Elena dell'Agnese, Daniel Delatin Rodrigues (a cura di)
Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c3
La forza della cooperativa e delle iniziative che ne sostanziano l’operato discende dal fatto di aver reso questo piccolo paese parte di circuiti locali e sovralocali, sia in relazione alla valorizzazione e promozione turistica che alla (ri)narrazione territoriale in senso allargato.
Mendatica ha vissuto, nel 2020 [9]
, le drammaticità derivanti da una pesante alluvione e dalla pandemia da Covid-19: è in quello stesso anno che Brigì ha rinnovato un patto di comunità siglato con gli enti locali per continuare a progettare e guardare al futuro nonostante le avversità. È partito, in questo modo, un nuovo percorso di recupero e rilancio, fondato sulla partecipazione come vero valore delle comunità sul territorio, che ha consentito alla cooperativa di portare il paese di Mendatica, quale unica realtà della regione Liguria, all’assegnazione della Bandiera Verde: si tratta di un riconoscimento di Legambiente per le buone pratiche in ambito alpino, ritenute innovative in termini di qualità ambientale e culturale, attribuito nel mese di giugno 2022 in occasione del VI Summit nazionale organizzato e promosso da Legambiente nell’ambito della campagna di informazione Carovana delle Alpi.

3. Una comunità che mappa

La partecipazione attiva e competente alla progettazione dei territori si esprime attraverso l’utilizzo di diversificati strumenti di rappresentazione, partecipazione e co-decisione, che consentono alle comunità locali di gestire una complessità paesistica, territoriale e sociale sempre maggiore [Maraviglia 2016]. Tra essi, la mappa di comunità esprime un efficace mezzo utilizzato nei processi di cartografia semantica, so{p. 72}ciale e culturale, costruita grazie al concorso e all’impegno di cittadini e cittadine che disegnano le componenti del proprio patrimonio sulla base del proprio sentire e percepire spazi e (s)oggetti. Tale mappa consente di lavorare su geografie e risorse perdute, o cadute in oblio, di profilarne i contorni, di farne emergere l’essenza ancorata nelle storie e vicende di paesaggi e genti [Cerutti, Cottini e Menzardi 2021]. Le radici del paesaggio vissuto, la consapevolezza delle sue componenti e le risposte alle emozioni ancora vive divengono, per le comunità locali, tramiti per cogliere le trasformazioni materiali e immateriali di un luogo [Turri 2014] e per fissarne le tracce su cui imbastire progetti territoriali capaci di visioni strategiche, collettive e condivise per un futuro realizzabile [Dematteis 2012]. Una mappa di comunità rispecchia le modalità di attribuzione di valore da parte delle comunità locali ai loro patrimoni territoriali, alle loro memorie, alle loro trasformazioni e visioni in prospettiva [10]
; include un insieme di relazioni invisibili fra gli elementi materiali e immateriali sedimentati. Pur essendo uno strumento imperfetto, impreciso e con alcune criticità [Zola 2022], va riconosciuta la sua portata in termini di capacità ed efficacia nel tradurre in concreto gli ideali e obiettivi dichiarati da numerosi progetti e casi lungo le Alpi e nelle zone rurali.
Tra questi Comuniterràe. Patrimonio, Cultura, Comunità nelle Terre di Mezzo del Parco Nazionale Val Grande, un’iniziativa culturale promossa dall’Associazione Ars.Uni.Vco con il Parco Nazionale Val Grande, sostenuta dal contributo della Regione Piemonte e dal supporto dell’Info-Point della Convenzione delle Alpi di Domodossola. Si tratta di un progetto culturale partecipato che ha avuto avvio nel 2016 con il percorso di costruzione delle mappe di comunità delle Terre di Mezzo e con un obiettivo gettato verso il lungo termine: la costituzione di un ecomuseo per la tutela del patrimonio culturale e lo sviluppo sostenibile del territorio. Coinvolge due Valli e dieci comunità [11]
, che attivano e portano con sé {p. 73}una rete diffusa di nuclei abitati in un territorio «di mezzo» tra i fondivalle e le terre alte di questo angolo di Piemonte. I suoi «numeri» sono importanti se letti e calati in questa realtà alpina marginale: alcune centinaia sono i beni, i luoghi, gli elementi del patrimonio sia materiale sia immateriale che compongono il substrato di una cultura diffusa e ancorata nei secoli e che, con Comuniterràe, stratificano e compongono un heritage capace di sintetizzare una forte biodiversità culturale e paesaggistica [12]
. Il processo partecipativo di creazione delle mappe di comunità ha visto entrare sin da subito in gioco oltre 250 abitanti: attenti, motivati, attivi e partecipi essi hanno innegabilmente determinato l’emersione e la ridefinizione dei profili identitari locali di cui essi si sono resi sostenitori e «progettisti di futuro», oltre che custodi e memori di storie.
