Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c10
Secondo una definizione di massima, lo smart farming è un comparto in cui la digitalizzazione agisce da catalizzatrice di innovazione e incremento della redditività delle
¶{p. 244}imprese, attraverso cui i fornitori di tecnologie agricole e le grandi corporation transnazionali raggiungono posizioni strategiche nel più ampio e variegato mercato economico digitale [Fraser 2022] tramite tecnologie digitali ad alto contenuto informazionale, sistemi automatici e raccolta dati: «l’attività agricola e il cibo saranno trasformati in reti intelligenti di oggetti connessi che sono sensibili al contesto e che possono essere identificati, percepiti e controllati da remoto [...] tali da generare nuovi meccanismi di controllo e modelli di business [Sundmaeker et al. 2016].
Se, però, dalla dimensione della smartness di singola impresa si passa a quella territoriale, l’infrastrutturazione tecnologica e i processi di digitalizzazione rivelano le perduranti forme di divario che caratterizzano le aree rurali tanto che la loro minor connettività è giudicata la vera e propria rural penality [Malecki 2003].
Come evidenziato da Visvizi e Lytras [2018], laddove nei contesti urbani gli avanzamenti innescati dalle ICT sono stati a lungo esplorati e anche problematizzati, l’applicazione, l’utilizzo e soprattutto gli effetti territoriali delle nuove tecnologie nelle aree rurali sono tradizionalmente meno studiati. Eppure, già a metà degli anni Ottanta si preconizzava la svolta impressa dalle ICT nelle aree rurali. Come ricordano Cowie, Townsend e Salemink [2020], nel 1984 Howard Newby, in un articolo dal titolo Rural Communities and New Technology, sosteneva che «per la prima volta dall’epoca della Rivoluzione Industriale le aree rurali possono partecipare alla svolta tecnologica in condizione di parità rispetto ai centri urbani» [Newby 1984, 19]. Insieme con altri studiosi, come Cairncross [1997], Newby postulava che con l’avvento della rivoluzione tecnologica le aree rurali avrebbero colmato la loro perifericità e risolto la debolezza intrinseca di legami informazionali grazie a un nuovo potenziale di connessione. Non è casuale che gran parte del dibattito sulla relazione tra sviluppo rurale e nuove tecnologie si declini in termini di connessione digitale attraverso la banda larga [Salemink, Strijker e Bosworth 2017] che, però, rappresenta tutt’oggi lo scoglio su cui si infrangono i desideri delle aree rurali. Oltre che barriere di tipo tecnico-infrastrutturale legate a ¶{p. 245}questioni morfologiche, l’assenza di una connessione a banda larga omogenea e diffusa è riconducibile a una massa critica di potenziali utenti non sufficiente a giustificare l’erogazione del servizio, e in generale a una fascia di popolazione mediamente più anziana e più restia all’adozione delle nuove tecnologie [OFCOM 2018].
3. Dalla Smart City allo Smart Village
Come già anticipato, se storicamente la smartness è stata promossa, mobilitata e, dunque studiata in riferimento ai contesti urbani, più recentemente le politiche alle diverse scale sempre più spesso ricorrono alle locuzioni Smart Territory o Smart Land [Bonomi e Masiero 2014], segnando non soltanto l’ampliamento squisitamente spaziale del paradigma – dalla città al territorio, appunto – ma anche l’estensione del suo potere performativo legato alla diffusione sempre più trasversale delle narrazioni intrise di tecno-entusiasmo.
Dal punto di vista definitorio, Smart Territory indica una strategia di utilizzo sostenibile ed efficiente delle risorse tramite l’integrazione e l’interconnessione di spazi fisici, sociali e digitali su scala urbana e/o regionale, le cui implicazioni non sono confinate al perimetro amministrativo di un singolo contesto urbano ma si ampliano a porzioni di territorio più ampie [Sargolini 2013; Garcia-Ayllon e Miralles 2015; Zvirbule, Rivza e Bulderberga 2017].
