Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c11
Da questo punto di vista, un caso ancor più eclatante è quello del calabrese Antonio Pitaro, il quale in Francia era giunto come esule nel 1799 per poi stabilizzarsi negli anni napoleonici grazie alla sua professione di medico e in seguito rimanervi anche dopo il 1815. A Parigi, infatti, questi avrebbe soggiornato fino alla morte, sopraggiunta nel luglio 1832, non mancando di mettersi in evidenza per
{p. 395}i viaggi sospetti in Inghilterra e per le iniziative editoriali a sfondo politico [73]
. Così, nel gennaio 1819, la polizia riceveva un rapporto anonimo che lo descriveva come uno «scélérat sans aucun principe» e che ne denunciava le relazioni segrete con il generale napoleonico Gaspard Gourgaud, rientrato dall’isola di Sant’Elena solo l’anno prima [74]
. Nello specifico, la segnalazione informava che le sue posizioni anti-borboniche, già manifestate in patria nel lontano 1799, fossero tutt’altro che abbandonate:
Il existe à Paris un Napolitain né dans une des Calabres, banni et exilé en France depuis 1799 pour avoir trahi sa patrie et son roi, il assassina deux de ses concitoyens dans la rue Toledo parce qu’ils portaient la cocarde royale. C’est un de ceux qui s’enfermèrent dans le Château de l’œuf et qui tiraient sur les malheureux Napolitains. Cet individu, nommé Pitaro, [...] conspire sans cesse contre le gouvernement, il est l’auteur des notes de la Napoleonide, poème peu estimé et bien peu accueilli par Bonaparte même. Il a fait un manuscrit intitulé Lettres philologiques, où il dit le plus grand mal des Bourbons et notamment de la tyrannie de Ferdinand IV, de même qu’un mémoire contre tous les souverains de l’Europe [75]
.
Ora, a fronte di una simile segnalazione e della contemporanea mancanza di informazioni sul suo conto da parte dell’ambasciatore napoletano a Parigi Castelcicala (che dichiarava di non conoscerlo), la Prefettura della Seine rispolverava le note – certo datate, ma pur sempre utili – che sugli esuli napoletani erano state raccolte dalla polizia di Fouché agli albori dell’Impero, a conferma di come la continuità della lotta politica riguardasse non solo l’operato dei rifugiati, ma anche le informazioni raccolte (e poi conservate) dalle autorità di sorveglianza. Così, se i funzionari di polizia potevano confermare l’attendibilità {p. 396}delle notizie contenute nella segnalazione anonima, lo facevano perché simili ragguagli erano stati «extraits d’une liste de Napolitains réfugiés en France, qui était déposée aux archives du Ministère et dont la formation remonte à l’année 1806» [76]
.
Discorso nel complesso simile riguardò anche il citato Pietro Piranesi, giunto in Francia una prima volta come esule repubblicano nel 1799 e poi, dopo circa un lustro passato a svolgere incarichi di polizia nella natia Roma, una seconda volta nel 1814. Infatti, un rapporto della polizia di Marsiglia del gennaio 1817 lo descriveva come un personaggio pericoloso proprio per via dei suoi trascorsi associazionistici nella Roma repubblicanizzata, perché ai tempi questo «homme de lettre obscur» aveva istituito un «club qu’il recruta de quelques Français établis à Rome et de quelques mauvais sujets de cette capitale». Insomma, il soggiorno in Francia degli albori della Restaurazione e l’impegno culturale portato avanti sulle rive della Senna non precludevano più esplicite iniziative politiche e anzi permettevano, proprio grazie al reiterato contatto con funzionari e soldati francesi, di portare avanti trame segrete avviate già da tempo. Il rapporto in questione, poi, illustrava anche le radici storiche di quei fermenti associazionistici, sostenendo che «c’est à Naples que se fit remarquer le premier club politique, quelques années avant la révolution française» [77]
.
