Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c10
Ma a essere particolarmente
apprezzate dalla classe dirigente di Luigi XVIII erano soprattutto le domande di coloro
i quali si erano contraddistinti nel mondo artistico e culturale. Era il caso, come
detto, del romano Ennio Quirino Visconti, il quale, grazie alle prestigiose funzioni di
conservatore al Museo del Louvre aveva fatto dimenticare la sua vicinanza agli indirizzi
culturali napoleonici e aveva raggiunto una celebrità tale che i funzionari ministeriali
ritenevano addirittura inutile effettuare ricerche sul suo conto
[16]
. Discorso simile anche per il musicista parmigiano Ferdinando Paër,
descritto come «compositeur distingué» e di cui si comunicava che la reputazione
acquisita in Francia «dispense d’entrer dans beaucoup de détails à son égard». In questo
caso, poi, particolarmente apprezzate erano le frequentazioni avviate nella società
francese, dato che a suo favore non solo era evocato il ruolo d’insegnante di musica
presso la duchessa di Berry, ma poi si sosteneva che «livré tout entier à l’amour de son
art, il est recherché et accueilli par les personnes les plus distinguées de la capitale»
[17]
. Da
¶{p. 347}questo punto di vista, non era certo una
coincidenza che simili personalità risiedessero a Parigi, in quanto la capitale
continuava a essere un indiscutibile luogo di attrazione per il mondo culturale del
tempo. Fra esse vi era il milanese Gaetano Boldoni, giunto in Francia nel lontano 1781 e
messosi in luce sin dai tempi della rivoluzione per le sue competenze linguistiche poste
al servizio di importanti istituzioni statali: infatti, il rapporto che motivava
l’approvazione della sua domanda riferiva che «après avoir été employé pendant 22 ans au
bulletin des lois comme traducteur du gouvernement, il est maintenant interprète
assermenté près la cour de cassation et professeur de langue italienne à l’Athénée royal»
[18]
.
Ma fra i naturalizzati italiani
distintisi a Parigi per i loro meriti culturali vi erano anche personalità che, come
Visconti, in Francia erano giunte in qualità di esuli repubblicani o comunque con
incarichi politici legati alla stagione napoleonica. Era il caso del poeta romano
Francesco Gianni, che, dopo esser stato costretto a riparare oltralpe nel 1799, a Parigi
aveva stretto una solida amicizia con un altro storico rivoluzionario quale Bertrand
Barère per poi animare dure polemiche letterarie dalle pagine dei periodici locali. Ed
era il caso di quel Carlo Botta che, arrivato sulle rive della Senna nel 1804 in qualità
di deputato del Corpo legislativo per il nativo dipartimento della Dora, cinque anni più
tardi aveva dato alle stampe la Storia della guerra d’indipendenza degli Stati
Uniti d’America. Del resto, proprio tale testo gli tornava utile con la
svolta sancita dal ritorno borbonico in Francia, perché le pagine dedicate al sostegno
che, ai tempi della rivoluzione americana, la monarchia di Luigi XVI aveva fornito
all’esercito di Washington permettevano al suo autore di presentarsi come un uomo
incline a riconoscere i meriti della dinastia francese. Infatti, in una petizione
redatta nel gennaio 1815, Botta sottolineava come egli avesse «imprimé pendant son
séjour à Paris (en 1809) et à Paris même l’histoire de la guerre d’Amérique, ouvrage
dans lequel, malgré les circonstances du temps, il ¶{p. 348}s’est plu à
rendre les plus grands témoignages aux vertus et à la sage politique des princes de
l’Auguste Maison des Bourbons». E da questo punto di vista l’obiettivo sarebbe stato
pienamente centrato, perché qualche settimana più tardi il rapporto prefettizio che
esprimeva approvazione per la sua domanda sosteneva che «tout le monde a rendu justice à
l’impartialité et à la sagace des vues de l’auteur de cette histoire» e che «à l’époque
de la publication de cette ouvrage on n’a pas vu sans étonnement la manière franche et
courageuse dont l’auteur a parlé de l’Auguste Maison des Bourbons»
[19]
.
