Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c9
Insomma, qui sembra che in quello stato dei servizi si tendesse a occultare un legame, quello di Grassi con la Francia, che in realtà era cominciato anni prima, ossia nella stagione repubblicana, e che era stato per lui fonte certo di diversi problemi, ma anche di strane protezioni, alle quali
{p. 321}probabilmente vanno attribuite sia la sua rapida scarcerazione nel febbraio 1798, sia la presenza della famiglia al suo fianco già al momento dell’arrivo in Francia. Pertanto, proprio quel suo impegno filo-francese nella Sicilia degli anni Novanta gli avrebbe permesso di porre le basi per la coltivazione dei rapporti a lungo conservati a Parigi con le istituzioni del nuovo paese di residenza. Di qui, la ragione per cui, pur risultando arruolato nell’esercito francese solo dal maggio 1809, egli fosse residente in Francia già nelle primissime settimane del secolo, tanto che anni dopo, nel novembre 1820, avrebbe dichiarato al fratello di aver «combattuto nelle fila dell’Armata francese sin dall’epoca dell’allontanamento dal [suo] paese» [54]
. Di qui, ancora, il motivo per cui, durante la Restaurazione, egli fosse riuscito a far dimenticare la propria esposizione pubblica a sostegno del governo dei «Cento giorni» e avesse – forte di rapporti con lo «Stato profondo» francese nati durante la Rivoluzione, intensificati sotto Napoleone e ritornati utili anche nel nuovo regime – addirittura ottenuto tanto la naturalizzazione, quanto la Legion d’onore.
Se resta comunque da approfondire l’ipotesi di un Grassi segretamente al servizio delle armate francesi, ci sembra tuttavia innegabile come proprio il suo impegno degli anni Novanta volto a favorire una penetrazione repubblicana in Sicilia costituisca un elemento centrale del suo intero percorso politico. Un impegno, questo, che, sommato alla non marginale circostanza per cui egli avrebbe trascorso in Francia gran parte della sua esistenza, merita di essere tenuto in considerazione anche a proposito dell’analisi delle sue ultime fatiche intellettuali, quelle pubblicate negli anni Venti sull’assetto geopolitico del Mediterraneo. Nel 1825, infatti, egli dava alle stampe la Charte turque, ou organisation religieuse, civile et militaire de l’Empire ottoman, a cui faceva seguito, due anni più tardi e ormai alla vigilia della morte, la La Sainte-Alliance, les Anglais et les Jésuites [55]
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In tempi più recenti questi due testi hanno suscitato grande attenzione intorno alla sua figura, la quale proprio in virtù di tali lavori è stata annoverata fra quelle rientranti nei «Mediterranean Liberals», ossia fra quei patrioti che, guardando con interesse allo sviluppo del filellenismo degli anni Venti, in quel periodo avrebbero teorizzato un modello di liberalismo alternativo a quello sia britannico che francese [56]
. Ora, se ci si sente di condividere la proposta della formazione di un’area rivoluzionaria mediterranea, più nello specifico ci sembra meno condivisibile – almeno per Grassi – l’idea per cui tale modello debba intendersi come parimenti distante tanto da quello inglese, quanto da quello francese, ossia come una sorta di «terza via» alternativa all’uno come all’altro. Da questo punto di vista, occorre innanzitutto far notare come le due fatiche fossero entrambe edite a Parigi (la prima per i tipi di Pierre Mongie e la seconda per quelli di Ambroise Dupont) e addirittura arrecassero nel frontespizio l’indicazione del conferimento al suo autore del titolo di «chevalier de la Légion d’honneur». Ma soprattutto, da un punto di vista contenutistico va detto che i due testi prendevano posizioni molto dure contro l’Inghilterra e ideologicamente tutt’altro che neutre. Nello specifico, il primo lavoro si poneva in una posizione ai tempi alquanto originale perché, in maniera provocatoria, effettuava una lode dell’Impero ottomano che serviva non per contestare la causa rivoluzionaria greca, ma per denunciare le responsabilità di Inghilterra, Russia ed Austria, colpevoli di non aver fornito a quella causa un convinto sostegno. Tali tesi erano poi ribadite nella seconda fatica, che serviva a Grassi sia per chiarire il suo apprezzamento per i rivoluzionari greci, sia per ribadire come le lodi all’Impero ottomano servissero per criticare le altre potenze imperiali, {p. 323}in quanto a suo avviso «parmi les gouvernemens absolus d’Europe, le gouvernement turc est le moins absolu et le moins arbitraire d’entre tous» [57]
.
Ma in tale fatica si insisteva anche sulla critica a quelle che, secondo il siciliano, erano state e continuavano a essere le principali cause dei mali d’Europa. Da un lato, vi erano i gesuiti, simbolo del cattolicesimo più intransigente, le cui teorie erano l’opposto di quelle costituzionali, perché se quest’ultime «tendent à élever la France», le altre «tendent, au contraire, par toutes sortes de moyens et dans un intérêt privé, à ressaisir le pouvoir, à faire reculer les lumières du siècle» [58]
. Dall’altro lato, vi era la potenza inglese, la quale ormai da anni condizionava gli equilibri del Mediterraneo mirando, dopo esser stata a lungo l’«ennemie implacable du gouvernement républicain et de l’empire», ad «empêcher, ou entraver, tout régime constitutionnel et représentatif en Europe» [59]
.
