Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c18
Margherita Vanore Dal gray al green. Infrastrutture e paesaggi in transizione
Notizie Autori
Margherita Vanore è professoressa ordinaria di Composizione architettonica e urbana presso
l’Università IUAV di Venezia. Promotrice e coordinatrice dell’area di ricerca
"Architettura e Archeologie" (2008-2010) e dell’unità "Architettura e Paesaggi
della produzione" (2010-2018), è responsabile dello sviluppo del laboratorio
PRIDE.IT – Pro Research in Integral Design Environment, nell’ambito del
Dipartimento di eccellenza di Cultura del progetto, per l’infrastruttura di
ricerca IR.IDE.
Abstract
Un progetto per la trasformazione sostenibile mira a superare quei modelli che
promuovono l’estrazione di risorse non rinnovabili e a conformare i luoghi come
componenti attive di processi rigenerativi. Ciò è parte di un cambiamento culturale
che coinvolge tanto gli stili di vita quanto l’ambiente costruito e i sistemi
infrastrutturali del territorio. La rete delle infrastrutture è da sempre
responsabile di un forte impatto nella morfologia territoriale e urbana. Nel
processo contemporaneo di trasformazione delle infrastrutture in sistemi o
dispositivi green, capaci di innestare una transizione ecologica, assumono
particolare interesse i riusi di viadotti dismessi. Altre storie di rigenerazione
urbana ci mostrano un processo di infrastrutturazione inversa. Le riemersioni o
aperture dei corsi d’acqua occupati da infrastrutture viarie costituiscono
l’occasione per una transizione delle costruzioni grigie in generatori di
risanamento ecosistemico. Nel rapporto tra paesaggio e infrastrutture della mobilità
si colloca quindi anche un processo di infrastrutturazione inversa dedicata al
recupero di un benessere urbano, dove emerge la capacità adattiva del contesto e il
ruolo svolto dalla condivisione dei luoghi per una qualità ambientale e
dell’abitare.
Un progetto per la trasformazione
sostenibile mira a superare quei modelli che promuovono l’estrazione di risorse non
rinnovabili e a conformare i luoghi come componenti attive di processi rigenerativi. Ciò è
parte di un cambiamento culturale che coinvolge tanto gli stili di vita quanto l’ambiente
costruito e i sistemi infrastrutturali del territorio. Strumenti, metodi e linguaggi del
progetto sono infatti sempre più indirizzati all’emulazione della natura, ma la ricerca di
una qualità ecosistemica dei luoghi richiede ai progettisti di saper assumere un approccio
integrale per declinare e ricomporre adeguatamente diverse prospettive nella stratificazione
storica, culturale e sistemica del nostro habitat.
In questo contesto assume un ruolo
emblematico la transizione dei sistemi infrastrutturali da «costruzioni grigie» a
«generatori verdi», dispositivi in grado di produrre spazi e connessioni sostenibili tra
diversi ecosistemi. Lo studio di infrastrutture verdi-blu come ambiti di integrazione tra
costruito e natura, che attivano relazioni e innescano nuovi processi, fa emergere delle
considerazioni utili alla ricerca di nuovi paradigmi progettuali, necessari all’integrazione
di conoscenze, di pratiche e procedure, per mettere in atto la sostenibilità dell’abitare e
del produrre.
Nel corso dei secoli le infrastrutture
hanno progressivamente conquistato una loro autonomia, sia funzionale che formale,
richiedendo sempre maggiore separatezza dai fattori ambientali. In particolare nel XX secolo
esse hanno conformato o alterato interi paesaggi, imponendosi nella loro assolutezza tecnica
tanto per le costruzioni stradali e ferroviarie quanto per i sistemi di gestione delle acque
e dell’energia. Va comunque rilevato come in diversi contesti, soprattutto negli ultimi
trent’anni, si siano attivati processi ¶{p. 322}di rigenerazione dei luoghi
delle infrastrutture sperimentando varie modalità di assorbimento o inclusione della loro
costruzione. Parchi, luoghi per la tutela ambientale, aree per la gestione delle acque e per
la messa in sicurezza del territorio diventano nuovi spazi multifunzionali che integrano
ecosistemi, favoriscono la biodiversità e nuovi stili di vita, proiettati alla sostenibilità
ambientale come al benessere dell’abitare.
Se nella seconda metà del XX secolo
l’attenzione si concentra su modelli di città generati dal rapporto strada-isolato e dal
ruolo assunto dalle grandi infrastrutture, successivamente si assiste a progressive
contaminazioni, integrazioni e trasfigurazioni della costruzione infrastrutturale per
accogliere nuovi sistemi ecologici e dispositivi di risanamento ambientale.
I numerosi recuperi di ex tracciati
sopraelevati (sulla scia dei noti interventi della Promenade plantée di Parigi e dell’High
Line di New York), che realizzano parchi lineari sull’impalcato dismesso
dell’infrastruttura, fanno rilevare una riqualificazione ramificata dei suoli coperti o
marginati dall’infrastruttura stessa, per conformare aree verdi e percorsi di mobilità lenta
in nuovi paesaggi urbani. La qualità del processo di transizione ecologica si innesta qui
inevitabilmente nella capacità di adattamento a nuovi usi della forma costruita, ma anche
nella possibilità del progetto urbano di configurare nuovi spazi di condivisione
multifunzionali, capaci di operare per una cura attiva della città.