Di Gianni, invece, va segnalato
come questi allegasse alla sua domanda le lettere di raccomandazione di due importanti
personalità della Francia del tempo quali il ministro delle finanze Luigi Emanuele
Corvetto e il prefetto della Seine Gilbert Chabrol. In entrambi i casi si insisteva
molto sui suoi meriti letterari, al punto tale che il secondo, anche allo scopo di
occultare i trascorsi rivoluzionari del suo protetto, ne presentava addirittura l’avvio
del soggiorno oltralpe non quale conseguenza della fuga forzata effettuata a seguito del
crollo delle «Repubbliche sorelle», ma come il risultato della volontà del governo
francese di attirare a Parigi i maggiori talenti letterari del tempo:
M. Gianni, né à Rome, est un des hommes de lettres qui ont le plus contribué à la gloire de ce siècle; ses talents pour la poésie l’avaient déjà rendu célèbre en Italie lorsqu’il fut appelé à Paris par le dernier gouvernement; fixé depuis 16 ans dans cette capitale, qui est devenue sa patrie d’adoption, il y a consacré ses talents à l’honneur français, sa rare facilité à improviser des chants lyriques a fait l’admiration de tous les gens de goût [20] .
Ma è sulla figura di Corvetto e sul
suo ruolo nella gestione dei naturalizzati che occorre qui soffermarsi, perché questi,
nativo di Genova, proprio sfruttando la sua prestigiosa posizione istituzionale fu ai
tempi il principale protettore ¶{p. 349}degli italiani in Francia e poi
perché il suo stesso percorso politico conferma ulteriormente la tendenza borbonica a
coinvolgere le più brillanti personalità degli anni precedenti. Egli, infatti, prima
aveva svolto ruoli di rilievo in seno alla Repubblica ligure del 1797 (durante la quale
era stato fra i componenti del comitato delle Relazioni Estere) e poi, in seguito
all’annessione della sua patria avvenuta nel 1805, si era trasferito a Parigi per
svolgere la funzione di componente del Consiglio di Stato
[21]
. Per questo, al crollo dell’Impero, credendo di esser prossimo a lasciare la
capitale, si era affrettato a vendere i suoi arredi parigini, salvo poi piacevolmente
constatare come la sua carriera in Francia fosse tutt’altro che destinata a
interrompersi, dato che fu prima confermato nel suo incarico di consigliere e poi, dopo
l’intermezzo dei «Cento giorni» nel quale comunque non si lasciò coinvolgere,
naturalizzato egli stesso e addirittura elevato alla più alta carica della sua carriera,
quella appunto di ministro delle finanze
[22]
.
Una funzione, questa, che egli
esercitò per oltre tre anni a partire dal settembre 1815 e che utilizzò non poco per
aiutare gli italiani presenti oltralpe. Se non mancano sue lettere di raccomandazione
per storici esuli del 1799 quali, oltre a Gianni, l’ampiamente citato Buttura
[23]
, e se ulteriori «renseignements» egli fornì a favore di militari vari, a
prevalere nelle sue attenzioni erano, per ovvie ragioni, i connazionali liguri. Fra
questi figuravano anche uomini a cui era legato sia politicamente che privatamente,
quali il barone Giuseppe Schiaffino e il conte Nicola Littardi: il primo da poco
nominato Console generale di Francia a Genova e il secondo suo collaboratore
ministeriale, entrambi sposatisi a Parigi con due sue figlie
[24]
. L’interesse per figure a lui vicine, poi, si sarebbe fatto molto forte
nell’estate del 1816, quando corse in soccorso del fratello Giambattista, ex capitano di
fanteria ai tempi in pensione a Clermont-Ferrand che, a ¶{p. 350}causa
della recente partecipazione all’esperienza dei «Cento giorni», stava riscontrando
problemi nel vedersi riconosciuta la desiderata naturalizzazione. D’altronde, del peso
di quel cognome erano pienamente consapevoli anche i funzionari del Ministero della
guerra, che scrivevano al loro superiore Clarke di ritenere opportuno di «lui faire
obtenir [les lettres de naturalisation] en considération du nom qu’il porte, c’est le
frère du ministre des finances»
[25]
.
