Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c2
Capitolo secondo
Territorializzazione e turismo nelle aree extraurbane. Il caso della Valle di Susa
di Lorenzo Bagnoli
Notizie Autori
Lorenzo Bagnoli è professore associato di Geografia nel Dipartimento di
Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Milano-Bicocca. Insegna
Geografia del turismo al corso di laurea in Scienze del turismo e comunità
locale, e Cartografia per il turismo al corso di laurea magistrale in
Turismo, territorio e sviluppo locale.
Lungi dall’essere la semplice sede sulla quale avvengono flussi (di persone, merci, capitali, servizi ecc.), il territorio viene oggi studiato quale ambito geografico che risulta specificatamente dalla continua composizione, scomposizione e ricomposizione delle relazioni di rete. Nelle aree extraurbane, in particolare negli ultimi decenni, i flussi legati al turismo si sono posti fra le azioni umane che più hanno territorializzato – o, meglio, riterritorializzato – lo spazio rurale. La presente ricerca considera il patto di sistema «Valle di Susa. Tesori di arte e cultura alpina» che, quale rete di attori e stakeholders locali, si propone di superare la forte dicotomia fra l’alta Valle e la bassa Valle attraverso una promo-commercializzazione turistica unitaria. Dati quantitativi e interviste a testimoni privilegiati confermano che tale iniziativa costituisce una best practice per una territorializzazione responsabile, sostenibile e inclusiva dell’intera Valle.
1. Il turismo quale attore di sviluppo territoriale delle aree extraurbane
Dinanzi alla contrazione delle attività economiche tradizionali che ha investito il nostro Paese negli ultimi decenni del XX secolo, e al declino demografico naturale che lo ha caratterizzato soprattutto nei suoi centri minori e negli spazi extraurbani, l’affermarsi del terziario turistico ha spesso costituito una valida alternativa per l’occupazione della forza lavoro locale. Come osservava Corna Pellegrini [2004], infatti, numerose zone sia del Mezzogiorno costiero e delle isole sia dell’arco alpino sono passate in poco tempo ¶{p. 46}da essere regioni prettamente agricole o industriali a vere e proprie regioni turistiche, sicché il flusso migratorio verso i grandi centri dapprima industriali e successivamente terziari si è potuto in parte limitare. Basti pensare per esempio al successo del turismo della neve che soprattutto negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso ha costituito un freno per i flussi migratori che dalle terre alte erano diretti verso i fondivalle e le pianure dove sorgevano già affermati impianti industriali o promettenti sedi di attività terziarie [Varotto 2020].
Con il volgere del secolo, le attività del terziario turistico si sono progressivamente dimostrate capaci non soltanto di assorbire la mano d’opera locale liberata dalla crisi delle attività economiche tradizionali, ma addirittura di attirare flussi migratori provenienti sia dall’interno sia dall’estero. Come le attività agricole – oggi spesso molto più redditizie rispetto al passato quando sanno offrire prodotti magari di nicchia, ma dal livello qualitativo molto elevato – occupano sempre di più lavoratori immigrati (Benetti, Toso e dell’Agnese, infra), così anche le strutture turistiche sono spesso costrette a impiegare mano d’opera alloctona. La forza lavoro autoctona, infatti, può risultare semplicemente non disponibile oppure non sufficientemente qualificata per offrire quel servizio di elevata qualità che soprattutto il mercato turistico odierno richiede [Colleoni e Bernardi 2022]. Le zone extraurbane si sono così in numerosi casi trasformate da aree di emigrazione in aree di immigrazione, anche per l’occupazione in attività direttamente o indirettamente riferibili al turismo e al tempo libero.