Insomma, se si prende in considerazione la circostanza per cui in una delle due opere fossero manifeste sin dal titolo le critiche al dominio inglese e se si tiene conto del fatto che Grassi redigeva tali testi a Parigi (da naturalizzato francese e a seguito di un lungo percorso che l’aveva portato prima ad abbracciare la causa rivoluzionaria e poi a sostenere il sistema napoleonico finanche durante i «Cento giorni»), appare legittima la lettura per cui se di «modello rivoluzionario mediterraneo» si può parlare, occorre farlo concependolo non in antitesi, ma quale sostanziale prodotto della cultura politica europea affermatasi a far data dal 1789. E sembra altresì che proprio quel suo impegno a sostegno di un’espansione repubblicana nel Mediterraneo avviatosi nella Sicilia degli anni Novanta, ossia nel cuore dei conflitti fra Francia ed Inghilterra per l’egemonia del bacino marittimo [60]
, non solo avesse posto le basi per quelle {p. 324}sue strane relazioni con i Ministeri parigini sviluppatesi nei decenni successivi, ma fosse poi stato, in fondo, tutt’altro che dimenticato finanche nella riflessione geopolitica che contraddistinse l’ultima stagione della sua vita.
Del resto, del legame che ancora negli anni Venti lo univa alla terra natia, così come delle motivazioni di quella sua lontana militanza per la causa francese negli anni rivoluzionari, egli stesso dava una straordinaria testimonianza alla vigilia della morte. Nell’autunno del 1825, quando ormai la Charte turque era stata pubblicata e La Sainte-Alliance in corso di redazione, compiva un viaggio di tre mesi a Malta allo scopo di rivedere, dopo oramai molti anni, la famiglia rimasta in Sicilia. Il viaggio, tuttavia, si rivelò per lui solo fonte di ulteriori delusioni, perché nessuno dei parenti riuscì a raggiungerlo sulle vicine coste mediterranee, causandogli un misto di rabbia e di amarezza che lo portò a sfogarsi con estremo sarcasmo in una delle ultime lettere della sua vita. Una lettera in cui, rievocando ai fratelli tutto il suo amore per l’isola che gli aveva dato i natali e la profonda avversione per il governo che continuava ad amministrarla, ritornava sulla causa di quella sua prolungata impossibilità a metter piede sulle coste siciliane (causa che, probabilmente, era la stessa delle protezioni di cui aveva a lungo beneficiato in Francia):
Per Bacco! Egli è dunque possibile che io non veggo giammai giunger in questa una risposta da parte vostra?... Tutti, tutti i giorni arrivan qui delle spronare da Siracusa, da Agosta e dalle vicinanze delle medesime due città [...]; eppure veruna lettera m’è giunta qui da Sicilia dopo il mio arrivo a Malta, cioè dopo non pochi giorni! Parmi che sarebbe più facile attender pria una risposta da Parigi che dalla Sicilia.
Dacché deriva ciò? A che attribuire un sì lungo ritardo nell’arrivo delle lettere da Sicilia a Malta? Senza dubbio all’eccellente, eccellentissima amministrazione de’ sublimi Genj che trovansi alla testa dell’incomparabile e saggia amministrazione, che ha saputo sempre distinguersi per una infinità di zero. Gli agenti subalterni, oppur Superiori, hanno forse dato avviso del mio arrivo in questa? Un tale avviso ha certamente un grande merito, e mai potrebbe pagarsi un tal zelo. Ed in effetti, non trattasi d’altro che d’esser {p. 325}arrivato a Malta un condannato a morte per Contumacia, dalla celebre, famosa, immortal Giunta di Stato, ed una tal memorabile sentenza data fin dappiù d’un quarto di secolo! Povero me, s’essa avesse avuto la sua desiderata esecuzione! Quest’oggi non si troverebbe altro che la polvere solamente...
Ed in verità, perché sono stato condannato? Qual fu il mio delitto ben provato? Come partigiano dei francesi, e per aver voluto vender loro, o per dir meglio, per avere loro venduto la Sicilia, cioè a dire in qualità di mercante e negoziante di regni [61]
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Note
[54] Calì, Alfio Grassi, cit., p. 123.
[55] A. Grassi, Charte turque, ou Organisation religieuse, civile et militaire de l’Empire ottoman, Paris, Mongie aîné, 1825; Id., La Sainte-Alliance, les Anglais et les Jésuites; leur système politique à l’égard de la Grèce, des gouvernements constitutionnels et des évènements actuels, Paris, Dupont, 1827.
[56] M. Isabella, Mediterranean Liberals? Italian Revolutionaries and the Making of a Colonial Sea, 1800-30 ca, in M. Isabella e K. Zanou (a cura di), Mediterranean Diasporas. Politics and Ideas in the Long 19th Century, London, Bloomsbury, 2016, pp. 83-86.
[57] Grassi, La Sainte-Alliance, les Anglais et les Jésuites, cit., pp. 7-11.
[58] Ibidem, pp. 501-502.
[59] Ibidem, pp. 108-113.
[60] J. Meeks, France, Britain, and the Struggle for the Revolutionary Western Mediterranean, Cham, Palgrave, 2017.
[61] Calì, Alfio Grassi, cit., pp. 149-151.