Si tratta di un lungo e fitto percorso, ancora in fieri, che ha portato i partecipanti a misurarsi con il proprio ambiente, con le persone delle comunità e, quindi, con sé stessi. Dal confronto e dalle discussioni in merito alle trasformazioni che hanno interessato in modo piuttosto rapido questo territorio a partire dal secondo dopoguerra, sono emersi interrogativi sui possibili scenari di sviluppo, fondati sulla ricerca e messa in luce delle componenti ritenute maggiormente significative della cultura locale e delle sue molteplici declinazioni in termini di usi e costumi, storie e leggende, riti e feste, mestieri antichi, prodotti locali, dialetti, architetture tradizionali. Il risultato di questo percorso si è tradotto in concreto nella produzione di undici mappe di comunità delle Terre di Mezzo, una per ciascun Comune parte del progetto e una per l’intero contesto. Esito di un processo di mappatura che si è sviluppato in fasi successive di riconoscimento delle componenti patrimoniali, di loro «pesatura» soggettiva e finanche affettiva, di loro rappresentazione, tali mappe hanno assunto una veste grafica capace di restituire in modo empatico e sensibile quanto emerso dai tavoli e gruppi di lavoro: esse costituiscono, infatti, un {p. 74}prodotto creativo illustrato, parlante, mediante cui narrare geografie e storie di questi borghi alpini.
Questa «carta d’identità» culturale delle comunità, questo specchio in cui esse si riflettono, per riconoscersi, è divenuto anche un tramite per fornire a coloro che visitano o frequentano i loro territori, come ospiti, un modo efficace per comprendere e sentirsi parte di un processo lento e sostenibile di esperienzialità. Il narrare e il rappresentare non sono attività che le comunità delle Terre di Mezzo hanno eletto come conchiuse dentro le mappe prodotte, quanto piuttosto iniziative partecipate e condivise che hanno generato, con effetto moltiplicativo, altre progettualità: dal 2018, sono partiti i cosiddetti Comunitour, passeggiate comunitarie in cui gli abitanti rivestono il ruolo di guide e mediatori territoriali [13]
; è stato creato un archivio digitale storico e aggiornabile, che raccoglie interviste, immagini, video e documenti forniti dagli stessi abitanti e legati a ricordi e archivi propri o familiari; successivamente sono state realizzate e installate oltre 300 targhe romboidali dotate di QR-code che rimandano alle informazioni contenute nel sito web dedicato al progetto complessivo; sono state, poi, prodotte alcune carte tecnico-turistiche in collaborazione con il Touring Club Italiano.
A partire dall’autunno 2020, inoltre, i partecipanti di Comuniterràe hanno imboccato una via di sensibilizzazione e formazione specifica intorno ai temi ecomuseali. Numerosi webinar di confronto e discussione, rassegne focalizzate e incontri con esperti di altri territori ed esperienze ecomuseali già strutturate hanno portato alla formazione di alcuni gruppi tematici a scala locale che stanno lavorando in modo parallelo su specifici filoni patrimoniali intorno ai quali costruire la matrice identitaria e organizzativa dell’ecomuseo in corso di gestazione e implementazione.