Lo sviluppo del turismo rurale ha, in primis, causato la realizzazione di nuove strutture ricettive alberghiere ed extra-alberghiere, ma anche di numerosi agriturismi
[1]
. Oltre ¶{p. 47}allo sviluppo dell’offerta ricettiva, l’affermarsi del turismo rurale ha causato anche la creazione di altre iniziative turistiche innovative, perlopiù basate su reti di relazione che hanno messo in collegamento attori e stakeholders del mondo produttivo, culturale e sociale locale. Anche queste attività si sono dimostrate utili per coniugare la valorizzazione turistica con la tutela territoriale, come dimostrano gli esempi classici degli ecomusei
[2]
e dei parchi letterari
[3]
.
Gli esempi di iniziative turistiche qui riportate, solitamente caratterizzate da un alto livello di sostenibilità e localizzate presso regioni geografiche non ancora completamente affermate quali sono le aree rurali, si sono spesso distinti per un buon successo quando hanno saputo incrociare la domanda dei «nuovi turisti» che non sempre e non facilmente riesce a trovare un’offerta che sappia soddisfarla [Costa 2005]. Anche durante la pandemia da Covid-19, il turismo rurale ha saputo spesso far fronte alla crisi del ramo ¶{p. 48}meglio di tanti altri settori turistici, dimostrandosi resiliente e innovatore [Bagnoli 2022a].
Il successo di tali reti non si misura tuttavia soltanto in termini di sviluppo locale (economico e demografico), ma anche e soprattutto in termini di sviluppo territoriale [De Rubertis 2022], come si vedrà nel paragrafo che segue.
2. Territorio: dall’antropizzazione dello spazio alla risultanza delle relazioni di reti
«Territorio» è un termine geografico che sarebbe troppo semplice se avesse un’unica definizione condivisa. Tradizionalmente, lo si considera aprioristicamente come una porzione di spazio organizzato dalle società al quale è possibile attribuire alcune qualità: «Per effetto dell’azione umana lo spazio naturale assume valore antropologico, diventa un territorio. E, correlativamente, l’insieme degli interventi trasformativi che assicurano il passaggio dallo spazio al territorio si chiama territorializzazione. La qualità territoriale del mondo, si capisce, viene indicata come territorialità» [Turco 2014, 12]
[4]
.
Dal punto di vista della geografia del turismo, osserva sempre Turco [2012], questo comporta spesso nelle regioni turistiche un conflitto «territoriale» fra host e guest perché mentre i primi concepiscono il territorio perlopiù secondo l’ethos funzionale e quindi «fruiscono» di esso, i secondi lo intendono soprattutto secondo l’ethos configurativo e quindi lo «utilizzano».
La centralità che la conoscenza e l’informazione hanno raggiunto nella società attuale ha però messo in discussione ¶{p. 49}le tradizionali categorie concettuali del sapere, fra cui anche quella di territorio. Se con tale termine la società moderna aveva sottolineato soprattutto l’importanza fondamentale delle componenti tangibili della realtà geografica (potremmo dire dell’hardware), la società postmoderna non trascura ciò che potremmo invece definire il software, cioè «le dimensioni profonde del sentire e dell’agire umano [che] si tramutano, con velocità inusitata e particolare efficacia comunicativa, in flussi informativi, correnti di opinione, processi culturali» [La Foresta 2018, XVI]. Inoltre, con l’attuale, straordinario sviluppo delle reti, le definizioni di territorio più recenti non lo considerano solo come la sede sulla quale, fra le altre attività umane, avvengono anche flussi [Ruocco 1993], ma insistono più incisivamente sul fatto che esso consiste in un ambito che risulta specificatamente dalla continua composizione, scomposizione e ricomposizione di relazioni di rete: «Il territorio può essere pensato come [...] attore collettivo locale: rete di soggetti pubblici e privati, capace di autorganizzarsi al fine di autoprogettare e autogestire il proprio sviluppo» [Bagliani e Dansero 2009, 272].