La transizione dal
gray al green interpreta quindi le
potenzialità adattive dei sistemi infrastrutturali, mettendo in atto la ricerca di spazi che
possano assumere nuove funzioni e figurazioni. Si assiste al reinventarsi di un processo di
riciclo che va oltre il semplice reimpiego dei materiali per lavorare sulla forma come
struttura che permetta usi molteplici e riattivi relazioni qualificanti.
A fronte di una visione dell’innovazione
che propone la sola sostituzione dei sistemi infrastrutturali obsoleti con altri più
performanti dal punto di vista tecnico, si vuole qui mettere in evidenza l’importanza di
interventi capaci ¶{p. 323}di conformare la transizione degli spazi «grigi»,
marginali e degradati, per una valorizzazione ecosistemica e paesaggistica del patrimonio
costruito.
In questi termini si sviluppa la lettura
di interventi recenti che fondano la rigenerazione urbana sulla trasformazione di canali
infrastrutturali in dispositivi di riqualificazione ambientale. Da tali casi si rileva una
azione di infrastrutturazione inversa, che opera per generare suoli vivi e vegetanti,
permeabili e attivi nel fornire servizi ecosistemici, a partire da riusi adattivi e
alterazioni formali delle cosiddette «costruzioni grigie».
1. L’impatto morfologico
La rete delle infrastrutture è da
sempre responsabile di un forte impatto nella morfologia territoriale e urbana. Basti
pensare alla rappresentazione di Roma Antica di Pirro Ligorio (fig. 1), pubblicata nel
1561, dove gli acquedotti su arcate che entrano in città definiscono geometrie complesse
nell’affiancare o attraversare architetture e spazi urbani.
È del resto evidente che le strade
come le diverse linee infrastrutturali che attraversano il territorio conformano il
paesaggio, facendone emergere i caratteri e costruendone la percezione comune.
L’adattamento del percorso alle
condizioni topografiche determina solitamente le condizioni per una integrazione che
qualifica gli stessi contesti attraversati. L’attraversamento genera sempre nuove
topografie, ma il progetto della strada può in molti casi adattarsi al suolo e
assecondarne la morfologia cercando una permeabilità e una continuità con il suo
intorno. È quanto ad esempio Bernard Lassus realizza con maestria per le autostrade
francesi, modellando la strada e i suoi spazi di margine come parti integranti del
proprio paesaggio.
Dobbiamo comunque ricordare come la
costruzione di nuovi suoli da dedicare unicamente alla mobilità veicolare ha nel corso
del tempo trasformato il corpo della strada in una infrastruttura e in un condotto.
¶{p. 324}
La rappresentazione dell’Old London
Bridge nella sua evoluzione in sette fasi dal 1209 al 1831 (fig. 2) racconta come
l’impalcato del ponte fosse fino al XVIII secolo una costruzione abitata, con diversi
usi e funzioni. La sua trasformazione in infrastruttura è invece riconoscibile quando
assume la destinazione univoca di spazio dedicato all’attraversamento del fiume, luogo
di sola mobilità e non più un suolo urbano abitato.
La segregazione del traffico che
richiede strade da dedicare al solo transito veicolare emerge nei fatti già con la
Red Flag Law approvata dal Parlamento inglese nel 1866, con cui
si richiedeva di far avanzare lentamente i veicoli a trazione propria e farli precedere
da una persona che agitasse una bandiera rossa, permettendo così di avvertire i
conducenti delle carrozze che dovevano controllare i cavalli spaventati. Il passaggio a
condotti esclusivi avverrà di lì a poco.
La progressiva intensificazione dei
flussi di mobilità e della velocità determina la mutazione di molte strade in
infrastrutture viarie, che nell’arco di pochi decenni configurano una propria geografia
attivando valori, ma anche disvalori per i paesaggi attraversati. Le loro costruzioni
specifiche, sempre più autoreferenziali, attente ad assicurare la continuità dei flussi
e l’impermeabilità della sede, generano barriere di diverso tipo. Il corpo della strada
assume la conformazione di un condotto, con margini sempre meno permeabili per una
autonomia funzionale, capace di assicurare lo scorri¶{p. 325}mento dei
flussi di mobilità secondo regole geometriche precise, pendenze e raggi di curvatura
adeguati ai veicoli in transito. La costruzione del sistema viario comporta in questo
senso la definizione di nuovi livelli autonomi, nuove articolazioni topografiche per una
realtà complessa da accettare nella sua propria forma senza alterazioni. Un progressivo
adattamento all’aumento del numero di veicoli circolanti dilata la sezione delle
infrastrutture e ne determina una crescita spregiudicata, con una estensione invasiva.
La necessità di assicurare poi i flussi di attraversamento genera altre costruzioni
infrastrutturali, destinate a collegare strade di diverso ordine per superare i canali o
condotti costruiti dal traffico veicolare.
Si tratta insomma di un sistema che
si autoalimenta, si moltiplica e si ramifica, sviluppandosi soprattutto nel
se
¶{p. 326}condo 900. Si assiste così ad una crescita incontrollata che
va persino ad occupare spazi definiti dai corsi d’acqua che vengono intubati o
semplicemente coperti. Nastri e svincoli si moltiplicano con indifferenza, coprendo
vaste superfici che restano marginate e nascoste, in cui si producono condizioni di
degrado ambientale.