Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c22
Il litorale è stato definito come
«il territorio, che segna il confine fra la terra e il mare, ed un luogo di compromesso
e di conflitto in continua evoluzione»
[11]
. In Italia, il 13% della superficie nazionale pari a 43.000
km2 si trova sulle coste marine. Lungo il litorale
italiano, di 8.300 km, si sono sviluppati ben 646 comuni, con il maggior peso
demografico dell’intero Mediterraneo. All’avvicinarsi della stagione estiva il fenomeno
dell’erosione costiera dei litorali torna ad interessare l’opinione pubblica, in quanto
è possibile constatare i danni delle mareggiate e delle perturbazioni meteo invernali.
Negli ultimi trent’anni, circa 1.170 km di coste italiane sono state esposte a intensi
fenomeni erosivi, aumentati sensibilmente in frequenza e intensità, che hanno provocato
effetti spesso catastrofici, con ingenti danni all’economia turistica e alle
infrastrutture. Nel mese di novembre del 2022 nel litorale veneto si sono avuti oltre 3
milioni di euro di danni sulla costa, con circa 100.000 metri cubi di spiaggia erosi.
Fenomeni che sono ascrivibili anch’essi al dissesto idrogeologico.
¶{p. 405}
Le principali cause naturali
dell’erosione sono imputabili a due potenti agenti geomorfici: l’azione esercitata da
forti venti che creano mareggiate (intenso moto ondoso sotto costa) che provocano
l’asportazione dei sedimenti costieri (fig. 5) e producono modificazione della
fisiografia costiera. Accanto alle cause naturali, anche le attività umane hanno
influenzato notevolmente la stabilità della costa. Il diminuito apporto di sedimenti
fluviali e quindi l’erosione di fondo e laterale dei fiumi, legata ad opere antropiche
lungo i corsi d’acqua, concorrono ad aumentare i fenomeni erosivi che producono
arretramenti della linea di costa, a cui vanno aggiunte quelle derivanti dalla presenza
di opere portuali e opere di difesa litoranea, spesso mal progettate
[12]
. Nei territori costieri possono manifestarsi anche accrescimenti della linea
di costa con indesiderati o dannosi effetti di insabbiamento di opere portuali.
¶{p. 406}
6. Le misure per mitigare i fenomeni di dissesto idrogeologico e le modifiche del paesaggio
Come intervenire sul territorio e
sul paesaggio a rischio idrogeologico? Secondo gran parte dei geologi italiani è
innanzitutto necessario abbandonare il concetto dello sviluppo finalizzato alla sola
crescita economica, e abbracciare l’idea della sicurezza e della bellezza. Vitruvio
sosteneva che i parametri fondamentali dell’architettura sono: la
firmitas, cioè la struttura statica, ossia la valutazione di
sicurezza; la utilitas, cioè la funzionalità; e la
venustas, vale a dire l’estetica ossia la bellezza. Questi
criteri sono, secondo gli scriventi, punto di partenza per progettare i piani di
intervento, attraverso interventi strutturali e non strutturali atti a mitigare il
rischio idrogeologico, per affrontare le future trasformazioni e le sfide innovative che
attendono il nostro paese. L’identificazione della probabile area di inondazione in un
definito tempo di ritorno è una necessità cruciale per la razionale pianificazione
dell’uso del suolo in una pianura alluvionale
[13]
. La direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione e alla gestione dei
rischi di alluvioni dispone che, per ridurre i danni all’ambiente e al patrimonio
culturale (anche al paesaggio) apportati dalle alluvioni, gli stati membri producano dei
piani di gestione del rischio alluvioni (PGRA). Questi prevedono l’utilizzo integrato di
misure di prevenzione e protezione con sistemi di allertamento della popolazione.
Tra le misure strutturali per
gestire il rischio di alluvioni e la protezione dei centri abitati, in passato venivano
costruite opere rigide, come arginature in muratura e canali scolmatori, che anche se
hanno messo in sicurezza i centri abitati hanno avuto un grosso impatto sul paesaggio
naturale ed urbano, come la costruzione dei muraglioni del Tevere a Roma
[14]
. Sono invece da preferire opere aventi lo ¶{p. 407}scopo
esclusivo di laminazione delle piene, come le casse d’espansione (fig. 6). Quando la
portata di piena supera un dato valore di progetto, una parte viene derivata dall’alveo
e immessa nell’invaso limitrofo, dal quale viene scaricata gradualmente. Il resto rimane
in alveo, proseguendo verso valle con portate minori. Queste soluzioni, insieme a quelle
di ingegneria naturalistica e di rinaturazione degli alvei, sono da favorire, in quanto
poco impattanti sull’ecosistema fluviale e con costi assai minori rispetto a quello
delle opere rigide
[15]
.
