Sulla sua percezione come bene comune, si innesta a partire dal 2016 [20]
il progetto di rigenerazione condivisa di questo spazio dismesso per farne un luogo di partecipazione, cultura, socialità [21]
. La comunità di Quarna ha lavorato con un forte senso identitario, e quindi emblematico, al recupero di questa struttura che si presentava ancora in buone condizioni, ideale per attività formative, artistiche e culturali che prevedono la compresenza di gruppi di persone; questo grazie alle sue grandi aperture con vista sul paese e sulle montagne circostanti, alla sua pianta semplice e alla quasi totale assenza di pareti interne. È stata così realizzata, al piano terra, una sala polifunzionale che si presenta come open space riscaldato e raffrescato di 300 mq, insonorizzato e dotato di strutture luci e proiezione, piccola regia e amplificazione, palco modulare e pianoforte a coda, dove si svolgono correntemente eventi musicali, di danza {p. 79}e teatro, corsi e workshop. È in corso di ristrutturazione il primo piano, con fondi pubblici e privati, per creare una biblioteca e uno spazio di coworking [22]
.
Cittadini e amministratori hanno agito insieme con obiettivi comuni e concreti, seguendo la logica del «fare» e attuando una gestione del bene ereditato secondo una sorta di «patto implicito»; in questa fase è importante lavorare per dare una forma organizzativa e amministrativa stabile ovvero per giungere a una struttura condivisa di governance e gestione. Non mancano alcune criticità insite nelle dinamiche di dualità tra amministrazione pubblica-cittadini volontari e anche tra mondo profit/no profit, e quindi anche nella sostenibilità di lungo periodo correlata alla gestione della struttura e dei suoi spazi. È indubbio, però, che sullo spartito della consapevolezza e della partecipazione, ri-suonano oggi, grazie a questo progetto, le note della condivisione e della creatività collettiva con cui riattivare la memoria storica e le risorse di un denso patrimonio culturale qui sedimentato, rendendole vive in questo luogo che è diventato un po’ la «casa delle comunità di Quarna». Gli «strumenti» non sono definiti a priori, in linea con il pensiero rodariano, e possono, o forse devono, camminare sulle gambe delle giovani generazioni per seminare e raccogliere i frutti del domani.

5. Qualche riflessione conclusiva

C’era due volte... Il titolo attributo a questo capitolo è, come anticipato, di ispirazione rodariana. Il personaggio del Barone Lamberto, che vive sull’Isola di San Giulio nel cuore del piccolo lago d’Orta, in Piemonte, è al centro di un racconto e di una vicenda a dir poco bizzarri: grazie alla ripetizione continua del suo nome, una, due, mille volte, viene attuato un meccanismo che lo sottrae alla morte, voluto e messo in pratica, grazie a sei persone pagate per farlo, dopo che il Barone aveva sentito una profezia al ri{p. 80}guardo da un santone arabo incontrato durante un viaggio in Egitto («colui il cui nome è sempre pronunciato resta in vita»). Una geografia intrigante e fantasiosa, che fa della narrazione il fuoco di questo «progetto salvifico». Rodari, come sempre, lascia liberi i lettori di immaginare il finale della «storia», tutto da scrivere e inventare.
E su questa linea creativa i territori possono divenire un po’ «Lamberti», nel senso che i processi di sviluppo che li riguardano poggiano su iniziative in grado di nominare e rinominare i loro beni e patrimoni al fine di mantenerli in vita. Gli strumenti mediante cui praticare questa «terapia sociale r-innovativa» sono, come visto, diversificati (mappe, cooperative, riuso di spazi ecc.) e si fondano sulla partecipazione attiva delle comunità locali. È la loro voce quella che, instancabilmente e appassionatamente, può produrre e alimentare una coralità di intenti, una visione condivisa e caleidoscopica di futuro. Questo è particolarmente vero nelle aree rurali che, nell’epoca post-pandemica, si riscoprono ecosistemi naturali e culturali densi di «cose» e valori su cui tessere strategie e attività. Lungo le Alpi, si manifestano numerosi percorsi rigenerativi [Corrado 2021] a opera di collettività – le «comunità progettanti» – impegnate non solo a disegnare e co-creare progetti mirati a obiettivi di rilancio nel breve periodo, quanto a produrre, mediante le azioni che li concretizzano, reti di sinergia e inte(g)razione che divengono espressione vivida di modelli di governance multilivello, collaborativi, e capaci di traghettare i «piccoli» contesti verso finalità di medio-lungo termine.
Note
[14] Rodari aveva inserito nel suo C’era due volte il barone Lamberto il Belvedere di Quarna Sopra tra i punti panoramici del lago; punto strategico da secoli, è turisticamente rilevante anche oggi, sia nella prospettiva del turismo outdoor che letterario.
[15] Dati comunali al 31 dicembre 2021.
[20] Immobile abbandonato, viene acquisito nel 2006 dal Comune di Quarna Sotto (http://cusio24.it/index.php/1859-quarna-progetta-il-futuro-nei-locali-di-una-fabbrica-dismessa-videointervista).
[21] Si tratta del progetto «Riapriamo la Grassi», finanziato attraverso il bando Emblematici Provinciali di Fondazione Cariplo, di cui la responsabile è Paola Bazzoni (https://www.labsus.org/2018/05/e-ora-di-cambiare-musica-la-grassi-da-spazio-abbandonato-a-bene-comune/).