La geografia sociale già da tempo ha capito l’importanza delle interazioni quali costitutive del territorio [Jones e Eyles 1977], attribuendo peraltro maggiore importanza alle relazioni sociali tra individui o gruppi piuttosto che a quelle con e fra le istituzioni e gli Stati. La geografia politica, invece, preferisce ancora perlopiù porre in antagonismo i concetti di territorio e di rete, poiché il primo evocherebbe soprattutto confini che frazionano il mondo in un mosaico, mentre quello di rete si stenderebbe sopra lo spazio, avvicinando il vicino al lontano: «laddove le reti sembrano dinamiche, il territorio appare statico e resistente al cambiamento» [Painter 2009, 137]. La geografia del turismo ha fatto propria la nuova accezione di territorio, tanto che in alcune recenti ricerche geografico-turistiche sono protagoniste, anziché le singole regioni, le reti che si concretizzano fra le diverse parti del mondo: reti fra regioni di incoming e regioni di outgoing, senz’altro, ma anche reti fra turisti, fra operatori turistici, fra turisti e operatori turistici e ancora reti di persone, di
¶{p. 50}merci, di servizi, di capitali, di bit, di immagini e di rappresentazioni [Bagnoli 2022b].
Note
[1] Si tratta propriamente di aziende agricole che esercitano, in stretti termini di complementarità della loro attività principale, diversi tipi di attività turistica, quali ospitalità, ristorazione, iniziative didattiche o ricreative ecc., diventando così importanti attori di sviluppo locale [Randelli, Romei e Tortora 2014]. Disciplinata dalla legge quadro 5 dicembre 1985, n. 730 e dalle corrispondenti leggi regionali, l’attività agrituristica assume quindi un ruolo fondamentale non solo per la valorizzazione turistica, ma anche per la tutela territoriale delle aree rurali. Queste non si vedono in tal modo private della loro importante funzione agricola a esclusivo vantaggio di altre attività economiche forse più redditizie, ma sicuramente più deleterie per gli aspetti ambientali, sociali e culturali del paesaggio rurale [Ferretto 2022].
[2] Gli ecomusei sono istituti, per lo più no profit, che, a norma delle rispettive leggi regionali, curano la conservazione e soprattutto la valorizzazione di beni culturali, materiali o immateriali, rappresentativi di un determinato territorio, non «musealizzandoli» nel senso comune del termine, ma assicurando il mantenimento in essere delle attività economiche che sono loro proprie [dell’Agnese 2016]. Un ecomuseo del marmo, per esempio, non si limita a un’esposizione «in teca» di strumenti e manufatti, ma mantiene vive le attività di estrazione e di lavorazione del materiale, valorizzandole e promuovendole anche attraverso attività turistiche. Dai confini non rigidamente stabiliti, gli ecomusei coincidono nei fatti con la rete di attori che li compongono.
[3] I parchi letterari sono istituti finalizzati a valorizzare turisticamente siti il cui interesse principale risiede non nelle loro emergenze naturalistiche, antropiche o economiche, ma nel loro significato culturale [Capecchi 2021]. Per esempio, se il ramo di Lecco del Lario è «diverso» rispetto al ramo di Como – e come tale è meritevole di una particolare valorizzazione turistica che non sia a discapito della sua tutela – è solo per il significato culturale che l’opera manzoniana gli attribuisce. Anche in questo caso, i confini di un parco letterario coincidono con quelli della rete degli enti, delle istituzioni e delle imprese che lo istituiscono.
[4] Il processo di territorializzazione è complesso e si compone di tre dimensioni, non necessariamente in sequenza l’una con l’altra: quella ontologica (quando il valore antropologico dell’azione umana sullo spazio è limitato alla presa di coscienza e alla comprensione della realtà del mondo esterno), quella costitutiva (quando l’azione umana sullo spazio consiste nel definire i componenti di base dell’agire, secondo l’ethos funzionale) e quella configurativa (quando l’azione umana sullo spazio si allarga anche alla propria interiorità, secondo l’ethos emozionale).