Matelda Reho, Filippo Magni (a cura di)
Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c13
La gestione del patrimonio boschivo disciplinata dal Testo unico pone alcune criticità. È in particolare interessante notare il disposto dell’art. 8, il quale ammette la c.d. «trasformazione» del bosco, consistente nell’eliminazione della vegetazione arborea ed arbustiva, con la conseguenza che a seguito dell’intervento trasformativo l’area forestale viene destinata ad un uso diverso. Pertanto, la norma ammette la possibilità, di fatto, di eliminare il bosco, ponendo tuttavia delle condizioni cumulative, per cui è vietata la trasformazione che:
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  1. determini un danno o un danno ambientale (ai sensi della direttiva 2004/35/CE e delle relative norme di recepimento inserite nel TU ambiente, d.lgs. 152/2006);
  2. non sia stata preventivamente autorizzata, ove previsto, tramite l’autorizzazione paesaggistica, o comunque tramite le disposizioni dei piani paesaggistici regionali;
  3. sia comunque incompatibile con le esigenze di difesa idrogeologica.
Se queste condizioni non si verificano, la trasformazione è ammessa, ma sono egualmente necessarie delle opere di trasformazione, la cui realizzabilità costituisce una ulteriore condicio sine qua non per consentire l’intervento. L’art. 8, c. 3, definisce le modalità delle compensazioni, prevedendo innanzitutto che la cura e le spese siano sostenute dal destinatario dell’autorizzazione alla trasformazione, ma demandando alle regioni l’individuazione dei criteri per la loro definizione e per gli interventi di ripristino obbligatori da applicare in caso di eventuali violazione degli obblighi di compensazione. Alle stesse regioni spetta, inoltre, il compito di individuare i casi di esonero dagli interventi compensativi sulla base di apposite linee guida nazionali, promulgate nell’ottobre 2020 [15]
. In ogni caso, è possibile esonerare dall’obbligo di compensazione gli interventi volti a ripristinare siti della Rete Natura 2000 e per il recupero di aree di interesse archeologico.
Il comma 4 dell’art. 8 delinea le modalità in cui svolgere le operazioni di compensazione, che possono consistere: nel miglioramento e restauro dei boschi esistenti e del paesaggio forestale in ambito rurale, urbano e periurbano; nei rimboschimenti e creazioni di nuovi boschi su terreni non boscati e in aree con basso coefficiente di boschività, con la specificazione che le nuove aree così create sono equiparate a bosco; nelle sistemazioni idraulico-forestali o idraulico-agrarie e prevenzione di incendi boschivi e di rischi naturali e antropici.{p. 256}
Le nuove aree create a seguito della compensazione sono, sotto il profilo squisitamente giuridico, equiparate a bosco, con la conseguenza che, a seguito delle trasformazioni, le regioni ri-creano boschi, e pertanto aree su cui insiste ex lege un vincolo paesaggistico (art. 142, d.lgs. 42/2004). Questo meccanismo pare dunque costituire un nuovo metodo di creazione di beni paesaggistici, che si va aggiungere a quelli definiti dagli artt. 140, 142 e 143 ss. del Codice dei beni culturali e del paesaggio; è naturale chiedersi, perciò, se il legislatore si sia realmente accorto delle conseguenze delle previsioni del d.lgs. 34/2018, che conducono ad una criticità non da poco, ovvero quella di ammettere creazione di «nuovo paesaggio» da parte delle amministrazioni regionali senza un effettivo coinvolgimento del Ministero, anche considerando che, ai sensi dell’art. 8, c. 5, spetta alla regione rilasciare l’autorizzazione alla trasformazione ed imporre la compensazione.

