Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c11
Dunque, nel mese più caldo delle
rivoluzioni scoppiate a Napoli e Torino, nella capitale transalpina era forte la
consapevolezza del portato internazionale di quelle vicende e del fatto che dal loro
esito passassero anche le ambizioni costituzionali di parte francese. Del resto, sul
«liberalismo transnazionale» del 1821 negli ultimi anni molto è stato scritto e proprio
ad esso è stata attribuita, a ragione, una parte importante del processo che, nei mesi
successivi, avrebbe portato al grande flusso di esuli italiani in Spagna e Francia
[62]
. Tuttavia, se non vi è dubbio che gli avvenimenti di quell’anno ebbero dei
risvolti importanti a proposito della mobilità politica, qui sembra che troppo si sia
attribuito a quanto quelle rivoluzioni innescarono negli anni
¶{p. 390}successivi e troppo poco, invece, sia stato riconosciuto a
quanto esse ereditarono dalla stagione precedente.
Il 1821, infatti, non fu tanto la
data a quo della lotta politica (e dell’esilio) risorgimentale,
quanto uno snodo inserito in un contesto cronologicamente più ampio, ossia un passaggio
importantissimo di un processo di libertà che aveva avuto le sue radici nella rottura
rivoluzionaria del 1796, che si era poi alimentato nel silenzio del lealismo
istituzionale (e dell’associazionismo segreto) della stagione napoleonica e che, infine,
si era manifestato attraverso un malcontento crescente avviatosi a far data dal 1814,
allorquando il formale ripristino dello status quo ante aveva
stimolato la ricomparsa delle precedenti rivendicazioni costituzionali. Insomma, è
fondamentale sottolineare come tali vicende avessero avuto un periodo di incubazione di
oltre un lustro, il quale era a sua volta il risultato delle attività e delle
aspirazioni sviluppatesi nel quarto di secolo precedente. Una simile impostazione,
infatti, permette di valorizzare le conseguenze che la «stagione francese» ebbe
nell’articolazione della lotta politica successiva, in tal modo illustrando come la
generazione entusiasmatasi alle nuove di Francia sin dal 1789 e poi ancora a lungo
rimasta sulla scena pubblica ebbe una parte importante non solo negli specifici
avvenimenti di quello snodo, ma anche nella loro preparazione in termini di cultura
politica e di strutture organizzative
[63]
.
Pertanto, più che analizzare le
vicende della rivoluzione costituzionale del 1820-1821, qui si intende approfondire le
caratteristiche dei legami che fra le due sponde delle Alpi andarono consolidandosi
negli anni precedenti. E si intende farlo a conclusione di un lavoro nel quale si è
provato a ricostruire tappe e protagonisti di una presenza, quella degli italiani in
Francia nei primi due decenni del secolo, che ha avuto quale suo principale oggetto
d’analisi proprio la generazione avviatasi alla politica con la Rivoluzione.
¶{p. 391}In tal modo, si vuole suggerire anche un’altra lettura di
quelle vicende, secondo la quale il lungo lavoro degli anni napoleonici fu funzionale a
più esplicite prese di posizione assunte allo scoppio delle rivendicazioni
costituzionali, come dimostrato in Francia dal citato caso di Salfi e come attestato dal
fatto che a Napoli e Torino fra i più importanti esponenti di quelle vicende vi furono
uomini dai trascorsi rivoluzionari quali, rispettivamente, Matteo Galdi e Santorre di
Santarosa. Una simile lettura è poi convalidata dalla circostanza per cui proprio
l’infittirsi di trame segrete in senso indipendentista avviatosi nel 1814 pose le basi
per il prorompere della rivoluzione costituzionale. All’articolazione di tali trame sono
appunto dedicate le pagine che seguono, certo nella consapevolezza che la loro esistenza
fu non poco strumentalizzata dalle autorità inquirenti, ma anche nella convinzione che
l’associazionismo segreto di quel primo quinquennio della Restaurazione costituisce una
testimonianza importante (per quanto di difficile ricostruzione) di un fermento
politico, quello esistente ancor prima del 1820-1821, molto animato proprio dal
personale rivoluzionario operante fra Italia e Francia.