Del resto, anche oltre lo specifico
caso del fratello, Corvetto fece a più riprese pesare il proprio prestigio per sostenere
le domande di naturalizzazione sottoposte da quei suoi connazionali su cui i dubbi di
Ministero e Prefettura erano molto forti a causa della presunta partecipazione alla
breve fase del ritorno al potere di Napoleone. Al riguardo, significativo appare
l’esempio dell’ufficiale ligure Bartolomeo Alberti, anch’egli naturalizzato solo dopo il
decisivo intervento del suo altolocato protettore. Infatti, se in un primo momento,
nell’ottobre 1816, gli uffici del Ministero della guerra comunicavano come questi
rientrasse fra gli ufficiali che «ne peuvent être naturalisés français» a causa della
condotta «répréhensible» tenuta durante «l’Usurpation», in seguito, cinque mesi più
tardi, egli otteneva il titolo di francese proprio grazie all’intervento di Corvetto,
come nel marzo 1817 il ministro della guerra Clarke riconosceva con estrema sincerità al
suo omologo alla giustizia Étienne-Denis Pasquier:
Monsieur le Baron, j’ai eu l’honneur d’écrire à M. le Chancelier de France, le 7 octobre dernier [...]. Cette disposition était motivée par des vues d’économie et en raison du classement peu favorable de M. Alberti par la Commission chargée d’examiner la conduite des officiers qui ont servi pendant l’Usurpation. Depuis, M. le comte Corvetto m’a fait connaître qu’il portait le plus grand intérêt à ce commissaire de guerre et m’a transmis à son égard des renseignements qui lui sont favorables; j’ai en conséquence l’honneur d’informer V.E. que je n’apporterai pas d’obstacle à sa naturalisation [26] .¶{p. 351}
Insomma, raccomandazioni e
protezioni incidevano non poco nel rilascio della naturalizzazione, a conferma di come
nella gestione di quelle domande i requisiti imposti per legge spesso avessero
un’importanza inferiore rispetto a quella esercitata da valutazioni più prettamente
politiche. Tuttavia, a volte le raccomandazioni potevano, paradossalmente, risultare
anche negative, come avvenne per il prete Gian Valentino Macario, sacrestano della
cappella parigina delle Tuileries sul quale esisteva una nota positiva che però gli creò
diversi problemi: essa, infatti, era stata redatta il 20 maggio 1815, cioè nel pieno dei
«Cento giorni», e per la penna dell’allora prefetto della Seine Pierre-François Réal,
fedelissimo di Napoleone e storico militante del club dei giacobini. Cosicché, qualche
mese più tardi, quando ormai il secondo ritorno di Luigi XVIII si era consolidato,
Macario si sarebbe trovato in difficoltà, dato che il responsabile dell’amministrazione
del culto, dopo aver comunicato che «celui-ci s’adressa à M. Réal, alors Préfet de
police, qui rendit sur la conduite de cet ecclésiastique le compte le plus favorable»,
aggiungeva che «l’époque malheureuse où ce rapport fut fait et les éloges donnés à M.
Macario par le fonctionnaire que je viens de citer ne pouvent m’inspirer une grande
confiance». A risolvere l’intricata situazione sarebbe giunta un’ulteriore
raccomandazione, quella del nuovo prefetto della Saône-et-Loire Alexandre-Jean Feutrier,
che, nel novembre di quello stesso anno, accorreva in soccorso del religioso italiano
descrivendolo come un «bon prêtre, entièrement étranger aux opinions politiques qui ont
agité la France»
[27]
.
Sempre a proposito di Corvetto, al
netto delle raccomandazioni prodigate ad altri, anche la sua stessa naturalizzazione
costituisce un elemento di riflessione, perché rientra in pieno fra quelle concesse alle
personalità che negli anni precedenti si erano contraddistinte per concrete e importanti
funzioni amministrative. Gli esempi a questo proposito sono numerosi, ma qui ci si
limita a evocare quello di un altro ligure quale
¶{p. 352}Giambattista
Roggieri, che, giunto oltralpe nel 1806, grazie alla sua passata carica di prefetto
della Meuse-Inferièure ottenne il titolo di cittadino francese sin dal gennaio 1815
[28]
; oppure quello del torinese Gianni De Gubernatis, il cui passato da
«administrateur habile et éclairé» nel Piemonte occupato dai francesi gli valse la
naturalizzazione già nel 1814
[29]
; o ancora quello del piemontese Ugo Botton di Castellamonte, il quale,
trasferitosi a Parigi nel 1804, aveva a lungo operato come consigliere della Corte di Cassazione
[30]
.
Note
[16] Sul punto vedi infra, pp. 287-288.
[17] ANF, BB/11, cart. 123/A, dr. 6183.
[18] ANF, BB/11, cart. 100/A, dr. 3479.
[19] ANF, BB/11, cart. 102/A, dr. 4279.
[20] ANF, BB/11, cart. 102/B, dr. 4376. Il corsivo è mio.
[22] ANF, BB/11, cart. 100/A, dr. 3458.
[23] ANF, BB/11, cart. 114/B, dr. 2591.
[24] ANF, BB/11, cart. 99/A, dr. 3024.
[25] ANF, BB/11, cart. 108/B, dr. 7609.
[26] ANF, BB/11, cart. 124/A, dr. 6683.
[27] ANF, BB/11, cart. 103/B, dr. 4591.
[28] ANF, BB/11, cart. 100/A, dr. 3514.
[29] ANF, BB/11, cart. 98/B, dr. 2859.
[30] ANF, BB/11, cart. 98/A, dr. 2664.