La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c1
Come si può osservare dalla tabella
1, invece, dalle esperienze di innovazione didattica e all’insegna del duale rilevate,
nelle interviste svolte a livello nazionale, il panorama risulta assai più ampio e
diversificato. Tende a prevalere
¶{p. 36}la sperimentazione nel IV anno
(9 casi su 20), ma anche l’«impresa formativa simulata» (6 casi) concentrate nelle
regioni del Centro-Nord e soprattutto al I anno, mentre è praticamente assente
l’esperienza dell’«impresa formativa» (1 caso). Non mancano poi le iniziative di
alternanza scuola-lavoro (2 casi) e quelle di natura «rafforzata» (2 casi). Infine, in
alcuni enti ritroviamo l’esercizio dei «compiti di realtà» (2 casi) e la realizzazione
di «laboratori protetti» (2 casi).
Non trattandosi di un campione
rappresentativo o di un censimento degli enti di IeFP, queste informazioni vanno
considerate come puramente indicative. In ogni caso, offrono uno spaccato interessante e
variegato di quanto gli enti hanno realizzato negli anni dell’avvio della
sperimentazione. Segnalando, nel contempo, l’assenza di una regia nazionale e il
dispiegarsi degli enti nei rispettivi territori sulla base delle esperienze e delle reti
costruite precedentemente nel tempo, oltre che delle diverse condizioni in cui versano
le rispettive istituzioni regionali di riferimento.
Assistiamo, in secondo luogo, a un
mutamento di paradigma, dove non è più la scuola e la didattica al centro, ma avviene
una ricerca continua di relazione osmotica fra insegnamento e necessità produttive.
L’attività formativa non è più decisa ex ante seguendo schemi
preordinati, ma si plasma sulla scorta delle necessità che provengono dalle aziende,
rendendola così flessibile e adattabile, in relazione ai processi produttivi.
Questa impostazione non può non
avere anche dei riflessi di carattere organizzativo e, soprattutto, sui ruoli del
personale della IeFP, generando una seconda metamorfosi: l’identità dello studente
assume anche quella del lavoratore, gli insegnanti assumono le sembianze dei direttori
di produzione, i referenti stage prendono la funzione di coloro che interfacciano la
scuola con le aziende divenendo tutor piuttosto che project
manager.
All’inizio c’erano i responsabili stage che seguivano ogni corso; adesso i responsabili di stage non esistono più: oggi abbiamo i referenti dei rapporti con le aziende che si occupano di politiche attive del lavoro e dell’inserimento lavorativo [...]. ¶{p. 37}Prima avevamo persone delegate ad andare nelle aziende come tutor della formazione; oggi questa figura è stata trasformata nel project manager che segue il corso a tutto tondo e, quindi, cura l’organizzazione didattica ma anche i rapporti con le imprese in cui sono stati inseriti gli allievi (DP2).
