Matelda Reho, Filippo Magni (a cura di)
Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c2

Giuseppe Piperata Il paesaggio: dalla tutela alla valorizzazione

Notizie Autori
Giuseppe Piperata è professore ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università IUAV di Venezia. Insegna Diritto amministrativo nella Scuola di specializzazione in Studi sulla pubblica amministrazione (SPISA) dell’Università di Bologna e alla scuola dei beni e delle attività culturali della Fondazione MiBAC. È co-direttore di "Munus", membro del consiglio di direzione di AEDON – Arti e diritto on line e membro del comitato scientifico della collana Studi di diritto pubblico di FrancoAngeli.
Abstract
Il paesaggio e i beni paesaggistici, ormai da alcuni anni, coabitano stabilmente all’interno del diritto del patrimonio culturale, in particolare all’interno di quel complesso legislativo nazionale contenuto nel c.d. Codice Urbani, il d.lgs. 42 del 22 gennaio 2004. La Repubblica tutela il paesaggio: non si tratta di uno slogan, ma di un principio fondamentale della nostra Costituzione (art. 9), grazie al quale si imprime un preciso impegno valevole in primo luogo per i nostri pubblici poteri. Tutela e valorizzazione del paesaggio e dei beni paesaggistici rimangono distinti anche riguardo agli strumenti che la legge mette a disposizione per garantirne gli obiettivi: più tradizionali e autoritativi quelli previsti per la tutela, trattandosi in questo caso di una funzione pubblica che implica l’esercizio di rilevanti poteri discrezionali; più innovativi e variegati quelli previsti per la valorizzazione, dovendo iscrivere tale attività ad una logica di servizio pubblico. Le politiche pubbliche che hanno ad oggetto la promozione della qualità paesaggistica spesso, si diceva, si intrecciano con altre politiche in una dinamica di integrazione che ne dovrebbe potenziare gli effetti. Si tratta della messa in campo di politiche che promuovono i valori paesaggistici di un territorio secondo una logica integrata che tenga in considerazione anche tutti gli altri contesti che con quello paesaggistico possono interagire.

1. Paesaggio e beni paesaggistici: una coabitazione giuridica necessaria

Il paesaggio e i beni paesaggistici, ormai da alcuni anni, coabitano stabilmente all’interno del diritto del patrimonio culturale, in particolare all’interno di quel complesso legislativo nazionale contenuto nel c.d. Codice Urbani, il d.lgs. 42 del 22 gennaio 2004. E la nostra riflessione può partire proprio da questi ultimi beni, in quanto quelli paesaggistici, insieme ai beni culturali, formano il patrimonio culturale della nazione al quale il citato Codice è dedicato e godono di una tradizione legislativa consolidata che a partire dalla legge Croce (l. 778 del 11 giugno 1922) e dalla legge Bottai (l. 1497 del 29 giugno 1939) ne hanno definito, in quanto bellezze naturali, un regime specifico di tutela. Oggi, il catalogo dei beni paesaggistici risulta più ampio che nel passato e raccoglie tre tipologie di beni paesaggistici, diverse a seconda dell’origine del vincolo (art. 134). La prima tipologia è quella dei beni paesaggistici per provvedimento, ossia gli immobili e le aree individuati attraverso un procedimento amministrativo, finalizzato all’adozione di una dichiarazione di notevole interesse pubblico del bene (artt. 136 ss.). Si tratta di singoli immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, le ville, i giardini e i parchi, ma anche complessi di cose immobili, come le bellezze panoramiche e persino i centri storici [1]
. C’è, {p. 60}poi, una seconda categoria composta dalle aree direttamente individuate come beni paesaggistici dalla legge, come per esempio alcuni territori costieri, alcuni fiumi e torrenti, i ghiacciai, i parchi e le riserve nazionali o regionali, le zone di interesse archeologico. Infine, è presente anche una terza tipologia rappresentata dalle ulteriori aree o immobili individuati e sottoposti a tutela da parte dei piani paesaggistici (art. 143).
Il paesaggio, invece, ha una dimensione di riferimento che va oltre i singoli beni paesaggistici, anche se con questi ultimi condivide il collegamento con il territorio come ricordato dal legislatore. I beni paesaggistici, infatti, sono prioritariamente quegli immobili o le aree elencate all’art. 134 del Codice «costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio» (art. 2, c. 3); il paesaggio a sua volta rappresenta «il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni» (art. 131, c. 1).
È quest’ultima, in particolare, una formulazione che trova le sue origini nell’articolato della Convenzione europea del paesaggio firmata a Firenze dagli stati membri del Consiglio d’Europa il 20 ottobre 2000, grazie alla quale è stato possibile superare l’idea del paesaggio come mera funzione di conservazione delle bellezze naturali, per approdare ad una visione più ampia e concreta, dello stesso inteso come forma integrale del territorio, ossia come «forma del paese nella sua interezza» [2]
, frutto di una interazione costante tra uomo e natura. Una nozione, questa, meno arbitraria di quella estetica, ma che valorizza anche l’elemento identitario e culturale di quelle porzioni territoriali nelle quali è rintracciabile il carattere paesaggistico [3]
. Oggi, quindi, il paesaggio può beneficiare di una sua identità definita e di una sua autonomia concettuale, anche se destinata ad interagire con altre politiche come quelle ambientale, agricola, turistica, {p. 61}pur rimanendo distinto da esse [4]
. È stato, infatti, ricordato recentemente dalla giurisprudenza amministrativa che, grazie alla Convenzione del 2000, è stato introdotto «un concetto certamente ampio di “paesaggio”, non più riconducibile al solo ambiente naturale statico, ma concepibile quale frutto dell’interazione tra uomo e ambiente, valorizzando anche gli aspetti identitari e culturali, di modo che è pertanto la sintesi dell’azione di fattori naturali, umani e delle loro interrelazioni a contribuire a delineare la nozione, complessa e plurivoca, di “paesaggio”»; tuttavia, tale approccio non giustifica l’accoglimento di una nozione «olistica» di paesaggio, dovendo rimanere ferme la sua autonomia e la distinzione tra questo e le altre materie, in primis l’ambiente [5]
.

