Note
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D’altra parte, «nel secolo delle macchine e del mercato mondiale, il nostro lavoro personale non può più dare un contenuto spirituale alla nostra vita, come i prodotti di questo lavoro non possono provvedere interamente ai nostri bisogni materiali»: così H. De Man, La gioia nel lavoro, Bari, Laterza, 1931, p. 314. E pertanto, occorre edificare «una nuova sintesi del fine per il quale si lavora e del fine per il quale si vive», p. 321.
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A. Casiccia, Sulla cultura operaia e l’identità di classe, in «La Critica sociologica», n. 39-40, autunno 1976-inverno 1976-1977, p. 256.
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P. Rolle, Sociologia del lavoro, Bologna, Il Mulino, 1973, p. 263: «Se parliamo di lavoro come di una realtà generale e omogenea, è solo nel significato di rapporto sociale, di modo di utilizzazione della forza-lavoro».
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Scrivevo queste conclusioni mentre usciva su «La Stampa» una bella intervista di L. Tornabuoni a P. Volponi (La voglia dilavorare,30 novembre 1979). «Il lavoro è una vera e profonda vocazione umana», affermava lo scrittore, e pensava ovviamente al lavoro dal proprio punto d’osservazione, non da quello dell’operaio Albino Saluggia, il suo personaggio di Memoriale (Einaudi, Torino, 1962).
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È ambivalente il bisogno di lavorare, ma ancor più lo è l’odio per il lavoro»: così R. Alquati in AA.VV., Il mondo giovanile, Torino, Stampatori, 1979, p. 96. «Poiché passa attraverso il lavoro, il rifiuto operaio del lavoro non è mai totale, ma è un’utilizzazione negativa del lavoro»: R. A. Rozzi, Psicologi e operai, Milano, Feltrinelli, 1975, p. 223.
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S. Weil, La condizione operaia, Miland, Comunità, 1952, p. 23. Cfr. anche l’esperienza raccontata da R. Linhart, Alla catena, Milano, Feltrinelli, 1979.
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M. Tronti, Operai e capitale, Torino, Einaudi, 1966, p. 219.
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Ibidem, p. 236.
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O. Negt, Le condizioni per dirci marxisti, in «Rinascita», n. 39, 12 novembre 1979, p. 24.
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«Ciò non vuol dire che i valori scompaiono dalla vita dei giovani [...]. Ciò che scompare completamente è la stabilità dei valori»: così M. Bonolis, E. Reyneri, La questione giovanile: dalla crisi del mercato del lavoro a quella dei valori morali, in I giovani e il lavoro, Bari, De Donato, 1978, p. 209. «Anche la “morale” del lavoro li trova assai riservati: per essi il lavoro non è un dovere ma una necessità»: G. Girardi (a cura di), Coscienza operaia oggi, Bari, De Donato, 1980, p. 218.
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Per questo starei attento a parlare oggi di una vera e propria «destituzione di valore», a proposito del lavoro, come fanno P. Bassi, A. Pilati, 1 giovani e la crisi degli anni settanta,Roma, Editori Riuniti, 1978, p. 51. Faceva notare H. De Man mezzo secolo fa: «Il fatto che il pensiero si stacchi dal lavoro, forse è la prova che si pone il fine per il quale si vuole vivere, più in alto di quello per il quale si lavora», La gioia nel lavoro,cit., p. 322.
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S. Garavini, Non si torna indietro dal sindacato dei Consigli, in «Rinascita», n. 44, 16 novembre 1979. Mi pare che a questa prospettiva si possa applicare tranquillamente il giudizio critico che B. Trentin dà allo sforzo compiuto da Gramsci per far convivere la liberazione della classe e la gestione della fabbrica, attraverso «la capacità (libertà) di accettare come necessità quella che era ieri un’imposizione dell’avversario di classe»: cfr. L’autogoverno nella fabbrica e nella società, in «Mondoperaio», n. 9, settembre 1979, p. 111. Ma per l’appunto, questo è proprio quel che fa chi chiede ai giovani di accettare il lavoro per cambiare la fabbrica: ripropone cioè la medesima cultura del lavoro che viene rifiutata.
