Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c22
Giuseppe Gisotti e Eugenio Di Loreto Il paesaggio del dissesto idrogeologico
Notizie Autori
Giuseppe Gisotti è geologo, studioso di interazioni tra l’attività umana e l’ambiente. Già
dirigente dell’Ufficio Rilevamento geologico ed analisi di laboratorio del
Servizio geologico nazionale e membro della Commissione per la valutazione
dell’impatto ambientale del Ministero dell’ambiente. È presidente onorario della
Società italiana di geologia ambientale (SIGEA). Consulente tecnico per la PA e
per la magistratura. Ha pubblicato numerosi volumi e articoli.
Notizie Autori
Eugenio Di Loreto è geologo, ha svolto attività lavorativa come funzionario geologo direttivo
presso la Provincia di Roma, al Servizio idrografico e mareografico nazionale
della PCM, presso l’Ufficio geologico e sismico della Regione Lazio. È stato
presidente dell’Ordine dei geologi del Lazio, consigliere dell’Ordine nazionale
dei geologi, presidente della Sezione Lazio della Società italiana di geologia
ambientale SIGEA. È autore di numerose pubblicazioni a carattere scientifico e
divulgativo.
Abstract
Già nel mondo greco il legame tra uomo e natura è considerato un rapporto
armonico: il paesaggio naturale, locus amoenus, è avvertito come insieme in cui
l’uomo è compreso, congiuntamente con altre presenze vive. Con il termine "dissesto
idrogeologico" viene definito "qualsiasi disordine o situazione di squilibrio che
l’acqua produce nel suolo e/o nel sottosuolo". La legge-quadro sulla difesa del
suolo (183/1989) e le sue successive modificazioni hanno ribadito il significato del
termine. L’erosione superficiale e accelerata avviene sullo strato di suolo che
viene asportato dall’azione delle acque di pioggia e viene denudato dalla
vegetazione, con il conseguente assottigliamento dello strato arabile relativo a
suoli agrari o degli orizzonti di superficie per i suoli naturali (soil
degradation). I paesaggi delle pianure alluvionali sono profondamente legati al
rapporto con l’acqua del fiume, che ha determinato il modo in cui gli uomini hanno
costruito le attività produttive ed economiche fin dall’antichità. Il litorale è
stato definito come "il territorio, che segna il confine fra la terra e il mare, ed
un luogo di compromesso e di conflitto in continua evoluzione". In Italia, il 13%
della superficie nazionale pari a 43.000 km2 si trova sulle coste marine. Lungo il
litorale italiano, di 8.300 km, si sono sviluppati ben 646 comuni, con il maggior
peso demografico dell’intero Mediterraneo. Come intervenire sul territorio e sul
paesaggio a rischio idrogeologico? Secondo gran parte dei geologi italiani è
innanzitutto necessario abbandonare il concetto dello sviluppo finalizzato alla sola
crescita economica, e abbracciare l’idea della sicurezza e della bellezza.
Nell’attuale scenario legato ai cambiamenti climatici e all’innalzamento dei livelli
marini, i geologi hanno il dovere etico di condividere conoscenze e mettere a
disposizione esperienza e strumenti interpretativi del paesaggio.
1. Il paesaggio e la geologia
Già nel mondo greco il legame tra
uomo e natura è considerato un rapporto armonico: il paesaggio naturale, locus
amoenus, è avvertito come insieme in cui l’uomo è compreso,
congiuntamente con altre presenze vive. Con il termine generico «paesaggio» si indica
una nozione intuitiva derivante dalla percezione di un dato ambiente fisico più o meno
diversificato. In tale accezione il paesaggio è la manifestazione visuale di particolari
organizzazioni spaziali di elementi e strutture, nell’ambito delle quali un ruolo
particolare può essere svolto dalle rocce, dalla vegetazione e dalla presenza umana.
«Leggere» il paesaggio per conoscerlo, comprenderne i caratteri, le qualità e le
peculiarità, è un’azione che ciascuno di noi compie, in modo più o meno consapevole e
con sistemi di «lettura» diversi in funzione dei propri interessi, conoscenze e cultura.
