Matelda Reho, Filippo Magni (a cura di)
Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c13

Gabriele Torelli Criticità nell’applicazione della tutela paesaggistica dei boschi

Notizie Autori
Gabriele Torelli è ricercatore di Diritto amministrativo presso l’Università IUAV di Venezia. Nel 2020 ha ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale come professore di seconda fascia. È autore di una monografia dedicata allo studio della tutela e valorizzazione degli immobili di proprietà dello Stato (Contraddizioni e divergenze delle politiche legislative sui beni pubblici, Giappichelli, 2019), nonché di pubblicazioni in tema di società e contratti pubblici, patrimonio culturale, beni confiscati alle mafie, governo del territorio e pianificazione territoriale.
Abstract
Nel nostro ordinamento, i boschi, intesi come bene giuridico, trovano la propria disciplina all’interno del d.lgs. 34 del 3 aprile 2018, Testo unico in materia di foreste e filiere forestali (d’ora in avanti Testo unico), che delinea il regime di protezione del patrimonio forestale-boschivo presente all’interno del nostro territorio. La qualificazione dei boschi quali "beni paesaggistici" ai sensi dell’art. 142, d.lgs. 42/2004, pone una prima significativa conseguenza: la potestà legislativa dello Stato, al quale l’art. 117, c. 2 Cost., riconosce appunto una competenza esclusiva sulla materia "tutela del paesaggio". L’art. 7 del Testo unico descrive le attività di gestione forestale, ricomprendendovi tutte le pratiche selvicolturali a carico della vegetazione arborea ed arbustiva di cui all’art. 3, c. 210, e dunque i tagli, le cure e la coltivazione dei boschi, oltre ad altre azioni, quali ad esempio: interventi colturali di difesa fitosanitaria, la sistemazione idraulico-forestale, la prevenzione di incendi boschivi, i rimboschimenti/imboschimenti, la commercializzazione dei prodotti legnosi. La gestione del patrimonio boschivo disciplinata dal Testo unico pone alcune criticità. È in particolare interessante notare il disposto dell’art. 8, il quale ammette la c.d. "trasformazione" del bosco, consistente nell’eliminazione della vegetazione arborea ed arbustiva, con la conseguenza che a seguito dell’intervento trasformativo l’area forestale viene destinata ad un uso diverso. Se, come visto, l’art. 8 del Testo unico implica alcune perplessità in tema di trasformazione del bosco, alcune criticità ancor più significative sembrano emergere dall’analisi dell’art. 12, che pare la norma più controversa dell’intero d.lgs. 34/2018.

1. I boschi: un preliminare inquadramento giuridico

Nel nostro ordinamento, i boschi, intesi come bene giuridico, trovano la propria disciplina all’interno del d.lgs. 34 del 3 aprile 2018, Testo unico in materia di foreste e filiere forestali (d’ora in avanti Testo unico) [1]
, che delinea il regime di protezione del patrimonio forestale-boschivo presente all’interno del nostro territorio. Poiché è importante non fare confusione terminologica, si premette sin da ora che i termini «bosco», «foresta» e finanche «selva» sono sinonimi, come esplicitamente ammesso sia dall’art. 3 del Testo unico sia dalla previgente normativa in materia, ovvero il d.lgs. 227/2001, ma come anche ritenuto già negli anni ’50 dalla migliore dottrina, che appunto riconduceva ad un unico significato le parole «bosco» e «foresta», senza distinzioni di sorta [2]
.
È bene poi ricordare che, ai sensi dell’art. 3, c. 2, del Testo unico, si deve distinguere tra i boschi in proprietà pubblica e quelli in proprietà privata, ricordando che i primi fanno parte del patrimonio indisponibile – il quale trova la propria disciplina di riferimento dell’art. 826 c.c. – mentre i secondi costituiscono una particolare categoria di «beni privati di interesse pubblico» [3]
, incisi da una regolazione vincolistica, che ne limita la libera fruizione da parte del proprietario, per la vigenza di superiori interessi pubblici (ambientali, {p. 246}paesaggistici, idrogeologici), la cui salvaguardia è connessa alle modalità d’uso di quel bene [4]
. Ciò a dimostrazione del fatto che il patrimonio boschivo, a prescindere dalla natura soggettiva del proprietario, configura un insieme di beni da assoggettare ad un regime normativo pubblicistico in ragione degli interessi pubblici connessi, su tutti quelli ambientali e paesaggistici.
Ne è ben consapevole il Testo unico del 2018, il quale dichiara in modo esplicito la finalità di protezione delle foreste sotto il profilo, per l’appunto, ambientale e paesaggistico, senza però dimenticare il fine di valorizzazione del patrimonio boschivo, non solo nella prospettiva della fruizione generalizzata da parte della collettività, ma anche in quella economica – in particolare considerando la filiera del legno e risorse agro-silvo-pastorali [5]
– in coerenza con quella rilettura, già radicata nella letteratura giuridica, che vede nella crescita economica un elemento non in contraddizione, ma da integrare, con la salvaguardia dei valori culturali e paesaggistici [6]
.
Pertanto, il Testo unico vanta una «doppia anima», che vuole bilanciare i profili di tutela ambientale-paesaggistica con quelli più strettamente legati ai fattori produttivi, di fatto vedendo nel patrimonio forestale un complesso di beni da assoggettare tanto alla disciplina della tutela quanto a quella dell’uso [7]
. Per questi motivi, sono state rivolte aspre critiche alla normativa, incentrate sul fatto che essa sia sbilanciata a favore di una logica troppo sensibile alla dimensione «produttiva» del bosco e, di contraltare, meno attenta ai {p. 247}profili di tutela paesaggistico-ambientale ed alla protezione della biodiversità [8]
; confermerebbe questa opinione il fatto che il bosco sia individuato anche per tramite di precisi parametri dimensionali definiti per via legislativa, la cui previsione confermerebbe l’intenzione del Testo unico di regolare un ecosistema «ordinato» anziché un ecosistema che si sviluppa secondo le logiche «non imbrigliabili» della natura [9]
.
Tanto premesso, in questa sede interessa soprattutto ricostruire le più significative criticità nell’applicazione della tutela paesaggistica dei boschi: è dunque a tale profilo che verranno riservate le maggiori attenzioni.