Regione |
Esperienze innovative
realizzate legate al duale |
Piemonte |
I anno: impresa formativa simulata
II-III anno: alternanza scuola-lavoro |
Lombardia |
Alternanza scuola-lavoro
Sperimentazione duale (IV anno) |
Liguria |
Sperimentazione duale (IV
anno) |
Veneto |
Sperimentazione duale (IV anno)
Compiti di realtà Impresa formativa simulata |
Trentino-Alto
Adige |
Sperimentazione duale (IV
anno) |
Friuli Venezia
Giulia |
Sperimentazione duale (IV anno)
Alternanza scuola-lavoro Intrapresa (impresa formativa
simulata) Apprendistato duale |
Lazio |
Sperimentazione duale (IV
anno) |
Emilia-Romagna |
Alternanza scuola-lavoro
Intrapresa (impresa formativa simulata) Apprendistato
duale Sperimentazione duale (IV
anno) |
Molise |
Laboratori
protetti |
Toscana |
Sperimentazione duale (IV
anno) |
Campania |
Apprendistato
duale |
Abruzzo |
I anno: impresa formativa
simulata, con aziende madrine e poi tirocinio orientativo in azienda
IV anno: alternanza rafforzata |
Marche |
Impresa formativa simulata
Impresa formativa |
Calabria |
Laboratori
protetti |
Sicilia |
Compiti di
realtà |
Puglia |
Alternanza rafforzata
Apprendistato |
L’esito generale, in terzo luogo, è
il determinarsi di una serie di cambi di prospettiva:
– se nel percorso formativo
tradizionale l’obiettivo finale è quello di far crescere le competenze finalizzate al
supera¶{p. 38}mento dell’esame finale, nel caso del duale lo spostamento
avviene verso l’acquisizione delle abilità necessarie all’inserimento lavorativo. Non
che il raggiungere il traguardo finale (conseguimento del titolo di studi) non sia più
importante, ma il focus trasla verso l’assimilazione delle capacità che determinano
l’occupabilità delle persone;
– ne consegue che l’attività
formativa non ha come termine temporale l’esame finale, ma si proietta anche nel «dopo
scuola», ovvero nell’inserimento lavorativo, con particolare attenzione alle persone più
fragili. In questo senso, è auspicata una maggiore flessibilità di spostamento – durante
i percorsi – degli/lle studenti/esse da uno tradizionale a quello duale, e viceversa,
sulla scorta della capacità, abilità e motivazioni dei/lle giovani;
– inoltre, lungo questa linea di
riflessione, diventa necessario integrare maggiormente la didattica e i servizi al
lavoro, progettando le attività in un’ottica di medio-lungo periodo, prevedendo e
proponendo alle aziende l’inserimento lavorativo e l’apprendistato dopo il tirocinio o
l’esperienza di impresa formativa.
Come si può osservare, non siamo di
fronte a un mero processo di adeguamento a esigenze provenienti dal mercato o dalle
imprese. Piuttosto, si materializza un vero e proprio cambio di paradigma dell’azione
formativa che sposta il proprio baricentro dalla scuola o dall’ente, non all’interno
dell’impresa, ma in un territorio dove l’attività formativa si fonde con quella
lavorativa.
A questo punto, è utile considerare
alcune modalità realizzate, ma anche le asperità incontrate, in questo processo di
metamorfosi dell’azione formativa.
4.1. Programmazione formativa
Il duale ha richiesto un
sostanziale rimescolamento della programmazione formativa spostandola dall’assetto
«a canne d’organo», separate fra loro, indirizzate in modo parallelo, a modalità più
integrate, dove le discipline si mescolano fra ¶{p. 39}loro dando
vita a un processo il cui obiettivo è far crescere delle competenze, più che
ottenere una qualifica.
[...] il primo anno abbiamo cercato di dare ai ragazzi la maggior parte delle competenze possibili, proprio perché il secondo e il terzo anno invece, siccome c’è la parte corposa in azienda, anche in termini di ore, abbiamo rivisto la programmazione, cercando di puntare a una programmazione per competenze (NP1).
A questo nuovo amalgama si
somma anche una complessità organizzativa perché le attività in aula e sul lavoro
collimano in modi diversi. Con il paradosso che, ancorché definite per un anno
scolastico, è quasi certo che non potranno essere utilizzate per quello successivo.
Quindi, di volta in volta si tratta di operazioni tailor made.
Distribuire le ore di formazione in aula rispetto alle ore di formazione in azienda è uno degli elementi fondamentali. Infatti, non si possono utilizzare, in questo caso, dei calendari strutturati e ripetuti di anno in anno, secondo una direzione, ma questi calendari sono stati stabiliti in maniera mirata, per permettere anche ai ragazzi di svolgere la parte di attività di azienda, anche in alcuni casi con contratti di apprendistato, quindi al fine di favorire questi contratti (SC2).
Fra l’altro, la complessità
dell’organizzazione aumenta poiché nella progettazione non è solo coinvolto l’ente
di formazione, ma anche un soggetto terzo: l’azienda.
