Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c2
Ma altre differenze possono essere
individuate, prendendo in considerazione ulteriori profili. Uno di questi può essere
segnalato a proposito delle dinamiche che connotano i due tipi di intervento: come è
stato notato, la valorizzazione del paesaggio consiste sempre in un
facere, in quanto presuppone un intervento attivo diretto a
incidere su di un bene o un’area, mentre la tutela può essere anche assicurata imponendo
comportamenti passivi
[6]
. Inoltre, i due scenari di azione attivano titoli legislativi differenti che
legittimano l’intervento ora dello Stato, titolare di una potestà esclusiva in materia
di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», ora delle regioni,
competenti invece per gli aspetti riguardanti la «valorizzazione dei beni culturali e
ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali» (risp. art. 117, c. 2,
lett. s, e c. 3). Non è sempre facile individuare con esattezza il confine tra i due
titoli competenziali, come dimostrano le numerose sentenze al riguardo rese dalla Corte
costituzionale in seguito a conflitti tra Stato e regioni, come da ultimo a proposito
della legge regionale della Puglia, di promozione del turismo rurale, che estendeva le
possibili azioni di ampliamento sui manufatti storici pugliesi (l.r. 43 del 9 agosto 2019)
[7]
o della legge regionale dell’Abruzzo che autorizzava interventi di
valorizzazione sui trabucchi abruzzesi (l.r. 7 del 10 giugno 2019)
[8]
. Da tali pronunce emerge come «allo Stato la giurisprudenza costituzionale
riserva di massima […] la disciplina di cosa non fare, mentre le regioni rimangono
libere di valorizzare i beni paesaggistici consentendo che gli stessi siano sì
utilizzati attivamente dall’uomo, ma in forme ragionevoli (che non pongano nel nulla
quanto lo Stato prescrive di conservare, tutelando)»
[9]
. E, infine, ulteriori spazi di differenziazione tra tutela e valorizzazione
¶{p. 64}del paesaggio possono essere misurati anche rispetto al rapporto
con i privati, i quali godono di un favor legislativo, che ne
promuove il coinvolgimento e la partecipazione, sia come singoli che in forma associata,
nello svolgimento delle attività di valorizzazione (art. 6, c. 3, del Codice). In ciò si
registra anche un ulteriore momento di attuazione del dettato costituzionale, che
all’art. 9 lascia intendere come il pluralismo, sia nella prospettiva del rapporto tra
differenti livelli di governo sia nella prospettiva del confronto tra pubblico e
privato, debba caratterizzare tutte le funzioni di governo del paesaggio e dei beni
paesaggistici.
3. Le azioni di valorizzazione per migliorare la qualità del paesaggio: piani, progetti, politiche
Tutela e valorizzazione del
paesaggio e dei beni paesaggistici rimangono distinti anche riguardo agli strumenti che
la legge mette a disposizione per garantirne gli obiettivi: più tradizionali e
autoritativi quelli previsti per la tutela, trattandosi in questo caso di una funzione
pubblica che implica l’esercizio di rilevanti poteri discrezionali; più innovativi e
variegati quelli previsti per la valorizzazione, dovendo iscrivere tale attività ad una
logica di servizio pubblico. Volendo, in particolare, concentrarsi su questi ultimi, si
potrebbe dar conto di tre scenari di azione attraverso i quali realizzare interventi di
valorizzazione paesaggistica: lo scenario pianificatorio, quello progettuale e quello
delle politiche.
