Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c1
Come si può osservare dalla tabella 1, invece, dalle esperienze di innovazione didattica e all’insegna del duale rilevate, nelle interviste svolte a livello nazionale, il panorama risulta assai più ampio e diversificato. Tende a prevalere
{p. 36}la sperimentazione nel IV anno (9 casi su 20), ma anche l’«impresa formativa simulata» (6 casi) concentrate nelle regioni del Centro-Nord e soprattutto al I anno, mentre è praticamente assente l’esperienza dell’«impresa formativa» (1 caso). Non mancano poi le iniziative di alternanza scuola-lavoro (2 casi) e quelle di natura «rafforzata» (2 casi). Infine, in alcuni enti ritroviamo l’esercizio dei «compiti di realtà» (2 casi) e la realizzazione di «laboratori protetti» (2 casi).
Non trattandosi di un campione rappresentativo o di un censimento degli enti di IeFP, queste informazioni vanno considerate come puramente indicative. In ogni caso, offrono uno spaccato interessante e variegato di quanto gli enti hanno realizzato negli anni dell’avvio della sperimentazione. Segnalando, nel contempo, l’assenza di una regia nazionale e il dispiegarsi degli enti nei rispettivi territori sulla base delle esperienze e delle reti costruite precedentemente nel tempo, oltre che delle diverse condizioni in cui versano le rispettive istituzioni regionali di riferimento.
Assistiamo, in secondo luogo, a un mutamento di paradigma, dove non è più la scuola e la didattica al centro, ma avviene una ricerca continua di relazione osmotica fra insegnamento e necessità produttive. L’attività formativa non è più decisa ex ante seguendo schemi preordinati, ma si plasma sulla scorta delle necessità che provengono dalle aziende, rendendola così flessibile e adattabile, in relazione ai processi produttivi.
Questa impostazione non può non avere anche dei riflessi di carattere organizzativo e, soprattutto, sui ruoli del personale della IeFP, generando una seconda metamorfosi: l’identità dello studente assume anche quella del lavoratore, gli insegnanti assumono le sembianze dei direttori di produzione, i referenti stage prendono la funzione di coloro che interfacciano la scuola con le aziende divenendo tutor piuttosto che project manager.
All’inizio c’erano i responsabili stage che seguivano ogni corso; adesso i responsabili di stage non esistono più: oggi abbiamo i referenti dei rapporti con le aziende che si occupano di politiche attive del lavoro e dell’inserimento lavorativo [...]. {p. 37}Prima avevamo persone delegate ad andare nelle aziende come tutor della formazione; oggi questa figura è stata trasformata nel project manager che segue il corso a tutto tondo e, quindi, cura l’organizzazione didattica ma anche i rapporti con le imprese in cui sono stati inseriti gli allievi (DP2).
Tab. 1. Le sperimentazioni e le innovazioni formative realizzate
Regione
Esperienze innovative realizzate legate al duale
Piemonte
I anno: impresa formativa simulata
II-III anno: alternanza scuola-lavoro
Lombardia
Alternanza scuola-lavoro
Sperimentazione duale (IV anno)
Liguria
Sperimentazione duale (IV anno)
Veneto
Sperimentazione duale (IV anno)
Compiti di realtà
Impresa formativa simulata
Trentino-Alto Adige
Sperimentazione duale (IV anno)
Friuli Venezia Giulia
Sperimentazione duale (IV anno)
Alternanza scuola-lavoro
Intrapresa (impresa formativa simulata)
Apprendistato duale
Lazio
Sperimentazione duale (IV anno)
Emilia-Romagna
Alternanza scuola-lavoro
Intrapresa (impresa formativa simulata)
Apprendistato duale
Sperimentazione duale (IV anno)
Molise
Laboratori protetti
Toscana
Sperimentazione duale (IV anno)
Campania
Apprendistato duale
Abruzzo
I anno: impresa formativa simulata, con aziende madrine e poi tirocinio orientativo in azienda
IV anno: alternanza rafforzata
Marche
Impresa formativa simulata
Impresa formativa
Calabria
Laboratori protetti
Sicilia
Compiti di realtà
Puglia
Alternanza rafforzata
Apprendistato
 
 
L’esito generale, in terzo luogo, è il determinarsi di una serie di cambi di prospettiva:
– se nel percorso formativo tradizionale l’obiettivo finale è quello di far crescere le competenze finalizzate al supera{p. 38}mento dell’esame finale, nel caso del duale lo spostamento avviene verso l’acquisizione delle abilità necessarie all’inserimento lavorativo. Non che il raggiungere il traguardo finale (conseguimento del titolo di studi) non sia più importante, ma il focus trasla verso l’assimilazione delle capacità che determinano l’occupabilità delle persone;
– ne consegue che l’attività formativa non ha come termine temporale l’esame finale, ma si proietta anche nel «dopo scuola», ovvero nell’inserimento lavorativo, con particolare attenzione alle persone più fragili. In questo senso, è auspicata una maggiore flessibilità di spostamento – durante i percorsi – degli/lle studenti/esse da uno tradizionale a quello duale, e viceversa, sulla scorta della capacità, abilità e motivazioni dei/lle giovani;
– inoltre, lungo questa linea di riflessione, diventa necessario integrare maggiormente la didattica e i servizi al lavoro, progettando le attività in un’ottica di medio-lungo periodo, prevedendo e proponendo alle aziende l’inserimento lavorativo e l’apprendistato dopo il tirocinio o l’esperienza di impresa formativa.
Come si può osservare, non siamo di fronte a un mero processo di adeguamento a esigenze provenienti dal mercato o dalle imprese. Piuttosto, si materializza un vero e proprio cambio di paradigma dell’azione formativa che sposta il proprio baricentro dalla scuola o dall’ente, non all’interno dell’impresa, ma in un territorio dove l’attività formativa si fonde con quella lavorativa.
A questo punto, è utile considerare alcune modalità realizzate, ma anche le asperità incontrate, in questo processo di metamorfosi dell’azione formativa.

