Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c11
Dunque, anche per un altro italiano
avviatosi alla politica
¶{p. 385}negli anni della Rivoluzione e poi
attivo in Francia durante la Restaurazione il lavoro culturale era da intendersi come la
continuazione del precedente operato e non certo come il disimpegno dalla vita pubblica.
Non a caso, sin dai primi mesi del suo soggiorno a Parigi Salfi suscitò la
preoccupazione della polizia locale, la quale, anche su impulso di una nota risalente al
1804 che lo descriveva come «écrivain révolutionnaire» e «partisan du système de la
grande ligue italique»
[51]
, lo metteva sotto sorveglianza: cosicché, già nel novembre 1816 gli
informatori riferivano trattarsi di un «ardente repubblicano» in grado di esercitare in
patria un’«influenza rivoluzionaria»
[52]
. Né tantomeno appare casuale la circostanza per cui fra i suoi primi
contatti parigini vi fossero uomini, quali Carlo Lauberg e Nicola Basti, conosciuti
nella lontana stagione delle trame repubblicane della Napoli degli anni Novanta e poi
pronti ad aiutarlo in quel nuovo contesto. Insomma, da un lato gli esuli del 1799
ponevano le basi per la concreta integrazione nella capitale transalpina dei loro
storici compagni giunti solo di recente, dall’altro quest’ultimi davano ulteriore
impulso a quei progetti inerenti la valorizzazione della cultura nazionale già avviati,
ma non conclusi, nella stagione napoleonica.
Grazie a Lauberg, ad esempio, Salfi
entrò in contatto con un altro rivoluzionario della prima ora quale il marchese La
Fayette, che a sua volta fece pressioni sul ministro Corvetto affinché questi
acconsentisse a rilasciargli una pensione che gli permettesse di continuare il lavoro
sull’Histoire littéraire d’Italie
[53]
. Basti, poi, fu decisivo nel permettere, con un finanziamento di 60 franchi,
la stampa del primo lavoro salfiano edito a Parigi, ossia quella Storia dei
Greci che il calabrese diede alle stampe nel 1817 per l’editore
Julien-Léonard Chanson e con cui intendeva sviluppare le proprie teorie filosofiche
sulla storia avviate sin dagli anni dell’insegnamento al Liceo di Brera
[54]
.¶{p. 386}
Il testo, infatti, aveva l’obiettivo
di contribuire a formare «l’idea più giusta del grado comparativo d’incivilimento a cui, nelle epoche sue più solenni, è salita finora la
specie umana». Pertanto, serviva non solo a gettar nuova luce sulle vicende dell’antica
Grecia, ma anche ad avviare una più ampia riflessione storiografica che l’autore diceva
di voler proseguire mediante ulteriori volumi dedicati allo studio di altre epoche e poi
concludere con ulteriori considerazioni su filosofia della storia e attualità politica:
Ed io, se il presente Discorso non riuscirà disaggradevole, un secondo daronne su la storia de’ Romani, ed un terzo su quella dell’Italia de’ mezzi tempi. [...] La Grecia, Roma, l’Italia ci offriranno adunque come tre gran quadri per agevolmente distinguerne e paragonarne le parti più risentite; e notando dove l’una a fronte dell’altra sia progressiva, stazionaria, oscillante o retrograda, potremo indicare ad un tempo e qual influenza abbia l’una esercitata su l’altra, e per quali relazioni l’una epoca dall’altra proceda, e come fra loro reciprocamente si attengano e si colleghino: e sarà questo l’obbietto del quarto ed ultimo Discorso, che compierà il vero ed unico scopo de’ tre precedenti [55] .