Per quanto riguarda il rischio
geomorfologico, negli anni ’60 del secolo scorso vennero realizzate alcune opere
faraoniche per la stabilizzazione di pendii instabili. Emblematico è il muro di
contenimento di una ripida scarpata instabile che circonda l’abitato di Villapiana
(Cosenza), nel bacino del ¶{p. 408}torrente Satanasso (fig. 7). L’opera,
progettata e realizzata dalla Cassa per il Mezzogiorno, inorgogliva i progettisti e gli
abitanti. Come ben visibile nella figura, il muraglione ¶{p. 409}che
circonda la scarpata rocciosa con le sue rigide forme geometriche è un elemento
detrattore del paesaggio. L’opera poi è sovradimensionata rispetto all’abitato che si
vuole difendere. Per la sistemazione delle frane si può ricorrere a misure che
riguardano la stabilizzazione superficiale, la protezione dei pendii, il ripristino
della rete di drenaggio superficiale delle acque, la manutenzione ed il ripristino dei
terrazzamenti agricoli
[16]
. Questi interventi sono tipici del paesaggio agrario tradizionale delle
colline venete, mirabile e ordinato, come nella zona di Conegliano Valdobbiadene, dove
si coltiva il vitigno del prosecco (fig. 8). Per garantire la riduzione della velocità
di scorrimento delle acque superficiali e ridurre i fenomeni erosivi sono inoltre
necessarie la tutela dei boschi e la riforestazione.
Gli interventi strutturali
generalmente utilizzati per la difesa dei litorali dai fenomeni erosivi sono opere
rigide; pennelli; barriere frangiflutti; ripascimento. Talvolta le stesse opere di
difesa costiera hanno protetto la costa nel tratto interessato, ma hanno creato
sensibili erosioni nei tratti di litorale limitrofi. Per una gestione sostenibile di
questa unità geomorfologica e paesaggistica dei litorali sono da preferire interventi
non strutturali (buone pratiche per la pulizia degli arenili, delimitazione di aree
destinate alla ricostituzione delle dune costiere). Una conduzione delle zone costiere
incentrata sulla sostenibilità può avere successo solo attraverso una ricerca di
soluzioni tecnologiche adeguate per questo mutevole e fragile paesaggio.
7. Conclusioni
Già mezzo secolo fa, nel 1970, la
Commissione De Marchi aveva ipotizzato uno scenario futuristico rispetto ai mutamenti
climatici. Un campanello d’allarme inascoltato che arrivava da una fonte istituzionale,
in Italia la più autorevole. Nel nostro paese, negli ultimi dieci anni, registriamo un
drastico aumento degli eventi estremi, piove sempre di
¶{p. 410}più in
modo intenso e concentrato, con un aumento dei territori a rischio. Nelle conclusioni
della Relazione finale, la Commissione sottolineava l’urgenza dei
processi decisionali e la semplificazione nella fase autorizzativa
dei progetti, con controlli rigorosi durante la realizzazione degli
interventi e anzitutto indicava, come esigenza
pregiudiziale, la periodica manutenzione delle opere
per assicurare nel tempo la loro funzionalità. Tutti concetti di una straordinaria
attualità.
Note
[11] A. Arnoldus, E. Di Loreto, G. Gisotti, C. Mulder, C. Rustici e F. Zarlenga, I paesaggi geologici italiani, 2. Il Litorale e le dune costiere, in I paesaggi geologici italiani, supplemento a «Verde Ambiente», 1994, n. 3.
[12] Gisotti, Geologia per archeologi, cit.
[13] G. Gisotti, Acque, fiumi e paesaggi fluviali: una lettura in chiave idro-geo-morfologica, in «Geologia dell’ambiente», 2007, n. 4.
[14] E. Di Loreto e G. Gisotti, Geologia e idrologia urbana, in «Verde Ambiente», 1, 1994, n. 6.
[15] G. Gisotti, Ambiente urbano. Introduzione all’ecologia urbana, Palermo, Flaccovio, 2007.
[16] G. Gisotti, Principi di geopedologia, Bologna, Calderini, 1991.