Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c1
La figura del tutor formativo per noi era molto importante: svolge un ruolo di mediazione tra famiglie, ragazzi, docenti. Ne abbiamo affiancato anche un altro (di tutor) perché si è rafforzato proprio questo rapporto con l’impresa. Il criterio è innanzitutto una grande disponibilità al coinvolgimento con le imprese, a capire le loro esigenze, una persona molto dinamica che visita le
{p. 46}aziende costantemente: questo è l’aspetto molto importante per noi e per le imprese [...] I tutor sono delle persone un po’ più adulte, perché pensiamo che anche nel rapporto con il ragazzo c’è bisogno di una persona che abbia un approccio adulto con lui, che sappia anche capire, valorizzare i suoi passi, ma anche magari riprenderlo e correggerlo quando necessario (SM1).
Prima fungeva solo da referente stage per i brevi periodi di stage in azienda nei percorsi triennali, mentre ora doveva dialogare con le aziende, all’inizio fungeva proprio da consulente per le aziende per far capire loro la grande opportunità che questo sistema duale portava con sé anche per il vantaggio del contratto di apprendistato di primo livello (CL1).
Rivisti profondamente i ruoli interni dell’organizzazione prevedendo un tutor formativo dedicato all’eventuale fase di contrattualizzazione, perché ci sembrava quello il momento topico attorno al quale si sviluppava questa nuova esperienza; quindi, abbiamo immaginato che i ragazzi avessero bisogno di un tutor formativo che li seguisse in particolar modo qualora fosse nata un’occasione di tipo contrattuale (SA1).
È un profilo professionale poliedrico poiché deve rapportarsi con soggetti diversi (altri docenti colleghi, lavoratori e imprenditori). Quindi, deve avere una capacità di ascolto e di sintesi, in grado di trovare punti di mediazione e d’incontro per definire obiettivi formativi, competenze da raggiungere. Ma deve essere in grado di alimentare una relazione positiva così da dare continuità di azione e, possibilmente, di allargare il raggio delle possibili partnership. Inoltre, si aggiunge anche una competenza educativa e psicologica: la relazione con gli/le allievi/e, il sostegno e l’indirizzo da offrire loro di fronte a eventuali difficoltà.
Alla fine, si tratta di una figura professionale «perno», necessaria e complessa da formare e da implementare all’interno delle organizzazioni. Sulla quale è necessario investire anche sotto un profilo di legittimazione sociale e di status.
bisogna [...] dare un riconoscimento sociale alla funzione di tutorship: il tutor formativo è un ruolo chiave che deve essere legittimato, se non si fa questo passaggio di legittimazione non si va da nessuna parte [...] Il passaggio fondamentale è che da {p. 47}insegnante (persona che trasmette sapere dal palco) è uno che scende dal palco e diventa guida all’apprendimento [...]. Bisogna fare un investimento nelle risorse umane e sociali che intervengono e nell’organizzazione (NT1).
Volendo fare un primo bilancio dell’esperienza duale, sotto il profilo didattico e organizzativo per gli enti, il risultato complessivo è largamente positivo per tutti i testimoni privilegiati. Ciò non di meno, è possibile individuare alcune criticità.
Innanzitutto, la sperimentazione ha avuto impatti problematici, com’era facile attendere, sul fronte dei docenti. Per qualcuno è avvenuto un vero e proprio «trauma culturale».
Per molti dei nostri docenti è stato traumatico, per molti di loro la teoria era la cosa più importante in assoluto. Fino a quando non ci siamo resi conto che se non la si faceva combaciare anche con un aspetto pratico non si andava da nessuna parte. Ci rendevamo conto che alcuni ragazzi in classe bravissimi poi in azienda non riuscivano a dare praticamente nulla, perché non erano mai stati allenati a misurarsi con un contesto lavorativo (DP2).
Il docente di matematica si deve mettere in testa che, se io sto facendo un progetto con i ragazzi, è inutile che vada a perdersi a insegnare disequazioni o altro, dovrebbe concentrarsi su metodi più smart per far ottenere al ragazzo l’obiettivo (NE1).
Il motivo di tale discontinuità trova origine in alcuni aspetti:
– in una sorta di «effetto spaesamento» della funzione docente poiché la capacità educativa tradizionalmente attribuita all’esclusivo ruolo della scuola e del docente, viene decentrata anche sul lavoro, generando così una sorta di «con-dominio educativo». In questo senso, viene ridefinito il ruolo e il peso della figura docente come non l’unico ed esclusivo depositario della formazione e dell’educazione;
– ciò significa destrutturare e scardinare i tradizionali metodi formativi, rivisitandoli nell’ottica di un apprendimento che avviene non più solo su testi o anche su esperienze lavorative, ma protette in classe, bensì direttamente nei luoghi di lavoro e di produzione;{p. 48}
– infine, ma non per importanza, l’idea di anticipare l’esperienza lavorativa già dal secondo anno del percorso formativo, in considerazione del fatto che il lavoro non è un’«alternanza», ma una modalità di «apprendimento educativo».
Le azioni intraprese per superare il cambiamento dell’impostazione didattica possono essere riassunte attorno a tre poli principali:
– aumentare o introdurre un lavoro interdisciplinare fra le diverse materie e sviluppando la maggiore collaborazione possibile fra i docenti nel predisporre i programmi formativi;
– realizzare percorsi di formazione ad hoc per i docenti in cui valutare le prospettive professionali per lo stesso corpo insegnante, così come sviluppare le relazioni fra i formatori scolastici, e fra tutor scolastici e aziendali;
– non da ultimo, c’è anche il tema di creare una reale «narrazione» del lavoro che superi gli stereotipi e l’immaginario collettivo, grazie anche alla costante collaborazione e presenza in classe di esponenti aziendali in grado di prefigurare il lavoro medesimo.