4.1. Programmazione formativa

Il duale ha richiesto un sostanziale rimescolamento della programmazione formativa spostandola dall’assetto «a canne d’organo», separate fra loro, indirizzate in modo parallelo, a modalità più integrate, dove le discipline si mescolano fra {p. 39}loro dando vita a un processo il cui obiettivo è far crescere delle competenze, più che ottenere una qualifica.
[...] il primo anno abbiamo cercato di dare ai ragazzi la maggior parte delle competenze possibili, proprio perché il secondo e il terzo anno invece, siccome c’è la parte corposa in azienda, anche in termini di ore, abbiamo rivisto la programmazione, cercando di puntare a una programmazione per competenze (NP1).
A questo nuovo amalgama si somma anche una complessità organizzativa perché le attività in aula e sul lavoro collimano in modi diversi. Con il paradosso che, ancorché definite per un anno scolastico, è quasi certo che non potranno essere utilizzate per quello successivo. Quindi, di volta in volta si tratta di operazioni tailor made.
Distribuire le ore di formazione in aula rispetto alle ore di formazione in azienda è uno degli elementi fondamentali. Infatti, non si possono utilizzare, in questo caso, dei calendari strutturati e ripetuti di anno in anno, secondo una direzione, ma questi calendari sono stati stabiliti in maniera mirata, per permettere anche ai ragazzi di svolgere la parte di attività di azienda, anche in alcuni casi con contratti di apprendistato, quindi al fine di favorire questi contratti (SC2).
Fra l’altro, la complessità dell’organizzazione aumenta poiché nella progettazione non è solo coinvolto l’ente di formazione, ma anche un soggetto terzo: l’azienda.
Nella programmazione formativa abbiamo dovuto introdurre la novità di avere un nuovo partner dentro la scuola, cioè l’azienda, che entrava anche all’interno del collegio docenti. Il cambio fondamentale è stato quello di ridefinire determinate competenze che non dovevano più essere solo appannaggio della scuola, ma anche dell’azienda (CM1).
Integrazione fra discipline per costruire nuovi piani formativi all’insegna dell’acquisizione di competenze, costruzione e decostruzione di calendari didattici all’insegna della flessibilità, connessione con un terzo soggetto – azien{p. 40}da – che diventa partner del progetto con cui si devono costruire codici e linguaggi omogenei: solo questi fattori bene descrivono la complessità cui gli enti si sottopongono nell’esperienza del duale e che ne ridefiniscono le modalità operative.
Parte integrante dell’attività formativa è l’attività di orientamento e di indirizzo dei/lle giovani rispetto alla possibilità di essere inseriti nel percorso duale. Si tratta di un’attività che assume un particolare rilievo poiché – soprattutto in un inserimento lavorativo – richiede capacità e abilità che non tutti i/le giovani possiedono in eguale misura alla stessa età. Con il rischio di ingenerare eccessi di aspettative, stress elevato che possono spingere taluni a rifuggire la situazione. Se consideriamo, poi, che non di rado si tratta di soggetti con alle spalle situazioni scolastiche pregresse non positive o che vivono in contesti deprivati socialmente, le possibilità di confermare e innescare un circuito perverso sono elevate.
Di qui, più che una «selezione» vengono attivati colloqui di valutazione sulle risorse disponibili degli/lle alunni/ne, delle loro famiglie, così da poterli indirizzare nel modo migliore ed evitare esperienze negative.
C’è sicuramente un primo momento di orientamento per capire quali sono i loro obiettivi, capire se sono anche in grado di gestire in maniera più autonoma la loro formazione, perché il duale presuppone che abbiano la voglia di lavorare e le competenze tecniche, ma presuppone anche che abbiano una capacità di autoformazione, perché devono imparare anche molto dall’esperienza che fanno e quindi devono costruirsi questo loro sapere in maniera più autonoma [...] Non tutti sono in grado: ci sono ragazzi che hanno bisogno invece di seguire un percorso più classico e quindi fatto di lezioni teoriche, pratiche [...] (NP1).
Noi abbiamo orientatori psicologi in ogni centro i quali hanno proprio l’obiettivo di capire la tipologia di persone, quindi se è in grado o meno non solo di essere inserita in un percorso duale, ma anche di generare eventuale conflittualità, perché magari ha delle caratteristiche particolari, oppure se vi sono delle situazioni un po’ particolari di difficoltà [...] In ingresso viene fatto un orientamento fin dal primo anno e, rispetto al tema del duale, intercettando noi abbastanza anche ragazzi drop-out c’è quindi
{p. 41}una varietà di età dei ragazzi in ingresso, vengono costituite delle classi tendenzialmente dove il ragazzo magari è un po’ più grande, quindi ha maggior facilità a reggere poi il percorso in azienda, perché comunque con un ragazzo troppo piccolo, il quindicenne, è difficile. Quindi vengono costruite con un criterio e viene anche definito già fin dall’inizio, in orientamento, che quella classe avrà un percorso – non il primo anno perché è parallelo – dal secondo anno in avanti con una curvatura duale. Questo è già chiaro in fase di colloquio all’inizio, perché incontriamo ogni ragazzo con la famiglia e li informiamo, non c’è semplicemente un’iscrizione del ragazzo ed è «immesso in una classe». Dal mese di luglio fino ai primi di settembre incontriamo tutti i ragazzi che si iscrivono e le loro famiglie e in quell’occasione c’è il c.d. colloquio di orientamento, che non è un colloquio di selezione (NF1).
Note