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T. Veblen osservava nel 1919, con una punta di dubbioso sarcasmo, che in un ordine sociale diverso, «dove il lavoro non sarebbe più il segno di particolare necessità economica [...], si può perfino concepire che esso arrivi ad assumere realmente quel carattere di nobiltà agli occhi del mondo, che talvolta assume nelle speculazioni dei benestanti, quando sono di buon umore»; possibilità che — soggiungeva — «è stata tenuta in gran conto da pensatori socialisti»: cfr. «Insoddisfazione e condizione sociale», in C. Wright Mills, Immagini dell’uomo, Milano, Comunità, 1971, p. 180.
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Si veda il giudizio comparato fornito da generazioni diverse di lavoratori sulle condizioni di salubrità del luogo di lavoro nella recente inchiesta ISTAT, Primi risultati di un’indagine campionaria su alcuni aspetti del lavoro, anno 1978, in «Notiziario Istat», serie 3, foglio 34, n. 2 bis, aprile 1979; e Ricerca di massa sulla condizione operaia alla Fiat, a cura di A. Accornero, A. Baldissera e S. Scamuzzi, «Congiuntura sociale», Bollettino Cespe, n. 2, febbraio 1980.
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I delegati di reparto, in «Quaderni di Rassegna sindacale», n. 24, dicembre 1969.
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«Per larga parte dei lavoratori, per la grande maggioranza della “fanteria proletaria”, di operai senza qualifica che sono stati la forza d’urto delle lotte degli anni passati, permangono quelle condizioni che essi sentono ancora oggi, malgrado le conquiste che abbiano realizzato, pesanti, nocive e oppressive nei termini più tradizionali»; così S. Garavini in Qualità del lavoro e dello sviluppo, Roma, Editrice sindacale italiana, 1979, p. 29. Cfr. anche la seconda parte del volume Coscienza operaia oggi, cit., pp. 127-57.
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«Domanda: Gli obiettivi di aumentare l’occupazione, migliorare la qualità del lavoro, non sono contraddittori con quello, egualmente perseguito, di aumentare la produttività?Risposta: Non mi sembra che il mutamento della qualità del lavoro rappresenti una scelta contraddittoria con un aumento della produttività [...] Chi sostiene una simile tesi tende a rinviare a una fase successiva, al mutamento radicale del sistema economico e sociale vigente, la soluzione dei problemi di produttività, di occupazione e di qualità del lavoro, che si pongono invece oggi e che non tollerano rinvìi»: intervista di P. Negro a B. Trentin, in «Rassegna sindacale», n. 41, 8 novembre 1979
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B. Trentin, in L’autogoverno nella fabbrica e nella società,cit. p. 110, parla di «superamento della divisione tecnica del lavoro, quale condizione necessaria per un superamento della divisione sociale del lavoro».
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A. A. Berle jr., G. C. Means, Società per azioni e proprietà privata, Torino, Einaudi, 1966. Sul processo d’intervento dello Stato e di socializzazione dell’economia, cfr. due recenti convegni pubblicati in Crisi e piano, Bari, De Donato, 1979; Stato e capitalismo negli anni trenta, Roma, Editori Riuniti, 1979.
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F. Butera, La divisione del lavoro in fabbrica, Padova, Marsilio, 1977, p. 80.
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Secondo J. Boggs, La rivoluzione americana, Milano, Jaca Book, 1968, p. 47, siamo «in un’epoca in cui tecnicamente per l’uomo è possibile semplicemente camminare per la strada e prendere il pane e il latte di cui ha bisogno». La citazione è di A. Negri e viene da Marx oltre Marx, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 174.