Il proposito di Salfi, tuttavia,
rimase incompiuto a causa dei sopraggiunti lavori legati alla continuazione
dell’Histoire littéraire d’Italie e alla collaborazione con la
«Revue encyclopédique». Ad ogni modo, va detto che il testo non solo sarebbe stato
tradotto in francese cinque anni più tardi
[56]
, ma soprattutto avrebbe avuto il merito di anticipare, in una prospettiva
storica, tematiche che l’autore avrebbe poi ripreso in chiave più esplicitamente
politica qualche tempo dopo, ossia quando, in occasione della rivoluzione napoletana del
1820-1821, sempre a Parigi dava alle stampe un pamphlet dal titolo emblematico,
L’Italie au dix-neuvième siècle ou de la nécessité d’accorder en Italie le
pouvoir avec la liberté¶{p. 387}
[57]
. In questo scritto, al fine di scongiurare l’intervento militare austriaco
contro quella rivoluzione carbonara di Napoli che era ancora in corso nei frangenti
della redazione
[58]
, egli esortava alla formazione di una confederazione fra gli Stati italiani,
in ciò traendo insegnamento, appunto, da quanto già raccontato qualche anno prima nel
lavoro sulla storia greca, nel quale, dopo aver presentato l’invasione dei persiani di
Dario come «la prima occasione in cui le greche repubbliche sentono l’alta necessità di
associarsi alla meglio per la comune loro difesa», aveva sottolineato che «se una
repubblica federativa riesce per l’ordinario poco atta a
conquistare e fondare un grande impero, [...] pure è sempre a difendersi attissima, ogni
qual volta la difesa comune sia necessaria»
[59]
.
Sulla proposta di istituire una
confederazione in Italia occorre un minimo soffermarsi, innanzitutto per evidenziare
come né il soggiorno all’estero, né l’impegno letterario avevano indotto Salfi a
distogliere lo sguardo dai contemporanei avvenimenti della terra natia, poi per
sottolineare come questi, pur ormai accantonando gli ardori unitari della stagione
giovanile, mirasse sempre a suggerire strumenti volti a dare stabilità alle conquiste
dell’ultimo quarto di secolo. Infatti, il suo scopo era quello di contribuire al
dibattito costituzionale in corso a Napoli suggerendo quali principi cardine della
futura Costituzione l’allargamento della rappresentanza e il riconoscimento della
libertà di stampa. Così facendo, si proponeva di rilanciare, seppur declinandolo in una
prospettiva monarchica e non più repubblicana, quel modello di democrazia
rappresentativa che era stato enucleato nella stagione del Direttorio (e del Triennio) e
che ai suoi occhi permetteva di risolvere la questione centrale di quegli anni, ossia la
necessità di conciliare il tema della sovranità popolare e dell’eguaglianza civile con
le regole e gli spazi imposti dalla restaurata monarchia
borbonica:¶{p. 388}
Nos mœurs, nos connaissances, nos tendances, nos besoins, s’opposent également à une monarchie et à une démocratie absolue. Les hommes, en général, ont aujourd’hui assez de lumières d’une part, pour n’être plus gouvernés comme des esclaves et des machines; et de l’autre, trop d’inégalité dans les moyens économiques et moraux pour être tous également capables d’exercer les mêmes droits et les mêmes fonctions. On doit donc éviter tous les dangers d’un pouvoir arbitraire, ainsi que ceux d’une démocratie turbulente. Or, le milieu salutaire entre ces deux extrêmes, on le trouve dans cette espèce presque nouvelle de gouvernement représentatif, qui rallie les prérogatives royales de la monarchie aux droits imprescriptibles des peuples, ou qui plutôt, légitimant les unes par les autres, peut seul convenir, aux besoins et aux lumières des peuples policés [60] .
Insomma, per Salfi come per Buttura,
quel soggiorno in Francia certo era dovuto alla possibilità di maggiori sostentamenti
economici e di più ampie prospettive editoriali, certo aveva imposto di interfacciarsi
con le istituzioni borboniche e di modificare le posizioni degli anni giovanili, ma
comunque si rivelava – almeno fino al duro intervento militare francese in Spagna del
1823 – politicamente animato dalla convinzione per cui la battaglia democratica
cominciata nel 1796 fosse ancora legata all’intesa con quel paese che a tale lotta aveva
dato impulso e che ai suoi protagonisti continuava a dare alloggio.