Il paesaggio si propone alla visione come sintesi, fusione organica di ogni sua parte in
un tutto: come figurazione composita, costituita da singoli elementi, che si compongono
e si integrano, fino a dar vita ad un sistema visivo omogeneo. La «lettura»
estetico-percettiva consente di analizzare e valutare le qualità visive dei paesaggi
così come essi, in occasione di viaggi o di spostamenti quotidiani abituali, si
presentano nelle loro immagini ed espressioni figurative agli occhi dell’osservatore;
questo tipo di lettura, senz’altro la più diffusa e spontanea, porta a confrontare le
immagini di quel determinato paesaggio con quelle di altri luoghi conosciuti e
memorizzati assegnando, inconsciamente, una particolare componente dominante. Alla più
diffusa concezione percettivo-formale ed estetica del paesaggio (codificata dalla
legislazione italiana), va affiancata, e non sostituita, la definizione scientifica
¶{p. 396}derivante dalle scienze naturali, geologiche, biologiche,
forestali-agronomiche. Queste discipline studiano e valutano le diverse «componenti» del
paesaggio per acquisire una conoscenza del complesso sistema di vicende storiche delle
società che sono nate e si sono sviluppate in un determinato spazio e dei meccanismi di
trasformazione a cui il nostro pianeta è stato soggetto. In particolare, i geologi
dispongono di un apposito codice di lettura per studiare le rocce, che sono il
presupposto primo dell’esistenza di un paesaggio. Le formazioni geologiche racchiudono
nella loro natura e litologia le fasi salienti del lungo percorso, durato milioni di
anni, del nostro pianeta e ci raccontano una storia suggestiva fatta di sedimenti marini
ricchi di fossili, di antiche linee di costa, di isole coralline, di vulcani estinti e
di ghiacciai
[1]
. Le rocce sono poi state deformate dagli sforzi tettonici (agenti endogeni)
e plasmate dai fattori climatici (agenti esogeni) che hanno dato vita alle forme attuali
del rilievo. Né va dimenticato che le manifestazioni di questi agenti sono condizionate
dagli effetti dei pericoli geologici. L’interpretazione dei complessi lito-morfologici e
dei processi morfogenetici permette di individuare le unità del paesaggio
geologico in cui sono preminenti caratteri ed elementi di natura geologica
[2]
. Di seguito descriveremo alcuni paesaggi geologici che sono stati creati in
seguito ad eventi storici catastrofici di dissesto idrogeologico, testimoni di un
ambiente in continua e rapida trasformazione, con accenno ad alcune situazioni del
Veneto.
2. Il dissesto idrogeologico e le sue cause
Con il termine «dissesto
idrogeologico» viene definito «qualsiasi disordine o situazione di squilibrio che
l’acqua produce nel suolo e/o nel sottosuolo». La legge-quadro
¶{p. 397}sulla difesa del suolo (183/1989) e le sue successive
modificazioni hanno ribadito il significato del termine. Secondo un recente rapporto
dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale
[3]
, quasi il 94% dei comuni italiani è a rischio dissesto per alluvioni, frane
ed erosione costiera e oltre 8 milioni di persone vivono nelle aree ad elevata
pericolosità. È necessario tuttavia fare chiarezza su alcuni concetti generali legati ai
dissesti idrogeologici. Il Rischio (risk)
(R) è definito come il prodotto dei seguenti elementi:
Rischio = Pericolosità ×
Esposizione × Vulnerabilità
dove la
Pericolosità (hazard)
(P) è la probabilità che in una zona si verifichi un fenomeno
naturale potenzialmente dannoso, con una certa intensità entro un dato periodo di tempo.
La Vulnerabilità (vulnerability)
(V) del territorio colpito (compresi il valore dei beni in esso
contenuti, popolazione umana, edifici, servizi, infrastrutture) al verificarsi di un
fenomeno di una data magnitudo, espressa in una scala da zero
(nessun danno, in aree in cui non sono presenti opere umane e quindi nessun bene è
esposto) a uno (distruzione totale). Il Rischio idrogeologico è
legato agli elementi acqua (idro: pioggia e corsi d’acqua) e terra
(geo: suolo, roccia, detriti), ed è determinato dall’entità del
danno atteso in una data area e in un certo intervallo di tempo, in seguito alla
probabilità che si verifichi un evento naturale, dannoso per l’ambiente e per l’uomo,
come l’alluvione, la frana, la valanga e l’erosione marina. Possiamo distinguere tra i
fenomeni relativi al dissesto idrogeologico: l’erosione superficiale, le frane e gli
sprofondamenti di cavità sotterranee naturali ed artificiali, le valanghe (dissesto
geomorfologico); le alluvioni (dissesto idrologico); l’arretramento dei litorali
(erosione costiera). Questi eventi sono drammaticamente sotto i nostri occhi, in quanto
causano molte vittime, provocano danni ¶{p. 398}ingenti, con processi
che si ripresentano quasi regolarmente e colpiscono spesso gli stessi luoghi. Sono
inoltre tra i fenomeni responsabili di profonde trasformazioni del territorio che
modificano il paesaggio naturale e antropico.