Questa visione riflette il ripensamento concettuale e operativo della tradizionale dialettica centro-periferia, urbano-rurale, resa complessa dai processi di trasformazione spaziale conseguenti alla riconfigurazione dei sistemi produttivi e, quindi, degli stili di vita e consumo delineatisi a partire dal secondo dopoguerra. Nuove forme di residenzialità ridisegnano i rapporti tra città e campagna che, da serbatoio di saperi ancestrali, rituali immutati e ritmi lenti, si insinuano, spesso in modo repentino, nei nuovi assetti territoriali plasmati dal fenomeno delle seconde case del sun belt e poi dall’insediamento residenziale periurbano e suburbano, suggellando l’ingresso della «campagna urbanizzata» di cui ¶{p. 246}parla Charrier [1994] e delle connesse funzioni svincolate dalle attività produttive agricole. Negli anni più recenti, il concetto di city-region incorpora le interazioni urbano-rurale sebbene, come ricorda Urso [2021], non sempre problematizzando in modo adeguato le relative influenze, determinando un’«assenza del rurale» come dimensione concettuale e operativa sia negli studi che nelle pratiche di pianificazione. L’esito è supporre che nient’altro esista al di fuori dell’urbano, che ha introiettato il non-urbano – il suo «Altro ontologico», lo definisce l’autrice – dissolvendone i confini, tanto che Soja e Kanai [2007] parlano di «urbanizzazione regionale estesa». In realtà, come dimostrato dall’autrice, urbano e rurale non riflettono categorizzazioni obsolete o irrilevanti, essendo entrambi coinvolti nei processi di metropolizzazione, sebbene il rurale con una minore rappresentatività e una capacità inferiore di incidere sui processi decisionali.
Il paradigma dello Smart Territory o della Smart Land, di contro, sembra ancorarsi al concetto di city-region ma attribuisce la stessa rilevanza alle due componenti urbana e rurale: l’obiettivo dello Smart Territory è infatti attivare nuove spazialità su cui innestare dinamiche di sviluppo che presuppongono l’integrazione tra spazi fisici, sociali e digitali a una scala non più esclusivamente urbana [Navío-Marco, Rodrigo-Moya e Gerli 2020; Graziano 2021a; 2021b].
Nell’alveo di questa visione «territorio-centrica» e non più urbano-centrica della smartness si delinea il concetto di Smart Village, che nasce operativamente nell’ambito delle politiche europee di rivalorizzazione delle aree rurali in seno alla RESR, Rete Europea per lo Sviluppo Rurale (ENRD, European Network for Rural Development) costituita nel 2008 dalla direzione generale per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale della Commissione europea. Concepita come hub di pratiche e scambi di flussi informativi sui programmi della politica di sviluppo rurale, la rete riunisce diversi stakeholders per il perseguimento di obiettivi strategici e il coordinamento delle traiettorie di sviluppo nelle aree rurali. Oltre a diverse organizzazioni europee, imprese di servizi per il comparto agricolo ed esperti, la RESR ingloba le ¶{p. 247}reti rurali nazionali, le autorità di gestione della politica di sviluppo rurale e i gruppi di azione locale (GAL) che, per la programmazione 2014-2020, hanno individuato una serie di gruppi tematici incentrati su alcune macroaree giudicate particolarmente rilevanti ai fini del perseguimento dei tre obiettivi principali, ovvero competitività, tutela dell’ambiente e inclusione sociale
[2]
.