3. Prima del 1821
Marzo 1821: mentre in Piemonte
prendeva corpo la rivoluzione che avrebbe momentaneamente portato il reggente Carlo
Alberto a concedere una nuova Costituzione e mentre nel Regno di Napoli l’invasione
austriaca segnava il dissolvimento delle rivendicazioni di libertà scoppiate l’estate
precedente, a Parigi una delle animatrici dei salotti letterari del tempo, Émilie
Roland, scriveva all’ex generale napoleonico Claude Marie Meunier per commentare le
notizie provenienti dall’altro lato delle Alpi. A suo dire, anche
¶{p. 389}in Francia «les affaires de l’Italie agitent de plus en plus
les partisans de la liberté», al punto tale che mentre alcuni suoi conoscenti erano
stati avvicinati da uomini esortanti ad andare a combattere a Napoli, nei circoli
liberali si stava cercando di verificare la notizia, erroneamente diffusasi in quei
giorni, della morte del generale costituzionale napoletano Guglielmo Pepe al fine di
«célébrer une oraison funèbre à laquelle on doit donner beaucoup d’éclat et où on espère
que tout Paris assistera». In generale, le sue parole rivelavano, in un misto di
speranza e preoccupazione, come gli avvenimenti in corso nella penisola fossero seguiti
con grande interesse nella capitale francese, dove non mancava chi, proprio sulla spinta
di tali rivendicazioni, provava a rispolverare vecchi progetti costituzionali. Così,
sostenendo che fosse oramai «impossible de se déguiser à quel point l’esprit
révolutionnaire agite la France», la Roland informava che a Parigi «beaucoup d’individus
cachent des projets sanguinaires sous le prétexte qu’ils ne demandent que la liberté de
la presse et la charte» e che «les libéraux en masse veulent la Constitution de ’91»
[61]
.
Dunque, nel mese più caldo delle
rivoluzioni scoppiate a Napoli e Torino, nella capitale transalpina era forte la
consapevolezza del portato internazionale di quelle vicende e del fatto che dal loro
esito passassero anche le ambizioni costituzionali di parte francese. Del resto, sul
«liberalismo transnazionale» del 1821 negli ultimi anni molto è stato scritto e proprio
ad esso è stata attribuita, a ragione, una parte importante del processo che, nei mesi
successivi, avrebbe portato al grande flusso di esuli italiani in Spagna e Francia
[62]
. Tuttavia, se non vi è dubbio che gli avvenimenti di quell’anno ebbero dei
risvolti importanti a proposito della mobilità politica, qui sembra che troppo si sia
attribuito a quanto quelle rivoluzioni innescarono negli anni
¶{p. 390}successivi e troppo poco, invece, sia stato riconosciuto a
quanto esse ereditarono dalla stagione precedente.
Note
[51] ANF, F/7, cart. 2255.
[52] Carbone, I rifugiati italiani in Francia, cit., p. 2.
[53] Froio (a cura di), Salfi tra Napoli e Parigi, cit., pp. 49, 82, 151, 159.
[54] F.S. Salfi, Su la storia dei Greci, discorso, Paris, Chanson, 1817. I suoi precedenti testi sulla filosofia della storia sono: Dell’uso dell’Istoria massime nelle cose politiche, Milano, A. Nobile, 1807; Della influenza della storia, Napoli, A. Nobile, 1815.
[55] Salfi, Su la storia dei Greci, cit., pp. 7-8.
[56] F.S. Salfi, Discours sur l’histoire de la Grèce, traduit de l’italien, Paris, Renard, 1822.
[57] F.S. Salfi, L’Italie au dix-neuvième siècle ou de la nécessité d’accorder en Italie le pouvoir avec la liberté, Paris, Dufart, 1821.
[58] Nell’avant-propos l’autore precisava che il testo era stato «composé avant que la guerre contre les Napolitains ne fut déclarée», cfr. ibidem.
[59] Salfi, Su la storia dei Greci, cit., pp. 31-32.
[60] Salfi, L’Italie au dix-neuvième siècle, cit., p. 15. Il corsivo è mio.
[61] ANF, 234/AP, cart. 2, dr. 2, Lettres de Mme Roland au baron Munier (Paris, 16-18/03/1821).
[62] W. Daum e J. Späth (a cura di), Un primo liberalismo transnazionale? Verso il bicentenario delle rivoluzioni mediterranee del 1820-23, numero monografico di «Rivista Storica Italiana», 130, 2018.