2. Non solo tutela. La valorizzazione del paesaggio nel diritto del patrimonio culturale

La Repubblica tutela il paesaggio: non si tratta di uno slogan, ma di un principio fondamentale della nostra Costituzione (art. 9), grazie al quale si imprime un preciso impegno valevole in primo luogo per i nostri pubblici poteri. Pertanto, il paesaggio e i beni culturali debbono essere protetti attraverso gli strumenti che il legislatore mette a disposizione delle nostre istituzioni. Del resto, la tutela del paesaggio, afferma il Codice, «è volta a riconoscere, salvaguardare e, ove necessario, recuperare i valori culturali che esso esprime» (art. 131, c. 4). Un compito arduo, però, quello della tutela, dato che deve fare i conti con diversi fattori che non ne facilitano l’esercizio. Una prima difficoltà è sicuramente imputabile all’ampiezza dell’intero patrimonio paesaggistico nazionale – connotato anche da tratti di una {p. 62}eccezionalità che trova conferma nell’essere l’Italia il paese con il maggior numero di siti presenti nella lista UNESCO –, cui corrisponde, inversamente, una scarsa disponibilità di risorse economiche con le quali finanziare i tanti e necessari interventi di protezione dello stesso. Altri elementi di criticità che incidono sulle azioni di tutela sono indubbiamente rappresentati anche da alcuni fattori naturali (ad esempio, l’altissimo rischio sismico e idrogeologico che caratterizza il territorio italiano) e umani (come l’abusivismo) che quotidianamente minacciano il paesaggio e i beni paesaggistici.
Ma, accanto alla tutela, il Codice del 2004 ha avuto il merito di riconoscere il giusto rilievo anche ad un’altra dinamica alla quale paesaggio e beni paesaggistici debbono essere sottoposti, ossia la valorizzazione, che come la tutela è compito obbligatorio della Repubblica, in attuazione dell’art. 9 Cost.; entrambe concorrono «a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura» (art. 1, c. 2, del Codice).
Proprio nella prospettiva di tale intento promozionale, il Codice precisa all’art. 6, c. 1, e all’art. 131, c. 5, che la valorizzazione consiste in due strategie principali, quella della promozione della conoscenza del patrimonio culturale e quella della realizzazione delle migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, e comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. Inoltre essa, vista nella prospettiva del paesaggio, si arricchisce di ulteriori funzioni consistenti nella riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati e nella realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati.
Come visto, i punti di contatto tra tutela e valorizzazione del paesaggio non mancano, ma le due tipologie di azioni previste dal nostro ordinamento rimangono differenti. Si tratta di una diversità frutto soprattutto della posizione subordinata che il Codice attribuisce alla valorizzazione rispetto alla tutela: azione, la prima, oramai legittimata, ma che deve essere sempre «attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze» (art. 6, c. 2). {p. 63}
Ma altre differenze possono essere individuate, prendendo in considerazione ulteriori profili. Uno di questi può essere segnalato a proposito delle dinamiche che connotano i due tipi di intervento: come è stato notato, la valorizzazione del paesaggio consiste sempre in un facere, in quanto presuppone un intervento attivo diretto a incidere su di un bene o un’area, mentre la tutela può essere anche assicurata imponendo comportamenti passivi [6]
