Character skills e didattica digitale
DOI: 10.1401/9788815374615/c6
Quanto alle tecnologie – in questo caso
la DAD/DDI vissuta e il gioco online proposto – oltre ad aiutare a
com{p. 175}prendere quale sia il vissuto dei nostri adolescenti, quali SES
essi manifestino e come si comportino in situazioni modellate ad hoc,
appare intrigante esplorare più a fondo le loro potenzialità come strumenti sia educativi,
sia conoscitivi. Sotto il primo profilo, due sono le considerazioni che l’indagine ci ha
consegnato. Anzitutto, che l’aspetto fortemente negativo della DAD è legato 1) allo stile di
vita, alle SES e alla motivazione degli alunni ancor più che alle loro
prestazioni; 2) che ciò dipende certamente dalle dotazioni tecnologiche – delle scuole e
delle famiglie – ma in misura nettamente maggiore dalle motivazioni e dalle competenze degli
insegnanti, in un contesto organizzativo e culturale a livello d’istituto scolastico che sia
facilitante e che non abbandoni i processi in atto alla sola iniziativa dei singoli docenti
«volenterosi». La capacità, volontà e possibilità pratica di questi ultimi di pensare e
realizzare la didattica digitale non come ripetizione della lezione in
presenza oppure come assegnazione di compiti da svolgere poi da soli (insomma, come una
forma di home schooling assistito), e viceversa di non de-potenziare
poi il «ritorno a scuola» qualificandolo soltanto sul lato del controllo sociale – si legga:
dedicando le ore in presenza fisica prevalentemente alle verifiche – è ciò che conta di più
per gli alunni. La motivazione e l’entusiasmo degli insegnanti sono il fattore più rilevante
in generale per spingere gli alunni oltre la caduta nella crisi o anche la mera «resistenza»
volontaristica che deprime altre qualità. Sono dunque, in parte, proprio le SES degli
insegnanti a correlarsi con quelle degli alunni in modalità che si devono ancora comprendere
e spiegare rigorosamente, ma comunque in un nesso che appare molto robusto – trasversalmente
a diverse situazioni relative alle classi e agli istituti scolastici. Anche questa
considerazione attende ulteriori studi. In fin dei conti, questa è la conferma di una verità
molto semplice, nota alla sociologia dell’educazione da molto tempo, eppure spesso
stranamente dimenticata: che come e quanto
s’impara dipende da come e quanto
s’insegna
[1]
.
¶{p. 176}
Infine, riconosciamo di buon grado di
avere vari compiti ancora da svolgere sul piano della ricerca.
Oltre agli spunti sottolineati sin qui,
accenniamo soltanto a due questioni che riteniamo fondamentali.
In primo luogo, il nesso tra tecnologia,
piattaforme e classware di varia natura, da una parte, e
socializzazione/educazione dall’altra va indagato in modo sistematico. La ricerca empirica
che si va accumulando a livello internazionale in diversi ambiti disciplinari andrebbe
ricompresa e interpretata in un quadro di riferimento che ripensi il processo di
socializzazione nel suo complesso. Naturalmente, ciò implica anche proseguire nella ricerca
sul campo.
Intrecciata con questo programma di
ricerca sta anche un’agenda più pratico-educativa, per cui una volta terminato – auspicando
che sia davvero possibile e che avvenga il più presto possibile – il momento storico della
pandemia e con esso il ricorso obbligato a varie forme di DAD, è sperabile che l’intero
discorso sulle tecnologie della e per l’educazione non vada in soffitta, come un lascito da
dimenticare perché legato anch’esso al periodo infelice delle quarantene e della chiusura
delle scuole. Il punto, insomma, è che il discorso educativo sulla tecnologia – nelle
scienze umane e sociali e all’interno dei sistemi educativi stessi – sia davvero liberato e
si svolga lontano dall’ombra del momento storico della pandemia, che pure ha contribuito a
richiamare su di esso l’attenzione non solo tra i ricercatori, ma nel dibattito pubblico.
Nel complesso, starà in ultima istanza
al lettore – specialista oppure no – decidere se questo libro avrà offerto un valore
aggiunto alle sue conoscenze, o abbia almeno stimolato i suoi interessi e le sue curiosità.
La speranza degli autori è di aver fatto emergere alcuni elementi utili a interpretare i
cambiamenti sociali in atto, in special modo nei sistemi educativi delle nostre società, e
di essere rimasti fedeli a una premessa basilare del loro studio: l’idea che l’emergere di
una generazione, con i suoi problemi, i suoi rischi e le sue potenzialità, si possa cogliere
soltanto attraverso le relazioni con le altre generazioni compresenti, evitando con ciò le
narrazioni unilaterali, gli etichettamenti ¶{p. 177}e i circoli viziosi –
insomma ogni forma di penser en rond. L’avventura educativa che
coinvolge «i giovani», «le scuole» e «le famiglie» riesce o fallisce attraverso
l’organizzarsi di relazioni positive o negative, cooperative o conflittuali, tra queste
polarità, i loro bisogni, i loro linguaggi e le loro culture. Anche il cosiddetto «impatto»
delle tecnologie in campo educativo sarà l’esito delle tensioni e delle interazioni
socio-culturali tra esse.
Note
[1] Tra le numerose trattazioni degli effetti della scolarizzazione che mettono in evidenza questo aspetto si veda Sørensen e Morgan [2000].