Nella programmazione formativa abbiamo dovuto introdurre la novità di avere un nuovo partner dentro la scuola, cioè l’azienda, che entrava anche all’interno del collegio docenti. Il cambio fondamentale è stato quello di ridefinire determinate competenze che non dovevano più essere solo appannaggio della scuola, ma anche dell’azienda (CM1).
Integrazione fra discipline per
costruire nuovi piani formativi all’insegna dell’acquisizione di competenze,
costruzione e decostruzione di calendari didattici all’insegna della flessibilità,
connessione con un terzo soggetto – azien¶{p. 40}da – che diventa
partner del progetto con cui si devono costruire codici e linguaggi omogenei: solo
questi fattori bene descrivono la complessità cui gli enti si sottopongono
nell’esperienza del duale e che ne ridefiniscono le modalità operative.
Parte integrante dell’attività
formativa è l’attività di orientamento e di indirizzo dei/lle giovani rispetto alla
possibilità di essere inseriti nel percorso duale. Si tratta di un’attività che
assume un particolare rilievo poiché – soprattutto in un inserimento lavorativo –
richiede capacità e abilità che non tutti i/le giovani possiedono in eguale misura
alla stessa età. Con il rischio di ingenerare eccessi di aspettative, stress elevato
che possono spingere taluni a rifuggire la situazione. Se consideriamo, poi, che non
di rado si tratta di soggetti con alle spalle situazioni scolastiche pregresse non
positive o che vivono in contesti deprivati socialmente, le possibilità di
confermare e innescare un circuito perverso sono elevate.
Di qui, più che una «selezione»
vengono attivati colloqui di valutazione sulle risorse disponibili degli/lle
alunni/ne, delle loro famiglie, così da poterli indirizzare nel modo migliore ed
evitare esperienze negative.
C’è sicuramente un primo momento di orientamento per capire quali sono i loro obiettivi, capire se sono anche in grado di gestire in maniera più autonoma la loro formazione, perché il duale presuppone che abbiano la voglia di lavorare e le competenze tecniche, ma presuppone anche che abbiano una capacità di autoformazione, perché devono imparare anche molto dall’esperienza che fanno e quindi devono costruirsi questo loro sapere in maniera più autonoma [...] Non tutti sono in grado: ci sono ragazzi che hanno bisogno invece di seguire un percorso più classico e quindi fatto di lezioni teoriche, pratiche [...] (NP1).Noi abbiamo orientatori psicologi in ogni centro i quali hanno proprio l’obiettivo di capire la tipologia di persone, quindi se è in grado o meno non solo di essere inserita in un percorso duale, ma anche di generare eventuale conflittualità, perché magari ha delle caratteristiche particolari, oppure se vi sono delle situazioni un po’ particolari di difficoltà [...] In ingresso viene fatto un orientamento fin dal primo anno e, rispetto al tema del duale, intercettando noi abbastanza anche ragazzi drop-out c’è quindi¶{p. 41}una varietà di età dei ragazzi in ingresso, vengono costituite delle classi tendenzialmente dove il ragazzo magari è un po’ più grande, quindi ha maggior facilità a reggere poi il percorso in azienda, perché comunque con un ragazzo troppo piccolo, il quindicenne, è difficile. Quindi vengono costruite con un criterio e viene anche definito già fin dall’inizio, in orientamento, che quella classe avrà un percorso – non il primo anno perché è parallelo – dal secondo anno in avanti con una curvatura duale. Questo è già chiaro in fase di colloquio all’inizio, perché incontriamo ogni ragazzo con la famiglia e li informiamo, non c’è semplicemente un’iscrizione del ragazzo ed è «immesso in una classe». Dal mese di luglio fino ai primi di settembre incontriamo tutti i ragazzi che si iscrivono e le loro famiglie e in quell’occasione c’è il c.d. colloquio di orientamento, che non è un colloquio di selezione (NF1).
Note