6. Altri profili di criticità: il caso del ripristino boschivo ai sensi dell’art. 12

Se, come visto, l’art. 8 del Testo unico implica alcune perplessità in tema di trasformazione del bosco, alcune criticità ancor più significative sembrano emergere dall’analisi dell’art. 12, che pare la norma più controversa dell’intero d.lgs. 34/2018. L’art. 12, infatti, affida alle regioni il compito di ripristinare le condizioni di sicurezza delle foreste – con l’obiettivo di assicurare la valorizzazione funzionale del terreno agro-silvo-pastorale, la salvaguardia dell’assetto idrogeologico, la prevenzione ed il contenimento di incendi e del degrado ambientale – attraverso il recupero produttivo delle proprietà fondiarie frammentate e dei terreni abbandonati o silenti. Conseguentemente, viene da chiedersi in quali ipotesi un terreno possa qualificarsi come «abbandonato» o «silente» sotto il profilo normativo.
Giunge in soccorso l’art. 3, c. 2, lett. g), del Testo unico, che intende per «terreni abbandonati» quei «terreni forestali in cui i boschi cedui hanno superato, senza interventi {p. 257}selvicolturali, almeno della metà il turno minimo fissato dalle norme forestali regionali, ed i boschi d’alto fusto in cui non siano stati attuati interventi di sfollo o diradamento degli ultimi venti anni». Ed ancora, il terreno si considera abbandonato anche quando sia a vocazione agricola e non sia stato oggetto di coltivazioni agricole da almeno tre anni. Diversamente, l’art. 3, c. 2, lett. h), invece, definisce i terreni silenti come i terreni agricoli e forestali di cui alla lettera precedente – dunque qualificabili come abbandonati – per i quali i proprietari non siano individuabili o reperibili a seguito di apposita istruttoria.
Al di là dei profili strettamente definitori, desta grande interesse la disciplina dei terreni abbandonati e silenti, perché l’art. 12, c. 2, disciplina l’ipotesi in cui i proprietari e gli aventi possesso dei terreni siano soggetti conosciuti e comunque disponibili ad avviare, in sinergia con la regione, un percorso di recupero e valorizzazione del terreno abbandonato attraverso la stipula di un accordo pubblico-privato per la realizzazione degli interventi necessari per il ripristino o la valorizzazione agro-silvo-pastorale dei propri terreni. Tuttavia – e qui sta il maggiore profilo di interesse – il comma 3 consente alla regione di procedere alla realizzazione degli interventi – eventualmente anche esternandoli tramite gara – di gestione dei terreni in tre circostanze, tra loro alternative:
  1. gli interventi di recupero concordati con il proprietario del terreno non sono stati svolti;
  2. non è stato possibile raggiungere un accordo con il proprietario del terreno circa gli interventi di recupero per qualsiasi ragione;
  3. il proprietario non è rintracciabile, e dunque il terreno è silente.
L’art. 12, c. 3, è dunque norma di assoluto interesse perché consente alle regioni di adottare le misure provvedimentali in deroga al diritto di proprietà non solo per esigenze di pubblica incolumità – come già accade con riferimento, ad esempio, a pericolanti immobili urbani grazie a ricorrenti prescrizioni nei regolamenti edilizi dei comuni – ma anche per motivi di carattere economico-produttivo, ricordando {p. 258}infatti che l’art. 12, c. 1, richiama tra le finalità della norma la valorizzazione funzionale del territorio agro-silvo-pastorale e il recupero produttivo.
Una simile disposizione – che cioè ammette un intervento della regione in difetto del consenso espresso del proprietario del terreno boschivo per finalità anche economico-produttive – presenta delle criticità per la sua incisività, perché di fatto autorizza interventi di ripristino coatti senza pericoli imminenti di incolumità pubblica; e pure una simile norma, intervenendo sul profilo della proprietà, poteva essere promulgata solo dal legislatore statale (come è in effetti avvenuto), al quale la Corte costituzionale riconosce la competenza legislativa esclusiva su questi temi [16]
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Note
[15] Linee guida consultabili al link https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/16129. Di fatto, sono esonerate dagli obblighi di compensazione quelle superfici arboree/arbustive non qualificabili come bosco ex art. 5, c. 2, del Testo unico.
[16] È noto che il tema della proprietà viene ricondotto alla materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, c. 2, lett. l Cost. Tra le tante, cfr. Corte cost. 282/2004.