Proprio a proposito dei fermenti provenienti dal Mezzogiorno d’Italia, nel febbraio 1818 l’incaricato d’affari {p. 397}francese a Napoli, il visconte di Panat, comunicava a Parigi la convinzione per cui i pericoli per il suo paese provenissero non tanto dai viaggiatori italiani (la cui identità era del resto monitorabile al momento della firma dei passaporti), ma dal personale amministrativo francese rientrato in patria dopo aver operato nei territori del Regno durante il «decennio». A suo avviso, infatti, occorreva «craindre quelques dangers plus réels de la part des Français qui après avoir rempli des places sous le gouvernement de Murat sont retournés après sa chute dans leur patrie». Fra questi, molti erano carbonari con trascorsi nei territori provinciali: cosicché, si raccomandava di indirizzare le indagini in particolare «vers ceux qui pendant leur séjour dans le Royaume de Naples ont été employés dans les provinces». Inoltre, delle due associazioni rivali esistenti nel Regno delle Due Sicilie, si sosteneva che una, quella dei Calderari, «ne doit sa naissance qu’à des circonstances purement locales», mentre l’altra, quella dei Carbonari, aveva «relations assez étendues avec plusieurs villes d’Italie», al punto tale che i suoi affiliati erano conosciuti «sous le nom de Philadelphiens et d’Indépendants Européens» [78]
.
Insomma, i rapporti politici fra i due paesi furono quanto mai intensi lungo tutto il primo ventennio del secolo e se nei tre lustri iniziali si erano concretizzati nell’effettiva presenza delle istituzioni francesi nella penisola e nel prolungato soggiorno oltralpe degli esuli italiani, dalla svolta del 1814-1815 essi assunsero un carattere più segreto, finendo con l’attestare ex post la profondità del contatto degli anni napoleonici. Non stupisce, pertanto, che ancora nel gennaio 1821, ossia nel pieno dei fermenti costituzionali napoletani, nella capitale francese la polizia segnalasse l’arrivo dell’ex ufficiale Longo, descrivendolo come «extrêmement curieux de connaître l’esprit qui anime les habitants de Paris». Questi, inoltre, in quelle settimane avrebbe operato fra le fila dei disciolti contingenti napoleonici facendo «fréquentes visites à tous les anciens militaires qui ont servi sous Murat» e {p. 398}sondando la loro disponibilità ad «aller servir dans l’armée napolitaine en qualité de volontaires» [79]
. E non stupisce nemmeno che, ancora ai primi dell’anno successivo, quando la Prefettura del Rhône intercettava delle corrispondenze clandestine fra Milano e Lione realizzate attraverso lettere di piccolo volume nascoste nelle monete, tali pratiche di comunicazione fossero messe in rapporto alle operazioni segrete avviate fra le due sponde delle Alpi sin dal crollo dell’Impero: sul punto, infatti, si sosteneva che «ce moyen n’est pas d’une invention nouvelle», in quanto «les séditieux l’ont déjà employé en 1814» [80]
.
Dunque, dalle segrete tecniche di corrispondenza ai concreti protagonisti di quelle trame, dalle informazioni conservate negli schedari di polizia al carattere indipendentista e costituzionale che animò tali rivendicazioni, appare evidente la continuità che legò i movimenti degli albori degli anni Venti a quanto aveva preso corpo sin dal Triennio per poi riemergere a far data dal 1814 [81]
. E in questo scenario, il lungo contatto che, anche grazie al prolungato soggiorno oltralpe degli esuli del 1799, la penisola aveva instaurato con la Francia sin dai tempi della rivoluzione fu a dir poco cruciale.
Non è un caso, ancora, che nel novembre 1821, quando ormai i fuochi rivoluzionari di Napoli e Torino si erano da poco spenti, il leader della rivoluzione piemontese, ossia quel Santorre di Santarosa che si era avvicinato al patriottismo sull’esempio del padre Michele schieratosi sin dal 1796 per l’armata francese e che poi era stato sindaco della natia Savigliano dal 1809, pubblicasse a Parigi, dove si era da poco rifugiato, un testo che serviva a ricostruire i recenti avvenimenti piemontesi. Con tale lavoro, scritto in francese e intitolato De la Révolution piémontaise, egli si proponeva {p. 399}di partecipare al dibattito europeo di quelle settimane fino ad allora alimentato da interventi critici nei confronti delle rivendicazioni costituzionali italiane [82]
. Per questo, spiegava di aver voluto fornire la sua personale narrazione «dans une langue étrangère, parce qu’il importe au bien de mon pays que les étrangers me lisent». Ed è significativo che egli individuasse quale momento d’avvio dell’insoddisfazione del popolo piemontese proprio il 1814, anno in cui «ces institutions salutaires et protectrices nées dans le sein de l’Assemblée constituante et respectées par le despotisme éclairé de Napoléon Bonaparte disparaissent» [83]
.