Tra i fattori generali, spesso
concomitanti, responsabili dei dissesti idrogeologici, abbiamo:
- fattore meteoclimatico = piogge orarie intense e concentrate nello spazio, responsabili di quello che viene definito come cambiamento climatico;
- fattore morfologico e geologico = rilievi montuosi prospicienti le fasce costiere (piogge orografiche), aree acclivi, ecc.; formazioni geologiche predisposte a franare, quali le argille varicolori scagliose, i flysch tettonizzati e/o a prevalente componente argillosa, calcari e rocce molto fratturate;
- fattore antropico = realizzazione di insediamenti e infrastrutture in luoghi ad alto rischio (nelle aree di espansione delle piene fluviali; in aree in frana o in zone di frane quiescenti o di paleofrane); «cementificazione del territorio», che corrisponde al «consumo di suolo».
3. Interferenze tra i fenomeni di dissesto geomorfologico e le modifiche del paesaggio
L’erosione superficiale e
accelerata avviene sullo strato di suolo che viene asportato dall’azione delle acque di
pioggia e viene denudato dalla vegetazione, con il conseguente assottigliamento dello
strato arabile relativo a suoli agrari o degli orizzonti di superficie per i suoli
naturali (soil degradation). Il suolo vegetale
rappresenta la principale risorsa dell’agricoltura per la produzione di cibo. Un esempio
di tale fenomeno di dissesto è rappresentato dalle piramidi di terra (fig. 1) che si
sono formate dall’azione erosiva degli agenti atmosferici che hanno modellato il terreno
del versante della montagna.
Le piramidi di terra sono luoghi
geologici peculiari, detti geositi, ma hanno anche valenza turistica ed economica in
quanto si tratta di un paesaggio gradevole dal punto di vista estetico. I calanchi
invece rappresentano un esempio di ¶{p. 399}erosione accelerata connessa
all’azione dilavante delle acque piovane; sono diffusi e si impostano sui terreni
argillosi nelle aree collinari degli Appennini, e sono costituiti da strette vallecole
dai versanti ripidi e privi di vegetazione, separate da acuminate creste di argilla che
prendono l’aspetto di lame
[4]
. Le vallecole confluiscono in altre di dimensioni sempre maggiori, assumendo
una particolare geometria delle forme di erosione lineare con disposizioni a pettine,
radiale o a spina di pesce. Queste suggestive forme del paesaggio, delle vere e proprie
sculture naturali, si possono osservare con aspetti scenici spettacolari nei dintorni di
Civita di Bagnoregio (Viterbo), «la città che muore», o anche nei calanchi di Atri
(Teramo): qui sono note anche come «scrimoni» nella lingua del luogo oppure come
«bolge», con riferimento al
¶{p. 400}paesaggio infernale descritto da
Dante Alighieri nella Divina commedia. Sono luoghi di interesse non
solo scientifico e didattico, ma anche turistico.
Note
[1] E. Di Loreto, Ruolo della geologia nella redazione della relazione paesaggistica, in «Professione Geologo. Notiziario dell’Ordine dei geologi del Lazio», 2012, n. 31, pp. 22-27.
[2] G. Gisotti, Le unità di paesaggio. Analisi geomorfologica per la pianificazione territoriale e urbanistica, Palermo, Flaccovio, 2011.
[3] ISPRA, Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio. Edizione 2021, https://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/dissesto-idrogeologico-in-italia-pericolosita-e-indicatori-di-rischio-edizione-2021.
[4] F. Biondi et al., I rilievi collinari sulle argille, in «I paesaggi geologici italiani», 1, 1994, n. 4.