Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c18
Si tratta insomma di un sistema che
si autoalimenta, si moltiplica e si ramifica, sviluppandosi soprattutto nel
se
¶{p. 326}condo 900. Si assiste così ad una crescita incontrollata che
va persino ad occupare spazi definiti dai corsi d’acqua che vengono intubati o
semplicemente coperti. Nastri e svincoli si moltiplicano con indifferenza, coprendo
vaste superfici che restano marginate e nascoste, in cui si producono condizioni di
degrado ambientale.
L’impatto assunto dalle
infrastrutture della mobilità in rapporto alla città e al paesaggio le fa spesso
assimilare a strutture di ordine superiore, conformate in autonomia, che rappresentano
elementi di rottura delle trame insediative a cui è necessario adeguarsi.
La consapevolezza di una loro
crescita fuori controllo emerge anche dai diversi tentativi di trasfigurarne il corpo
costruito in architetture abitate. Si tratta di sperimentazioni progettuali estreme per
il loro tempo, utopie che riconducono la grande scala delle infrastrutture a contenitori
di spazi abitati e di città.
Tra queste sperimentazioni, possiamo
citare già il progetto redatto nel 1793 da William Bridges per un ponte sul fiume Avon,
nei pressi di Bristol. Le pile del ponte qui diventano edifici abitati di 6 piani,
accessibili dall’alto verso il basso.
La prefigurazione di Roadtown nel
1910 da parte di Edgar Chambless per certi aspetti anticipa la configurazione che nel
1929 Le Corbusier darà alle strade nei suoi piani per San Paolo del Brasile e per
Algeri.
Nei primi decenni del XX secolo si
rilevano ancora trasfigurazioni in edifici degli elementi strutturali delle grandi
costruzioni stradali. Basti pensare alla proposta di Charles L. Morgan del 1928 per un
ponte a Chicago, con i piloni configurati come torri accessibili dall’alto, proprio da
quella strada di sommità che ad essi si appoggia; oppure il piano del 1929 di Raymond
Hood per «Manhattan 1950» (fig. 3), che trasforma le torri e anche gli stralli dei ponti
in enormi edifici serviti dal piano stradale. Possiamo inoltre ricordare la proposta del
1961 di Geoffrey A. Jellicoe per «Motopia» (fig. 4), dove l’impianto della città è
definito dalle strade che costituiscono la copertura di una rete continua di edifici
abitati, resi accessibili dall’alto, mentre le aree degli isolati si
¶{p. 327}trasformano in parchi, giardini e spazi aperti che accolgono
edifici pubblici.
I tentativi di trasfigurare il
moltiplicarsi di strade e i sempre crescenti flussi di mobilità continuano negli anni
’60 e Lawrence Halprin nel suo libro Freeways (1966) prefigura
ancora strade multipiano con le fattezze di edifici, di alberi o persino di «skyway»
sostenute da altissimi piloni a traliccio.
Da queste varie proposte emerge una
prospettiva di inversione: tra spazio costruito e spazio aperto, tra strada ed
edificato, attraverso cui si sperimenta la capacità della
¶{p. 328}costruzione infrastrutturale di assimilare la città e il suolo
urbano.
2. Il riuso adattivo dei viadotti
Nel processo contemporaneo di
trasformazione delle infrastrutture in sistemi o dispositivi green,
capaci di innestare una transizione ecologica, assumono particolare interesse i riusi di
viadotti dismessi. Alcune opere progettate a partire dagli anni ’80 del XX secolo hanno
dato il via a diverse sperimentazioni con sempre maggiore determinazione nel corso dei
primi decenni del XXI secolo.¶{p. 329}
Ricordiamo innanzitutto il Viaduc
des Arts con la Promenade plantée a Parigi (fig. 5), dove la sede di una linea
ferroviaria sopraelevata, dismessa dal 1969, è stata trasformata dal progetto di Patrick
Berger, Jacques Vergely & Philippe Mathieux in un parco lineare sopraelevato che dal
1997 entra a far parte del sistema verde tra l’Opéra Bastille e il famoso parco Bois de
Vincennes. Allo stesso tempo il viadotto riqualificato, con le sue 67 arcate che si
susseguono per oltre un chilometro e mezzo tra la Bastiglia e la Rue de Rambouillet,
accoglie una serie di laboratori artigianali, negozi e spazi espositivi.
Dopo qualche anno dall’apertura
della Promenade plantée di Parigi, a New York si sviluppa un processo che porta al
recupero di un viadotto ferroviario costruito tra il 1929 e il 1934 e dismesso dal 1980,
grazie alla mobilitazione di alcune associazioni di cittadini e ad un concorso di
progettazione che nel 2004 prefigura il parco urbano dell’High Line (fig. 6).
Il progetto vincitore, redatto da
James Corner Field Operations, Diller Scofidio + Renfro e Piet Oudolf, si realizza in
diverse fasi, aprendo tra il 2009 e il 2019 le varie parti del parco alla città. Il
percorso sopraelevato si inoltra per circa 2 chilometri ad un’altezza di 8,80 metri dal
livello della strada e attraversa la parte occidentale di Manhattan, dal Meatpacking
District agli Hudson Rail Yards, con una larghezza variabile tra i 9 e 27 metri. Il
parco interpreta ¶{p. 330}l’eredità e la condizione di abbandono di
quella rovina postindustriale, dove la natura si era riappropriata di un pezzo di
infrastruttura urbana. Traduce la biodiversità che ha trovato spazio lungo il tratto
ferroviario dopo la sua caduta in rovina, in una serie di microclimi urbani specifici,
che comprendono spazi soleggiati, ombreggiati, umidi, secchi, ventosi e riparati.