. Inoltre, i due scenari di azione attivano titoli legislativi differenti che legittimano l’intervento ora dello Stato, titolare di una potestà esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», ora delle regioni, competenti invece per gli aspetti riguardanti la «valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali» (risp. art. 117, c. 2, lett. s, e c. 3). Non è sempre facile individuare con esattezza il confine tra i due titoli competenziali, come dimostrano le numerose sentenze al riguardo rese dalla Corte costituzionale in seguito a conflitti tra Stato e regioni, come da ultimo a proposito della legge regionale della Puglia, di promozione del turismo rurale, che estendeva le possibili azioni di ampliamento sui manufatti storici pugliesi (l.r. 43 del 9 agosto 2019) [7]
o della legge regionale dell’Abruzzo che autorizzava interventi di valorizzazione sui trabucchi abruzzesi (l.r. 7 del 10 giugno 2019) [8]
. Da tali pronunce emerge come «allo Stato la giurisprudenza costituzionale riserva di massima […] la disciplina di cosa non fare, mentre le regioni rimangono libere di valorizzare i beni paesaggistici consentendo che gli stessi siano sì utilizzati attivamente dall’uomo, ma in forme ragionevoli (che non pongano nel nulla quanto lo Stato prescrive di conservare, tutelando)» [9]
. E, infine, ulteriori spazi di differenziazione tra tutela e valorizzazione
{p. 64}del paesaggio possono essere misurati anche rispetto al rapporto con i privati, i quali godono di un favor legislativo, che ne promuove il coinvolgimento e la partecipazione, sia come singoli che in forma associata, nello svolgimento delle attività di valorizzazione (art. 6, c. 3, del Codice). In ciò si registra anche un ulteriore momento di attuazione del dettato costituzionale, che all’art. 9 lascia intendere come il pluralismo, sia nella prospettiva del rapporto tra differenti livelli di governo sia nella prospettiva del confronto tra pubblico e privato, debba caratterizzare tutte le funzioni di governo del paesaggio e dei beni paesaggistici.
Note
[1] È il caso, ad esempio, del centro storico di Roma, ritenuto dalla giurisprudenza bene paesaggistico e come tale vincolato e oggetto di protezione «rinforzata», in quanto iscritto nella Lista del patrimonio mondiale UNESCO e ricompreso nel PTPR. Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II quater, 17967 del 30 novembre 2023.
[2] Così A. Predieri, Paesaggio, in Enciclopedia del diritto, vol. XXXI, Milano, Giuffrè, 1981, p. 514.
[3] P. Passaniti, Il diritto cangiante, Milano, Giuffrè, 2019, pp. 183 ss.
[4] In termini più ampi si rinvia a G. Piperata, Paesaggio, in C. Barbati et al., Diritto del patrimonio culturale, Bologna, Il Mulino, 2020, pp. 249 ss., e anche a Id., Il paesaggio come risorsa tra natura e cultura, in Atlante delle imprese culturali e creative in Italia 2023, Roma, Treccani, 2023, pp. 229 ss.
[5] In questi termini Cons. St., sez. IV del 28 gennaio 2022, n. 624.
[6] Cfr. G. Severini, La valorizzazione del paesaggio, in «Federalismi.it», 2006, n. 11, p. 7.
[7] Cfr. Corte cost., 26 gennaio 2021, n. 29.
[8] Cfr. Corte cost., 6 luglio 2020, n. 138.
[9] Così F. Guella, Conferme sulle competenze rispetto alla «non-materia» paesaggio: le possibilità di intervento regionale sui profili di «valorizzazione», nella disciplina dei c.d. trabucchi, in «Le regioni», 2020, n. 6, p. 1450.