Nella logica rodariana, questo progetto rientra in una «grammatica della fantasia» con cui continuare a scrivere i futuri passi e azioni, forte di alcuni elementi di solidità {p. 75}conquistati: a livello sovralocale, l’Europa si è «accorta» di Comuniterràe eleggendolo a progetto di ispirazione per altri contesti alpini rurali e marginali. Noto nella sua denominazione inglese Commonlands, nel 2019 riceve l’European Heritage Award/Europa Nostra Award nella categoria Education, Training and Awareness-Raising; nel 2020 vince il bando European Heritage Days Stories, ricevendo anche un grant con cui finanzia il progetto cartografico; sempre nel 2020 entra nel Catalogo delle buone pratiche del Cultural Heritage in Action Award, nella sezione Governance partecipata e partecipa al programma delle Peer-learning visit nel mese di maggio 2021. Risultati che premiano l’impegno corale sin qui investito e che spronano a continuare lungo sentieri condivisi.

4. Una comunità che ri-suona

Numerose città hanno sviluppato, in Italia, e più in generale in tutta Europa, progetti volti a rifunzionalizzare e recuperare all’uso positivo spazi e luoghi degradati o sottoutilizzati, dando vita a iniziative ed eventi partecipati per sostenere una nuova immagine e consapevolezza nei processi di riappropriazione di medio-lungo respiro che li hanno accompagnati. In alcune città italiane di provincia si possono riconoscere quartieri periferici che, pur caratterizzati da notevoli criticità e debolezze, esprimono vivacità e dispiegano energie potenziali quasi del tutto inaspettate [Cau 2016]. Gli interventi realizzati stanno ridefinendo le periferie come luoghi di innovazione e sperimentazione, e chiaramente questo non riguarda solo la dimensione urbana, poiché si tratta di «modelli ecosistemici» che si stanno moltiplicando anche in centri minori, paesi, aree interne e marginali dove la presenza di partnership cross-sector inconsuete e l’attivazione della popolazione locale fanno germogliare e crescere progetti trasversali agli ambiti del welfare municipale, della riqualificazione di spazi, della cura dei beni comuni, dell’educazione, della cultura [Dominici e Buongiovanni 2015]. Si tratta di progetti che dimostrano
{p. 76}come sia possibile rigenerare piccoli ma significativi luoghi pubblici per restituire (nuove) identità a diversi rioni o zone, per contrastare il degrado, per combattere l’abbandono e l’isolamento percepiti e/o reali, rendendo protagonisti e corresponsabili gli abitanti; progetti, anche low cost, in cui proprio questi ultimi diventano ideatori e attori di iniziative per migliorare gli spazi e delineare funzioni e usi rinnovati [Cau 2016]. Un’analisi della situazione nazionale aveva rilevato a inizio anni Duemila un fenomeno nuovo per i territori, quello di trovarsi «pieni di vuoti»: numerosi, infatti, i luoghi abbandonati mappati, dai cinema alle stazioni ferroviarie, dalle scuole agli uffici, dalle abitazioni alle strutture produttive e industriali [Campagnoli 2014]. Nel tempo, molti sono divenuti spazi vivi e aperti, laboratori di progettualità per la cui stessa rifunzionalizzazione si sono adoperate comunità locali attente e miste, mostrando sia caratteri endogeni di resilienza sia innesti di creatività e visioni partecipate. Questo grazie a iniziative di matrice fisica e materiale che sanno, al contempo, far leva sugli elementi immateriali di nuove modalità di governance e narrazione.
Note
[9] L’alluvione mise in ginocchio Mendatica, con danni per quasi 4 milioni di euro sul territorio.
[11] I 10 Comuni coinvolti sono: Trontano, Beura-Cardezza, Vogogna, Premosello-Chiovenda, San Bernardino Verbano, Cossogno, Miazzina, Caprezzo, Intragna e Aurano (in provincia del Verbano Cusio Ossola).
[13] Negli anni, questa iniziativa è cresciuta per dimensione e flussi arrivando a toccare quota 2.000 partecipanti nelle sue più recenti edizioni.