Ad esempio, nell’ottobre 1816 il
luogotenente del dipartimento del Var comunicava al ministro della polizia Decazes di
aver scoperto diversi movimenti di una società carbonara italiana animata da «émissaires
qui entretiennent des correspondances avec les mécontents de France» e in gran parte
costituita da «officiers italiens qui ont servi chez nous et qui sont rentrés dans leur
patrie depuis les derniers événements». A suo avviso, tali ufficiali erano da
considerarsi molto pericolosi, perché in grado di coltivare oltralpe «relations avec les
officiers en demi solde, leurs anciens camarades». Del resto, quella degli ufficiali
congedati era una paura alquanto diffusa, soprattutto dopo che in Italia, nell’autunno
1814, le autorità asburgiche avevano sventato una congiura indipendentista organizzata
fra Mantova e Milano da uomini di prima fila del disciolto esercito italico
[64]
, e dopo che in Fran¶{p. 392}cia, nella primavera successiva,
non pochi erano stati i soldati che, congedati solo qualche mese prima, avevano risposto
presente alla chiamata alle armi di Napoleone di rientro dall’Elba
[65]
.
Nello specifico, fra le principali
sedi di queste trame erano segnalate due città che avevano subito rilevanti
trasformazioni a seguito del Congresso di Vienna, ossia Parma, ai tempi sotto la
reggenza di quella Maria Luisa d’Austria che qualche anno prima era andata in sposa a
Napoleone, e Nizza, da poco restituita al Piemonte dopo esser stata inglobata ai
territori francesi sin dai primi mesi della Repubblica. Della prima si diceva trattarsi
del posto «où on est plus ouvertement prononcé en révolution», sia perché il suo governo
«en favorise sans ménagement les principes», sia perché piuttosto attiva era la locale
«loge de francs-maçons composée des plus chauds partisans du système de Napoléon». Della
città provenzale, invece, si sosteneva essere «le véritable point de contact de la
correspondance des différentes sociétés formées en Italie avec celles qui existent en France»
[66]
.
In quelle settimane, inoltre, da
Marsiglia il segretario della Prefettura delle Bouches-du-Rhône segnalava anche la non
lontana Genova, città in cui a destare preoccupazione era l’esistenza di una «Société
d’indépendants» descritta come «subordonnée à celle de Milan» e attiva lungo la costa
nell’organizzare «mouvements pour Joseph Bonaparte»
[67]
. Del resto, anche dalla stessa città ligure giungevano a Parigi informazioni
che ribadivano i legami intessuti dalle società locali con quelle di Milano, dove, anche
per l’alta presenza di ex ufficiali, molto attivi erano coloro i quali, «depuis peu, se
donnent du mouvement pour bouleverser l’ordre ¶{p. 393}actuel des
choses». Nello specifico, nella capitale lombarda l’insoddisfazione cittadina per il
passaggio da capitale del Regno d’Italia al più modesto status di protettorato austriaco
faceva sì che «les indépendants italiens cherchent, avec tous leurs efforts, d’augmenter
le mécontentement du peuple»
[68]
. Sempre da Genova, poi, giungevano conferme sulla pericolosità dei movimenti
tramati a Parma, definita «la capitale di tutti i rivoluzionari italiani, e per
conseguenza napoleonisti»
[69]
.
Per tutte queste ragioni, al
ministro degli esteri Richelieu veniva comunicata l’esistenza di una «association
secrète connue en Italie sous la dénomination d’Unitaires ou
d’Indépendants», associazione che proprio dal crollo
dell’Impero aveva intensificato le sue operazioni e che proprio al mondo rivoluzionario
di Francia continuava a guardare. Secondo tali informazioni, questa, «comprimée jusqu’en
1814 par le gouvernement de l’Usurpateur et depuis cette époque par le gouvernement
autrichien, voudrait reprendre le cours de ses manouvres». Cosicché, se si ribadiva come
i suoi «principaux foyers» fossero le città di Milano, Genova e Parma, sulla strategia
adottata dagli affiliati si precisava che essi «mettent en avant le nom du fils de
l’archiduchesse Marie Louise, mais seulement comme moyen d’arriver à leur but, qui est
de chasser les Allemands d’Italie, et de former dans ce pays un État indépendant».
Inoltre, preoccupava in particolare il fatto che a capo della società fosse un cittadino
francese quale l’ex ufficiale Jean Dumont, «fixé depuis quelques années à Milan», perché
tale circostanza «annoncerait des rapports établis depuis longtemps entre les
révolutionnaires de France et ceux d’Italie»
[70]
.