2. I boschi come beni paesaggistici ed i risvolti sul profilo delle competenze legislative

Prima di esaminare con maggiore dettaglio il Testo unico, soffermandoci sulle disposizioni inerenti alla tutela e alla valorizzazione dei boschi, è opportuno ricordare che essi configurano dei beni di valore paesaggistico ai sensi dell’art. 142, d.lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), il quale li include appunto nel novero delle aree tutelate per legge. La precisazione può apparire banale, ma non lo è perché (ri-)apre un tema «classico» del diritto pubblico, ma sempre attuale: quello delle competenze legislative secondo lo schema delineato dall’art. 117 Cost. {p. 248}
La qualificazione dei boschi quali «beni paesaggistici» ai sensi dell’art. 142, d.lgs. 42/2004, pone una prima significativa conseguenza: la potestà legislativa dello Stato, al quale l’art. 117, c. 2 Cost., riconosce appunto una competenza esclusiva sulla materia «tutela del paesaggio». Cioè, al legislatore statale è consentito intervenire incisivamente sul tema in questione, a fronte del fatto che – altrimenti – si sarebbe potuto ritenere che la disciplina dei boschi rientrasse nella competenza concorrente Stato-regioni (per i profili di governo del territorio) se non addirittura residuale delle regioni (ambito agricolo).
Poiché sul punto persistevano comunque dei dubbi nella giurisprudenza e nella dottrina nei decenni passati, è dovuta intervenire per risolvere l’impasse la Corte costituzionale, la quale con la pronuncia 105/2008 ha riconosciuto come allo Stato spetti il potere di intervenire sulla «materia boschi» per motivi di tutela ambientale e paesaggistica, mentre sia compito delle regioni regolarne i profili economico-produttivi.
Si spiega alla luce di questa sentenza non solo la promulgazione del Testo unico da parte del legislatore statale, ma anche di alcune sue norme – ad esempio l’art. 3, c. 4, e l’art. 7, c. 2 – che richiamano la competenza legislativa delle regioni sui profili di gestione e valorizzazione del patrimonio boschivo.
Una volta ricostruito il quadro delle competenze, rimane fermo che il tema dei boschi costituisce un intreccio di funzioni statali e regionali, ricordando inoltre che la valorizzazione del paesaggio (e perciò dei beni paesaggistici) è una materia di competenza concorrente Stato-regioni: in altre parole, se sulla tutela dei boschi permane una competenza statale che ha legittimato l’adozione del decreto legislativo, sui profili della valorizzazione e gestione (anche economica), lo Stato può dettare degli indirizzi, ma non può precludere alle regioni di normare il tema.
Tanto osservato sul versante delle competenze, rimane però un aspetto centrale meritevole di attenzione, ovvero quello delle disposizioni del d.lgs. 34/2018 che regolano la gestione dei boschi, e dunque le formule sia di tutela sia di valorizzazione: nel prosieguo, saranno considerate le {p. 249}norme più significative, con l’anticipazione che l’equilibrio tra protezione e promozione appare piuttosto fragile.