Il piano paesaggistico è per il
Codice del 2004 il principale strumento di valorizzazione del paesaggio. Per espressa
previsione legislativa, infatti, il piano paesaggistico deve contenere anche la
«individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree
significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione
compatibili con le esigenze della tutela» (art. 143, c. 1, lett. g). All’interno dei
piani paesaggistici, quindi, possono essere definiti e dettagliati gli specifici
progetti di valorizzazione del paesaggio, indicando anche le misure organizzative e gli
attori chiamati a realizzarli. Il modello di ¶{p. 65}pianificazione del
paesaggio proposto dal Codice presenta, in parte, profili innovativi, ma sotto
molteplici aspetti è in linea con la tradizione. Le regioni possono approvare un
apposito piano paesaggistico oppure un piano urbanistico-territoriale che tenga anche
conto dei valori paesaggistici. In ogni caso, l’attività di pianificazione del paesaggio
è da considerarsi obbligatoria per le regioni, che la esercitano insieme al Ministero
solo per i beni paesaggistici, mentre per il «paesaggio residuo» procedono
autonomamente. L’attività di pianificazione non è fine a sé stessa, ma è strumentale a
far conoscere, salvaguardare, pianificare e gestire il territorio in ragione dei valori
che esso esprime. Oggetto del piano è il territorio regionale nella sua interezza e deve
individuare e riconoscere «gli aspetti e caratteri peculiari, nonché le caratteristiche
paesaggistiche», arrivando anche a delimitarne «i relativi ambiti» (art. 135). A oggi,
solo cinque regioni hanno approvato i piani paesaggistici secondo l’impianto previsto
dal nuovo Codice, ossia Puglia, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Lazio, mentre
la Sardegna lo ha approvato relativamente al solo ambito costiero.
In molte regioni italiane la
valorizzazione del patrimonio paesaggistico regionale è stata affidata anche a specifici
strumenti progettuali, spesso identificati proprio come progetti di valorizzazione del
paesaggio. A tale particolare scenario di azione possono essere ricondotte differenti
esperienze regionali, che si distinguono tra loro per il collegamento più o meno
strumentale del progetto di valorizzazione con il più ampio piano paesaggistico. Esso è
evidente e molto marcato nella legge regionale dell’Emilia-Romagna, la l.r. 24 del 21
dicembre 2017, che disciplina i Progetti regionali di tutela, recupero e valorizzazione
del paesaggio (art. 67)
[10]
. Si tratta di strumenti attraverso i quali la regione persegue il
miglioramento della qualità territoriale e il rafforzamento delle diversità locali,
attraverso il recupero delle aree compromesse o degradate e la produzione di nuovi
valori paesaggistici, ¶{p. 66}ma tale iniziativa deve essere sviluppata
all’interno di quei contesti identitari individuati dal PTPR. Tra l’altro, la promozione
di tali progetti presuppone il coinvolgimento degli enti territoriali, mediante accordi
ai quali possono aderire anche gli organi periferici del Ministero o altre
amministrazioni statali e il ruolo di supporto finanziario da parte della regione.
L’accordo con il Ministero acquista una particolare importanza nei casi in cui i
progetti di paesaggio riguardano le aree indicate dall’art. 67, c. 2, come
preferenziali, ossia i territori sui quali insistono immobili o aree di notevole
interesse pubblico, ai sensi del Codice del 2004.
In parte diverso è l’approccio
seguito dalla l.r. 14 del 16 giugno 2008, della Regione Piemonte, un provvedimento
legislativo contenente le norme per la valorizzazione del paesaggio, attraverso le quali
promuovere politiche e azioni per migliorare la qualità dei paesaggi e l’integrazione
degli stessi all’interno dei vari contesti di governo del territorio. Contribuiscono a
queste strategie i progetti per la qualità paesaggistica (art. 3), strumenti con i quali
le amministrazioni pubbliche locali, ma anche i privati, possono contribuire a
migliorare i beni paesaggistici presenti sul territorio, grazie anche a contributi
finanziari all’uopo riconosciuti dalla regione. I progetti presentati non
necessariamente si devono collegare a strategie pianificatorie, ma, se presentati in
quanto previsti nell’ambito di strumenti di pianificazione comunale adeguati ai
contenuti degli strumenti di pianificazione paesaggistica oppure in quanto riconducibili
a siti UNESCO o a parchi, hanno una priorità rispetto agli altri.