In secondo luogo, anche la figura del tutor formativo richiede un salto di qualità cui non tutti sono disponibili a realizzare.
In alcuni casi il tutor formativo non si è sentito o non ha voluto prendersi l’onere di fare un cambio di passo nel dialogo con le aziende [...] soprattutto per quei tutor che continuano a pensare che proporre i nostri ragazzi alle aziende, sia come chiedere loro un favore (NV1).
La precedente testimonianza incunea la necessità che l’introduzione di una sperimentazione come il duale non si risolva esclusivamente in virtù di nuove e più complesse capacità «organizzative». Ma richiede, prim’ancora, un cambiamento di prospettiva, una «discontinuità culturale» nei soggetti che la mettono in pratica. Senza una simile visione cognitiva risulta difficile realizzare un’innovazione reale. Sia sul versante dei docenti, così come delle imprese.{p. 49}
Sia i formatori (quindi i nostri insegnanti, con tutta la buona fede del caso) sia le aziende non hanno compreso fino in fondo la portata di questa sperimentazione, e quindi hanno cercato un pochino loro malgrado di ricondurla ai vecchi sistemi formativi [...] anche l’istituzione regionale ha commesso un po’ lo stesso errore: ha ricondotto tutto questo nei vecchi schemi della formazione classica ricorrente, invece è un’esperienza del tutto nuova, che andava gestita con una logica diversa (SA1).
Difficoltà di relazione tra tutor e aziende, che spesso fraintendono l’obiettivo del rafforzamento dell’alternanza scuola-lavoro con la disponibilità piena dell’allievo (NL1).
Dunque, resistenze dei docenti a uscire dai solchi di un insegnamento tradizionale, reticenze delle figure del tutor di modificare il proprio profilo, tentativi di ricondurre negli schemi tradizionali un’esperienza innovativa, sono le principali criticità emerse dal dialogo coi testimoni privilegiati. Appare evidente che la dimensione educativa e culturale di una piena comprensione delle finalità e degli obiettivi del duale sia il presupposto indispensabile per tutti i soggetti coinvolti affinché la sperimentazione possa avere un effetto reale.

4.3. Aziende

Riguardo alla scelta delle aziende con cui avviare una partnership, fra gli enti interpellati non c’è una visione comune, ma dipende molto dalle singole esperienze intraprese, dalle relazioni costruite nel tempo. Infatti, tutti i testimoni privilegiati interpellati hanno teso a sottolineare che la sperimentazione duale si è innestata sulla base di una rete di relazioni che era stata costruita in precedenza.
C’è chi ha preso l’abbrivio rapportandosi con le aziende più strutturate perché dotate di figure professionali dedicate alla gestione delle risorse umane, quindi con cui poter progettare adeguatamente gli inserimenti lavorativi. Altri, invece, e sono la grande maggioranza, hanno preferito stipulare accordi con le piccole, perché ritenute più attente alle persone, con un clima lavorativo meno impersonale e anonimo.{p. 50}
Sono aziende sensibili nei confronti della formazione dei giovani, che investono tempo e risorse per aiutare i ragazzi a crescere. È stato molto importante incontrare queste aziende, questi tutor aziendali che hanno insegnato e insegnano ai nostri ragazzi non solo a fare delle cose, ma insegnano anche quello che potrebbe essere la teoria, il contorno, cercano di dare tutta una serie di nozioni che non imparano a scuola (NP1).
Tuttavia, non si può estendere a tutte le micro e piccole imprese tout-court la capacità di accogliere positivamente, sotto il profilo educativo e formativo, gli ingressi degli/lle studenti/tesse. Perché legato alla cultura dei titolari dell’azienda, alla loro visione del lavoro, alla loro sensibilità ed esperienza.
[Nella piccola impresa si] può trovare un ambiente più familiare. Quindi questo è l’aspetto positivo. L’aspetto negativo evidentemente è che la piccola impresa ha più difficoltà a recepire che cosa vuol dire formare. Alcune hanno un po’ quell’abitudine del «ma tanto deve venir qui, intanto comincia a pulire, poi...», allora devi far capire loro che certamente la pulizia fa parte del pacchetto di competenze da acquisire, ma che se a una ragazza fai solo pulire i pavimenti alla fine del percorso non avrà acquisito le competenze né relazionali né lavorative (NL3).
La grande maggioranza si rivolge alle imprese di piccole dimensioni anche perché, è bene ricordarlo, sono quelle che caratterizzano il nostro panorama produttivo. Basti ricordare che oltre il 90% delle aziende appartiene alla categoria delle «microimprese» con meno di 9 addetti. Dunque, il sistema produttivo italiano è caratterizzato da una polverizzazione delle strutture produttive. È sufficiente scorrere la tabella 2 per osservare la diversità di imprese e settori, che ovviamente fa riferimento all’articolazione dei mercati locali.
In ogni caso, al di là delle dimensioni delle imprese, la logica comune con cui vengono attivate le partnership è prestare attenzione che nei luoghi di lavoro vi sia qualcuno che si prende cura e carico dei/lle giovani che saranno inseriti/e. L’impresa è un luogo educativo se qualcuno al suo interno s’impegna a seguire le persone, se l’impresa crede e investe nelle risorse umane, nella loro crescita, nell’allevare talenti.
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Note