Insomma, tanto i concreti movimenti dei protagonisti di quella stagione, quanto le loro successive iniziative editoriali stavano ad attestare come si continuasse a guardare alla Francia quale principale punto di riferimento per raccontare quelle vicende e per determinare il seguito della propria battaglia. Per tutte queste ragioni, in conclusione, è possibile affermare che, a oltre vent’anni di distanza da quel drammatico crollo delle «Repubbliche sorelle» della primavera del 1799 da cui aveva preso avvio l’esilio in Francia di numerosi patrioti italiani, l’evoluzione dello scenario politico aveva nel concreto confermato le parole con cui, già qualche giorno dopo la svolta bonapartista del 18 brumaio, uno di quei rifugiati, il napoletano Fedele Greci, era intervenuto sulle colonne del «Journal des hommes libres» per sostenere che «nous sommes les premiers qui avons osé parler des droits de l’homme en Italie. Nous n’avons pas été heureux, mais les germes sont jetés» [84]
.
Note
[73] Nel 1831, Pitaro avrebbe pubblicato un’opera in versi non poco ispirata alla recente rivoluzione parigina di Luglio e molto critica contro la «politica sempre inganevole degli inglesi verso i popoli»: A. Pitaro, L’ombra di Washington al sepolcro di Giorgio Canning, Parigi, Dezauche, 1831.
[74] ANF, F/7, cart. 6894, Rapport anonyme sur Pitaro.
[75] Ibidem.
[76] Si tratta con grande probabilità dei Renseignements sur les Napolitains réfugiés oggi conservati in ANF, F/7, cart. 6474 e ampiamente utilizzati in questo lavoro.
[77] ANF, F/7, cart. 6853, dr. Associations secrètes d’Italie, Rapport du commissaire général de Police (Marseille, 18/01/1817). Sull’associazionismo segreto degli anni rivoluzionari è fondamentale il recente L. Addante, Le Colonne della Democrazia. Giacobinismo e società segrete alle radici del Risorgimento, Bari-Roma, Laterza, 2024. Sullo specifico caso del Regno di Napoli si veda: L. Di Mauro, Le secret et Polichinelle, ou cultures et pratiques de la clandestinité politique à Naples au début du XIXe siècle (1799-1821), tesi di dottorato sostenuta all’Université de Paris 1 Panthéon-Sorbonne, 2015.
[78] ANF, F/7, cart. 6853, dr. Associations secrètes d’Italie, Rapport de Panat à Decazes (Naples, 15/02/1818).
[79] ANF, F/7, cart. 6651, Rapport sur Longo (01/1821).
[80] F/7, cart. 6936, dr. 10072, Correspondance clandestine entre la France et l’Italie, Rapport au préfet Camille de Tournon-Simiane (7/02/1822).
[81] Sul punto ci si permette di rimandare a P. Conte, Cesare Paribelli: un giacobino d’Italia (1763-1847), Milano, Guerini e Associati, 2013, pp. 383-405.
[82] S. di Santarosa, De la Révolution piémontaise, Paris, Marchands de nouveautés, 1821. Sul suo esilio, poi trascorso anche a Londra ed Atene, si veda A. Olmo (a cura di), Santorre di Santa Rosa. Lettere dall’esilio, 1821-1825, Roma, Isri, 1969.
[83] Santarosa, De la Révolution piémontaise, cit., pp. 6-8.
[84] «Journal des hommes libres de tous les pays», 1 frimaire VIII (22/11/1799).