Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c13
Gabriele Torelli Criticità nell’applicazione della tutela paesaggistica dei boschi
Notizie Autori
Gabriele Torelli è ricercatore di Diritto amministrativo presso l’Università IUAV di Venezia.
Nel 2020 ha ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale come professore di
seconda fascia. È autore di una monografia dedicata allo studio della tutela e
valorizzazione degli immobili di proprietà dello Stato (Contraddizioni e
divergenze delle politiche legislative sui beni pubblici, Giappichelli, 2019),
nonché di pubblicazioni in tema di società e contratti pubblici, patrimonio
culturale, beni confiscati alle mafie, governo del territorio e pianificazione
territoriale.
Abstract
Nel nostro ordinamento, i boschi, intesi come bene giuridico, trovano la
propria disciplina all’interno del d.lgs. 34 del 3 aprile 2018, Testo unico in
materia di foreste e filiere forestali (d’ora in avanti Testo unico), che delinea il
regime di protezione del patrimonio forestale-boschivo presente all’interno del
nostro territorio. La qualificazione dei boschi quali "beni paesaggistici" ai sensi
dell’art. 142, d.lgs. 42/2004, pone una prima significativa conseguenza: la potestà
legislativa dello Stato, al quale l’art. 117, c. 2 Cost., riconosce appunto una
competenza esclusiva sulla materia "tutela del paesaggio". L’art. 7 del Testo unico
descrive le attività di gestione forestale, ricomprendendovi tutte le pratiche
selvicolturali a carico della vegetazione arborea ed arbustiva di cui all’art. 3, c.
210, e dunque i tagli, le cure e la coltivazione dei boschi, oltre ad altre azioni,
quali ad esempio: interventi colturali di difesa fitosanitaria, la sistemazione
idraulico-forestale, la prevenzione di incendi boschivi, i
rimboschimenti/imboschimenti, la commercializzazione dei prodotti legnosi. La
gestione del patrimonio boschivo disciplinata dal Testo unico pone alcune criticità.
È in particolare interessante notare il disposto dell’art. 8, il quale ammette la
c.d. "trasformazione" del bosco, consistente nell’eliminazione della vegetazione
arborea ed arbustiva, con la conseguenza che a seguito dell’intervento trasformativo
l’area forestale viene destinata ad un uso diverso. Se, come visto, l’art. 8 del
Testo unico implica alcune perplessità in tema di trasformazione del bosco, alcune
criticità ancor più significative sembrano emergere dall’analisi dell’art. 12, che
pare la norma più controversa dell’intero d.lgs. 34/2018.
1. I boschi: un preliminare inquadramento giuridico
Nel nostro ordinamento, i boschi,
intesi come bene giuridico, trovano la propria disciplina all’interno del d.lgs. 34 del
3 aprile 2018, Testo unico in materia di foreste e filiere
forestali (d’ora in avanti Testo unico)
[1]
, che delinea il regime di protezione del patrimonio forestale-boschivo
presente all’interno del nostro territorio. Poiché è importante non fare confusione
terminologica, si premette sin da ora che i termini «bosco», «foresta» e finanche
«selva» sono sinonimi, come esplicitamente ammesso sia dall’art. 3 del Testo unico sia
dalla previgente normativa in materia, ovvero il d.lgs. 227/2001, ma come anche ritenuto
già negli anni ’50 dalla migliore dottrina, che appunto riconduceva ad un unico
significato le parole «bosco» e «foresta», senza distinzioni di sorta
[2]
.
È bene poi ricordare che, ai sensi
dell’art. 3, c. 2, del Testo unico, si deve distinguere tra i boschi in proprietà
pubblica e quelli in proprietà privata, ricordando che i primi fanno parte del
patrimonio indisponibile – il quale trova la propria disciplina di riferimento dell’art.
826 c.c. – mentre i secondi costituiscono una particolare categoria di «beni privati di
interesse pubblico»
[3]
, incisi da una regolazione vincolistica, che ne limita la libera fruizione
da parte del proprietario, per la vigenza di superiori interessi pubblici (ambientali,
¶{p. 246}paesaggistici, idrogeologici), la cui salvaguardia è connessa
alle modalità d’uso di quel bene
[4]
. Ciò a dimostrazione del fatto che il patrimonio boschivo, a prescindere
dalla natura soggettiva del proprietario, configura un insieme di beni da assoggettare
ad un regime normativo pubblicistico in ragione degli interessi pubblici connessi, su
tutti quelli ambientali e paesaggistici.
Ne è ben consapevole il Testo unico
del 2018, il quale dichiara in modo esplicito la finalità di protezione delle foreste
sotto il profilo, per l’appunto, ambientale e paesaggistico, senza però dimenticare il
fine di valorizzazione del patrimonio boschivo, non solo nella prospettiva della
fruizione generalizzata da parte della collettività, ma anche in quella economica – in
particolare considerando la filiera del legno e risorse agro-silvo-pastorali
[5]
– in coerenza con quella rilettura, già radicata nella letteratura
giuridica, che vede nella crescita economica un elemento non in contraddizione, ma da
integrare, con la salvaguardia dei valori culturali e paesaggistici
[6]
.