D’altronde, in quelle stesse
settimane anche al ministro Decazes veniva consegnata una lista di uomini considerati
¶{p. 394}«agents des Indépendants italiens et des
Jacobins français», dei quali si raccomandava la stretta
sorveglianza nella certezza che i settari italiani fossero «en relations continuelles
avec les jacobins de France», in quanto «leurs opinions sont les mêmes». Dei nomi della
lista preoccupava in particolare quello di un certo Dandolo, descritto quale uno degli
«agents des révolutionnaires d’Italie chargés d’organiser une correspondance avec les
mécontents de France»
[71]
. Le informazioni successive avrebbero chiarito la sua identità, rendendo
noto che si trattava di un giovane ventiseienne nativo dell’isola di Corfù e ai tempi
attivo negli ambienti bonapartisti, ma è significativo che, almeno inizialmente, le
attenzioni della polizia francese si fossero indirizzate su un altro Dandolo, il più
anziano Vincenzo, nato a Venezia nel 1758 e in seguito fra i leader del patriottismo
cisalpino durante il Triennio e poi senatore del Regno negli anni napoleonici, salvo
ritirarsi a vita privata nel 1815. Infatti, per l’occasione era stata in un primo
momento redatta una nota sul conto di quest’ultimo nella quale si diceva non esservi
«rien que Dandolo ne soit capable de tenter pour relever la République à Milan et
surtout à Venise» e lo si descriveva come un uomo estremamente pericoloso perché
«démocrate bien décidé»
[72]
. Tale circostanza, quindi, prova come la polizia monarchica reputasse ancora
molto pericoloso quel personale politico attivo durante la Rivoluzione e poi solo
apparentemente ritiratosi a vita privata nella Restaurazione.
Da questo punto di vista, un caso
ancor più eclatante è quello del calabrese Antonio Pitaro, il quale in Francia era
giunto come esule nel 1799 per poi stabilizzarsi negli anni napoleonici grazie alla sua
professione di medico e in seguito rimanervi anche dopo il 1815. A Parigi, infatti,
questi avrebbe soggiornato fino alla morte, sopraggiunta nel luglio 1832, non mancando
di mettersi in evidenza per
¶{p. 395}i viaggi sospetti in Inghilterra e
per le iniziative editoriali a sfondo politico
[73]
. Così, nel gennaio 1819, la polizia riceveva un rapporto anonimo che lo
descriveva come uno «scélérat sans aucun principe» e che ne denunciava le relazioni
segrete con il generale napoleonico Gaspard Gourgaud, rientrato dall’isola di Sant’Elena
solo l’anno prima
[74]
. Nello specifico, la segnalazione informava che le sue posizioni
anti-borboniche, già manifestate in patria nel lontano 1799, fossero tutt’altro che
abbandonate:
Note
[62] W. Daum e J. Späth (a cura di), Un primo liberalismo transnazionale? Verso il bicentenario delle rivoluzioni mediterranee del 1820-23, numero monografico di «Rivista Storica Italiana», 130, 2018.
[63] A. De Francesco, L’Italia di Bonaparte. Politica, statualità e nazione nella penisola tra due rivoluzioni, 1796-1821, Torino, Utet, 2011, pp. VII-XIX.
[64] D. Spadoni, Milano e la congiura militare nel 1814 per l’indipendenza italiana, Modena, Società tipografica modenese, 1936-1937, voll. 1-3.
[65] A. Crépin, Vers l’armée nationale. Les débuts de la conscription en Seine-et-Marne, 1798-1815, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2011, pp. 351-375.
[66] ANF, F/7, cart. 6853, dr. Associations secrètes d’Italie, Lettre du lieutenant du département du Var à Decazes (Draguignan, 14/10/1816).
[67] ANF, F/7, cart. 6853, dr. Associations secrètes d’Italie, Lettre du secrétaire de la Préfecture des Bouches-du-Rhône (Marseille, 11/1816).
[68] ANF, F/7, cart. 6853, dr. Associations secrètes d’Italie, Rapport de la quatrième Division du Ministère de la police (Gênes, 9/11/1816).
[69] ANF, F/7, cart. 6853, dr. Associations secrètes d’Italie, Rapporto sui movimenti carbonari a Parma (Genova, 23/11/1816).
[70] ANF, F/7, cart. 6853, dr. Associations secrètes d’Italie, Rapport à Richelieu (Paris, 10/1816).
[71] ANF, F/7, cart. 6853, dr. Associations secrètes d’Italie, Rapport au ministre Decazes, avec une liste des agents des Indépendants italiens et des Jacobins français.
[72] ANF, F/7, cart. 6853, dr. Associations secrètes d’Italie, Note sur Vincenzo Dandolo (s.d.).
[73] Nel 1831, Pitaro avrebbe pubblicato un’opera in versi non poco ispirata alla recente rivoluzione parigina di Luglio e molto critica contro la «politica sempre inganevole degli inglesi verso i popoli»: A. Pitaro, L’ombra di Washington al sepolcro di Giorgio Canning, Parigi, Dezauche, 1831.
[74] ANF, F/7, cart. 6894, Rapport anonyme sur Pitaro.