Nell’ambito di una delle aree tematiche individuate, la Smart & Competitive Rural Areas, fra le sottoaree tematiche compare l’azione sugli Smart Villages (SV), lanciata nel 2017 dal Parlamento europeo con il supporto di diverse direzioni generali (AGRI, REGIO e MOVE) della Commissione europea
[3]
. Nei documenti programmatici, gli Smart Villages sono definiti come
comunità in aree rurali che utilizzano soluzioni innovative per migliorare la loro resilienza, poggiandosi su opportunità e punti di forza locali. Si basano su un approccio partecipativo per sviluppare e implementare la loro strategia al fine di migliorare le loro condizioni economiche, sociali e/o ambientali, in particolare mobilitando soluzioni offerte dalle tecnologie digitali. Gli Smart Villages si avvantaggiano della cooperazione e delle collaborazioni con altre comunità e attori nelle aree urbane e rurali. L’avvio e la realizzazione di strategie di Smart Village possono avvalersi di iniziative già esistenti e possono essere finanziate da diverse fonti pubbliche e private [4] .¶{p. 248}
Nel corso del primo anno di attività il gruppo tematico ha avviato una ricognizione di idee e iniziative di rivitalizzazione di servizi rurali – sanità, educazione, energia, trasporti, commercio – attraverso l’innovazione sociale digitale, resa più sostenibile da strumenti partecipativi e azioni community-led basati sull’utilizzo delle ICT. Durante il secondo anno, invece, l’azione tematica ha agito da «cassa di risonanza» per orientare le politiche verso l’adozione di strategie di SV e fornire una piattaforma di scambio e confronto tra le esperienze già avviate, ulteriormente consolidata nell’ultimo anno, coinciso con la pandemia da Covid-19 e un rinnovato interesse trasversale nei confronti della smartness.
3.1. Lo SV nell’evoluzione teorico-operativa delle strategie di sviluppo rurale
Il paradigma concettuale e operativo dello SV rappresenta il coronamento di una serie di politiche avviate su scala europea negli ultimi decenni per invertire la traiettoria di progressivo spopolamento e conseguente marginalizzazione socioeconomica delle aree rurali che, pari al 44,6% dell’intera superficie e con il 28% della popolazione europea, risultano accomunate proprio dalla crescente periferizzazione nonostante la varietà di assetti paesaggistico-territoriali, di specializzazione funzionale e modalità di organizzazione spaziale.
Una «marginalità» innescata principalmente dallo spopolamento, ma che si declina, seppur con diversi gradienti, in assenza o insufficienza di infrastrutture e servizi di base, nel graduale abbandono dei terreni agricoli per occupazioni più remunerative, alti tassi di abbandono scolastico e in generale nel profondo impoverimento in termini di capitale umano. Proprio il crescente spopolamento delle aree rurali è giudicato da ESPON [2017] una delle sfide più rilevanti dell’Unione perché foriero di ulteriori divari territoriali e, dunque, di nuove polarizzazioni socioeconomiche su scala regionale.
Attualmente, la tendenza progressiva allo spopolamen
¶{p. 249}to riguarda principalmente i territori rurali dell’Europa Orientale, nei quali i processi di ristrutturazione agricolo-industriale hanno impresso un’accelerazione ai fenomeni di inurbamento; i Paesi nordici e baltici, i cui territori sono da sempre caratterizzati da bassi tassi di popolamento; e infine le aree interne dell’Europa meridionale, nelle quali i nuovi divari amplificano polarizzazioni territoriali storicamente sedimentate.
Note
[2] Le altre aree tematiche sono: Long-Term Rural Vision, che si prefigge di valorizzare il potenziale delle aree rurali in relazione ad alcune sfide cruciali, come il cambiamento demografico, la connettività, il rischio di povertà e un accesso limitato ai servizi; Greening the Rural Economy, che intende tutelare e valorizzare gli ecosistemi agricoli e forestali, promuovendo la transizione verso un’economia agricola, agroalimentare e forestale a basso impatto ambientale e resiliente; Social Inclusion, che promuove l’«inclusione sociale», la riduzione della povertà e lo sviluppo economico nelle aree rurali; Generational Renewal, che si prefigge la riduzione dell’età media degli agricoltori in UE, favorendo la loro formazione e la propensione all’innovazione per supportare l’agricoltura sostenibile.
[3] Per ulteriori approfondimenti: https://enrd.ec.europa.eu/enrd-thematic-work/smart-and-competitive-rural-areas/smart-villages_en.
[4] Smart Villages Pilot Project, Briefing note, 21 febbraio 2019, https://enrd.ec.europa.eu/smart-and-competitive-rural-areas/smart-villages/smart-villages-portal_it.