Pertanto, il Testo unico vanta una
«doppia anima», che vuole bilanciare i profili di tutela ambientale-paesaggistica con
quelli più strettamente legati ai fattori produttivi, di fatto vedendo nel patrimonio
forestale un complesso di beni da assoggettare tanto alla disciplina della tutela quanto
a quella dell’uso
[7]
. Per questi motivi, sono state rivolte aspre critiche alla normativa,
incentrate sul fatto che essa sia sbilanciata a favore di una logica troppo sensibile
alla dimensione «produttiva» del bosco e, di contraltare, meno attenta ai
¶{p. 247}profili di tutela paesaggistico-ambientale ed alla protezione
della biodiversità
[8]
; confermerebbe questa opinione il fatto che il bosco sia individuato anche
per tramite di precisi parametri dimensionali definiti per via legislativa, la cui
previsione confermerebbe l’intenzione del Testo unico di regolare un ecosistema
«ordinato» anziché un ecosistema che si sviluppa secondo le logiche «non imbrigliabili»
della natura
[9]
.
Tanto premesso, in questa sede
interessa soprattutto ricostruire le più significative criticità nell’applicazione della
tutela paesaggistica dei boschi: è dunque a tale profilo che verranno riservate le
maggiori attenzioni.
2. I boschi come beni paesaggistici ed i risvolti sul profilo delle competenze legislative
Prima di esaminare con maggiore
dettaglio il Testo unico, soffermandoci sulle disposizioni inerenti alla tutela e alla
valorizzazione dei boschi, è opportuno ricordare che essi configurano dei beni di valore
paesaggistico ai sensi dell’art. 142, d.lgs. 42/2004 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio), il quale li include appunto nel novero delle
aree tutelate per legge. La precisazione può apparire banale, ma non lo è perché
(ri-)apre un tema «classico» del diritto pubblico, ma sempre attuale: quello delle
competenze legislative secondo lo schema delineato dall’art. 117 Cost.
¶{p. 248}
La qualificazione dei boschi quali
«beni paesaggistici» ai sensi dell’art. 142, d.lgs. 42/2004, pone una prima
significativa conseguenza: la potestà legislativa dello Stato, al quale l’art. 117, c. 2
Cost., riconosce appunto una competenza esclusiva sulla materia «tutela del paesaggio».
Cioè, al legislatore statale è consentito intervenire incisivamente sul tema in
questione, a fronte del fatto che – altrimenti – si sarebbe potuto ritenere che la
disciplina dei boschi rientrasse nella competenza concorrente Stato-regioni (per i
profili di governo del territorio) se non addirittura residuale delle regioni (ambito
agricolo).
Poiché sul punto persistevano
comunque dei dubbi nella giurisprudenza e nella dottrina nei decenni passati, è dovuta
intervenire per risolvere l’impasse la Corte costituzionale, la
quale con la pronuncia 105/2008 ha riconosciuto come allo Stato spetti il potere di
intervenire sulla «materia boschi» per motivi di tutela ambientale e paesaggistica,
mentre sia compito delle regioni regolarne i profili economico-produttivi.
Si spiega alla luce di questa
sentenza non solo la promulgazione del Testo unico da parte del legislatore statale, ma
anche di alcune sue norme – ad esempio l’art. 3, c. 4, e l’art. 7, c. 2 – che richiamano
la competenza legislativa delle regioni sui profili di gestione e valorizzazione del
patrimonio boschivo.
Una volta ricostruito il quadro
delle competenze, rimane fermo che il tema dei boschi costituisce un intreccio di
funzioni statali e regionali, ricordando inoltre che la valorizzazione del paesaggio (e
perciò dei beni paesaggistici) è una materia di competenza concorrente Stato-regioni: in
altre parole, se sulla tutela dei boschi permane una competenza statale che ha
legittimato l’adozione del decreto legislativo, sui profili della valorizzazione e
gestione (anche economica), lo Stato può dettare degli indirizzi, ma non può precludere
alle regioni di normare il tema.
Tanto osservato sul versante delle
competenze, rimane però un aspetto centrale meritevole di attenzione, ovvero quello
delle disposizioni del d.lgs. 34/2018 che regolano la gestione dei boschi, e dunque le
formule sia di tutela sia di valorizzazione: nel prosieguo, saranno considerate le
¶{p. 249}norme più significative, con l’anticipazione che l’equilibrio
tra protezione e promozione appare piuttosto fragile.