3. La gestione del bosco tra tutela e valorizzazione

L’art. 7 del Testo unico descrive le attività di gestione forestale, ricomprendendovi tutte le pratiche selvicolturali a carico della vegetazione arborea ed arbustiva di cui all’art. 3, c. 2 [10]
, e dunque i tagli, le cure e la coltivazione dei boschi, oltre ad altre azioni, quali ad esempio: interventi colturali di difesa fitosanitaria, la sistemazione idraulico-forestale, la prevenzione di incendi boschivi, i rimboschimenti/imboschimenti, la commercializzazione dei prodotti legnosi, e comunque «tutte le pratiche finalizzate alla salvaguardia, al mantenimento, all’incremento e alla valorizzazione delle produzioni non legnose».
In coerenza con il sistema delle competenze brevemente delineato nel paragrafo precedente, il comma 2 dell’art. 7 attribuisce sia allo Stato sia alle regioni il potere di svolgere le attività di gestione forestale, «ciascuno nell’ambito delle proprie competenze». Inoltre, il comma 3 specifica che le regioni «definiscono e attuano le pratiche selvicolturali più idonee […] alle necessità di tutela dell’ambiente, del paesaggio, del suolo, alle esigenze socio-economiche locali, alle produzioni legnose»; questo comma andrebbe letto nel senso che, mentre per l’ambito dell’ambiente e del paesaggio le regioni possono intervenire sulla materia solo se prevedono delle misure di protezione più rigorose [11]
rispetto a quelle
{p. 250}previste dalla normativa statale (come già chiarito dalla Corte costituzionale) [12]
, con riguardo ai profili di valorizzazione e gestione «economica» del patrimonio boschivo vantano un maggiore margine di manovra, in linea con il riparto delle competenze di cui all’art. 117 Cost.
Note
[1] A. Abrami, La nuova legislazione forestale nel decreto 3 aprile 2018, n. 34, in «Rivista di diritto agrario», 2018, n. 1, pp. 101 ss.
[2] A.M. Sandulli, Boschi, in Enciclopedia del diritto, vol. V, Milano, Giuffrè, 1959, pp. 617 ss.
[3] M. Renna, La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica, Milano, Giuffrè, 2004.
[4] Per una ricostruzione della dicotomia beni pubblici-beni privati di interesse pubblico, cfr. A.M. Sandulli, Beni pubblici, in Enciclopedia del diritto, vol. V, cit., pp. 277 ss.
[5] È facile rendersene conto leggendo l’art. 2, c. 1, lett. b), del Testo unico, il quale indica le finalità economiche tra quelle che il d.lgs. 34/2018 intende perseguire.
[6] G. Piperata, Cultura, sviluppo economico e… di come addomesticare gli scoiattoli, in «Aedon», 2018, n. 3.
[7] Per una lettura della contrapposizione tra le politiche di tutela e di uso dei beni pubblici, cfr. G. della Cananea, I beni, in S. Cassese (a cura di), Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2015, pp. 253 ss.
[8] Abrami, La nuova legislazione forestale, cit., par. 3; propende per la volontà del legislatore di valorizzare in particolare la componente economica dei boschi N. Ferrucci, Il nuovo testo unico in materia di foreste e filiere forestali: una prima lettura, in «Diritto agroalimentare», 2018, n. 2, pp. 265 ss. Inoltre, si rinvia anche all’intervista di Franco Pedrotti, botanico di fama nazionale ed internazionale, il quale ritiene che il Testo unico non promuova il bosco nel suo complesso ecosistemico, valorizzandone soprattutto le finalità produttive e trascurando la tutela dei suoli. Cfr. le sue riflessioni alla pagina https://www.italiaambiente.it/2018/03/13/codice-forestale-non-rispetta-la-costituzione-perche/.
[9] L’art. 3, c. 3, del Testo unico stabilisce, infatti, che il bosco deve avere una estensione minima di 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e una copertura arborea forestale maggiore del 20%.
[10] Più precisamente, l’art. 3, c. 2, definisce la gestione forestale come quel complesso di azioni selvicolturali volte a valorizzare la molteplicità delle funzioni del bosco, a garantire la produzione sostenibile di beni e servizi ecosistemici, nonché una gestione e uso delle foreste e dei terreni forestali nelle forme e ad un tasso di utilizzo che consenta di mantenere la loro biodiversità, produttività, rinnovazione, vitalità e potenzialità di adempiere, ora e in futuro, a rilevanti funzioni ecologiche, economiche e sociali a livello locale, nazionale e globale, senza comportare danni ad altri ecosistemi.
[11] Se ne ha conferma anche leggendo l’art. 6, cc. 5 e 6, del Testo unico.
[12] In ultimo, cfr. Corte cost. 135/2022, che ha definitivamente esteso all’ambito del paesaggio delle considerazioni in tema di competenza già acclarate sul settore «ambiente», ammettendo che, in entrambe le materie, le regioni possano legiferare anche sulla tutela (oltre che sulla valorizzazione), a condizione che aumentino (e non diminuiscano) il livello minimo di tutela predisposto dalla disciplina statale (per le analoghe considerazioni nel settore ambientale, la competenza regionale in melius sulla tutela era stata riconosciuta, tra le tante, da Corte cost. 407/2002, 226/2003, 227/2003).