L’esempio richiamato dell’esperienza
regionale piemontese ci permette di approfondire l’ultimo degli scenari ipotizzati in
tema di valorizzazione del paesaggio: quello delle politiche. È ormai opinione comune
l’idea secondo la quale la promozione dei valori paesaggistici, anche attraverso la loro
ricostruzione e l’implementazione della loro qualità, sia fondamentale per le comunità
di riferimento, considerato il contributo positivo che essi offrono al benessere delle
popolazioni e all’implementazione, in generale, delle iniziative economiche e sociali e,
nello specifico, di quelle turistiche. A conferma di quanto appena detto, basta
segnalare che ¶{p. 67}da alcuni anni il paesaggio insieme al patrimonio
culturale è indicato come parametro di riferimento del rapporto annuale con il quale
l’ISTAT registra il livello di benessere equo e sostenibile in Italia. Nel Rapporto BES
(benessere equo e sostenibile) del 2022, viene evidenziato lo sforzo dei pubblici poteri
nel promuovere la qualità paesaggistica attraverso specifiche politiche, anche di
finanziamento, considerata la maggiore consapevolezza sull’importanza che i beni
paesaggistici hanno assunto nella vita e nella quotidianità degli individui. Tuttavia,
allo stesso tempo, emerge anche un serio aumento del grado di insoddisfazione e di
preoccupazione della popolazione per quei fenomeni di degrado e deterioramento che su di
essi incidono. È un segno evidente di come stiano crescendo nel nostro paese la
considerazione sociale per il paesaggio, il riconoscimento del suo valore e la
preoccupazione per la sua salvaguardia.
Le politiche pubbliche che hanno ad
oggetto la promozione della qualità paesaggistica spesso, si diceva, si intrecciano con
altre politiche in una dinamica di integrazione che ne dovrebbe potenziare gli effetti.
Gli esempi che si potrebbero portare sono diversi, ma basta richiamarne due. Il primo è
rappresentato dalla c.d. Direttiva cammini, una direttiva emanata dal MiC nel gennaio
2016, che disegna alcune azioni concrete con le quali valorizzare il patrimonio
materiale ed immateriale associato ai cammini e ai sentieri storici attraverso modelli
di fruizione e gestione in grado di assicurare una integrazione tra tutti i contesti
ambientali, agricoli, turistici e non solo paesaggistici che essi richiamano.
Il secondo esempio è rappresentato
dalle politiche di finanziamento in materia di strategie di valorizzazione paesaggistica
promosse dal piano nazionale di ripresa e resilienza. Il PNRR, infatti, destina oltre
600 milioni di euro agli interventi di tutela e di valorizzazione del patrimonio rurale.
L’intento è quello di usare la leva economica per salvaguardare paesaggi storici rurali
che rischiano di scomparire. Ma, in parallelo, le risorse messe in campo dovrebbero
anche valorizzare in chiave turistica i contesti territoriali, in modo da promuovere
anche le attività agricole e artigianali ¶{p. 68}tradizionali, nonché la
qualità della vita di coloro che in quei contesti vivono. Ancora una volta, si tratta
della messa in campo di politiche che promuovono i valori paesaggistici di un territorio
secondo una logica integrata che tenga in considerazione anche tutti gli altri contesti
che con quello paesaggistico possono interagire.
Note
[6] Cfr. G. Severini, La valorizzazione del paesaggio, in «Federalismi.it», 2006, n. 11, p. 7.
[7] Cfr. Corte cost., 26 gennaio 2021, n. 29.
[8] Cfr. Corte cost., 6 luglio 2020, n. 138.
[9] Così F. Guella, Conferme sulle competenze rispetto alla «non-materia» paesaggio: le possibilità di intervento regionale sui profili di «valorizzazione», nella disciplina dei c.d. trabucchi, in «Le regioni», 2020, n. 6, p. 1450.
[10] Sia consentito rinviare a G. Piperata, Il paesaggio nella nuova legge sulla tutela e l’uso del territorio della regione Emilia-Romagna, in «Rivista giuridica dell’urbanistica», 2020, n. 2, pp. 561 ss.