3. La gestione del bosco tra tutela e valorizzazione
L’art. 7 del Testo unico descrive le
attività di gestione forestale, ricomprendendovi tutte le pratiche selvicolturali a
carico della vegetazione arborea ed arbustiva di cui all’art. 3, c. 2
[10]
, e dunque i tagli, le cure e la coltivazione dei boschi, oltre ad altre
azioni, quali ad esempio: interventi colturali di difesa fitosanitaria, la sistemazione
idraulico-forestale, la prevenzione di incendi boschivi, i rimboschimenti/imboschimenti,
la commercializzazione dei prodotti legnosi, e comunque «tutte le pratiche finalizzate
alla salvaguardia, al mantenimento, all’incremento e alla valorizzazione delle
produzioni non legnose».
In coerenza con il sistema delle
competenze brevemente delineato nel paragrafo precedente, il comma 2 dell’art. 7
attribuisce sia allo Stato sia alle regioni il potere di svolgere le attività di
gestione forestale, «ciascuno nell’ambito delle proprie competenze». Inoltre, il comma 3
specifica che le regioni «definiscono e attuano le pratiche selvicolturali più idonee
[…] alle necessità di tutela dell’ambiente, del paesaggio, del suolo, alle esigenze
socio-economiche locali, alle produzioni legnose»; questo comma andrebbe letto nel senso
che, mentre per l’ambito dell’ambiente e del paesaggio le regioni possono intervenire
sulla materia solo se prevedono delle misure di protezione più rigorose
[11]
rispetto a quelle
¶{p. 250}previste dalla normativa statale
(come già chiarito dalla Corte costituzionale)
[12]
, con riguardo ai profili di valorizzazione e gestione «economica» del
patrimonio boschivo vantano un maggiore margine di manovra, in linea con il riparto
delle competenze di cui all’art. 117 Cost.
Note
[1] A. Abrami, La nuova legislazione forestale nel decreto 3 aprile 2018, n. 34, in «Rivista di diritto agrario», 2018, n. 1, pp. 101 ss.
[3] M. Renna, La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica, Milano, Giuffrè, 2004.
[4] Per una ricostruzione della dicotomia beni pubblici-beni privati di interesse pubblico, cfr. A.M. Sandulli, Beni pubblici, in Enciclopedia del diritto, vol. V, cit., pp. 277 ss.
[5] È facile rendersene conto leggendo l’art. 2, c. 1, lett. b), del Testo unico, il quale indica le finalità economiche tra quelle che il d.lgs. 34/2018 intende perseguire.
[6] G. Piperata, Cultura, sviluppo economico e… di come addomesticare gli scoiattoli, in «Aedon», 2018, n. 3.
[7] Per una lettura della contrapposizione tra le politiche di tutela e di uso dei beni pubblici, cfr. G. della Cananea, I beni, in S. Cassese (a cura di), Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2015, pp. 253 ss.
[8] Abrami, La nuova legislazione forestale, cit., par. 3; propende per la volontà del legislatore di valorizzare in particolare la componente economica dei boschi N. Ferrucci, Il nuovo testo unico in materia di foreste e filiere forestali: una prima lettura, in «Diritto agroalimentare», 2018, n. 2, pp. 265 ss. Inoltre, si rinvia anche all’intervista di Franco Pedrotti, botanico di fama nazionale ed internazionale, il quale ritiene che il Testo unico non promuova il bosco nel suo complesso ecosistemico, valorizzandone soprattutto le finalità produttive e trascurando la tutela dei suoli. Cfr. le sue riflessioni alla pagina https://www.italiaambiente.it/2018/03/13/codice-forestale-non-rispetta-la-costituzione-perche/.
[9] L’art. 3, c. 3, del Testo unico stabilisce, infatti, che il bosco deve avere una estensione minima di 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e una copertura arborea forestale maggiore del 20%.
[10] Più precisamente, l’art. 3, c. 2, definisce la gestione forestale come quel complesso di azioni selvicolturali volte a valorizzare la molteplicità delle funzioni del bosco, a garantire la produzione sostenibile di beni e servizi ecosistemici, nonché una gestione e uso delle foreste e dei terreni forestali nelle forme e ad un tasso di utilizzo che consenta di mantenere la loro biodiversità, produttività, rinnovazione, vitalità e potenzialità di adempiere, ora e in futuro, a rilevanti funzioni ecologiche, economiche e sociali a livello locale, nazionale e globale, senza comportare danni ad altri ecosistemi.
[11] Se ne ha conferma anche leggendo l’art. 6, cc. 5 e 6, del Testo unico.
[12] In ultimo, cfr. Corte cost. 135/2022, che ha definitivamente esteso all’ambito del paesaggio delle considerazioni in tema di competenza già acclarate sul settore «ambiente», ammettendo che, in entrambe le materie, le regioni possano legiferare anche sulla tutela (oltre che sulla valorizzazione), a condizione che aumentino (e non diminuiscano) il livello minimo di tutela predisposto dalla disciplina statale (per le analoghe considerazioni nel settore ambientale, la competenza regionale in melius sulla tutela era stata riconosciuta, tra le tante, da Corte cost. 407/2002, 226/2003, 227/2003).