Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c9
Quel 20 marzo, invece, non era stato
vittima – e nemmeno passivo spettatore – un altro italiano residente in Francia quale il
militare siciliano Alfio Grassi, che, dopo esser stato posto in congedo l’estate
precedente, aveva risposto presente alla nuova chiamata alle armi di Napoleone,
partecipando alle operazioni che ne permisero il ritorno nella capitale. Nato ad
Acireale nel 1766 e poi giunto a Parigi come esule nel 1799, questi si era messo in luce
agli occhi delle autorità francesi sin dai lontani anni in Sicilia, quando durante la
Rivoluzione aveva contribuito a sventare il massacro di un’imbarcazione repubblicana
deragliata nei pressi di Siracusa, mentre in seguito era stato a lungo un fedele
militare napoleonico al punto tale che, agli albori del 1815, la nuova classe dirigente
borbonica non solo lo destituì dal servizio, ma gli intimò addirittura di abbandonare l’Esagono
[34]
. Un
¶{p. 311}ordine, questo, che tuttavia egli si guardò
bene dal rispettare e al quale rispose, appunto, arruolandosi in marzo nel ricostituito
esercito imperiale per favorire il ritorno dell’ex generale corso e ostacolare il
trasferimento verso nord delle scorte armate della famiglia reale. Per questo, a
differenza della Catalani, per lui l’avvio dei «Cento giorni» si rivelava una
straordinaria occasione per consolidare il proprio soggiorno parigino e riprendere il
vecchio impegno politico.
Del suo contributo alle vicende
della primavera del 1815 avrebbe dato conto un dettagliato rapporto del dicembre di
quell’anno, redatto cioè quando la breve esperienza dei «Cento giorni» era ormai
conclusa. Ad inviarlo al ministro della giustizia François Barbé-Marbois era il suo
collega alla guerra Henri Clarke, consultato allo scopo di valutare la domanda di
naturalizzazione che il militare siciliano aveva da qualche tempo sottoposto per
assicurarsi la possibilità di restare oltralpe e che, tuttavia, sarebbe stata
puntualmente rifiutata:
Cet officier reçu en 1788 au service de Naples, où il avait le grade de colonel, s’était opposé lors de la Révolution de son pays au massacre de l’équipage d’un corsaire français. Persécuté et forcé de se réfugier en France, il y fut employé et placé comme capitaine dans le 28ème Régiment de chasseurs le 15 mai 1809. [...] À l’époque de l’organisation de l’armée en 1814, sa qualité d’étranger ne permit pas de le comprendre au nombre des capitaines en poste, et peu après il reçut le brevet de chef d’escadron sans émolument pour retourner dans son pays par ordonnance du 2 janvier 1815. Il ne partit point et se rendit à St. Denis le 20 mars dernier avec les officiers sans troupes. Il fut l’un de ceux qui coopérèrent à faire retourner sur Paris les voitures chargées des effets de M. le Duc de Berry, ainsi que l’artillerie et les caissons. Il sollicita ensuite sa confirmation de grade et demanda de l’activité. Il ne fut pas néanmoins employé. Au mois d’avril, il fit paraître un opuscule sur l’art militaire où il s’exprime dans les termes les plus indirectes contre les dispositions que le Gouvernement Royal avait prises à l’égard des militaires Invalides. Ces détails feront connaître à V.E. que la conduite de ¶{p. 312}cet officier dans les derniers événements ne permet pas de lui accorder la faveur qu’il demande. Je viens de lui donner l’ordre de partir de Paris [35] .
Dunque, durante i «Cento giorni» se
da un lato le speranze di Grassi di essere reintegrato nell’esercito napoleonico
andarono presto deluse, dall’altro egli ebbe comunque modo di partecipare alla lotta
politica in corso. Ma più che con la spada, lo fece con la penna, ossia dando alle
stampe a Parigi un pamphlet, l’Extrait historique sur la milice romaine et sur
la phalange grecque, che, sotto la maschera del
lavoro storico inerente l’organizzazione militare degli antichi, gli permetteva di
esaltare l’esercito napoleonico che a questa si era molto ispirato e nel quale egli
aveva a lungo militato prima di vedersi costretto al pensionamento proprio dall’avvio
della Restaurazione
[36]
. Si trattava di quell’«opuscule sur l’art militaire» di cui avrebbe parlato
mesi dopo il ministro Clarke e nel cui frontespizio, in effetti, Grassi aveva cura di
precisare la data di pubblicazione: il 1° aprile 1815, un’indicazione che serviva a
mostrare come il testo comparisse a solo una decade di distanza dall’ingresso a Parigi
di Napoleone e di conseguenza partecipasse in pieno a quella nuova esperienza politica
che il suo autore aveva contribuito ad avviare. Del resto, il governo istauratosi il 20
marzo era molto esaltato anche nelle pagine interne, dove, alla parte centrale redatta
probabilmente nei mesi del forzato pensionamento, Grassi aggiungeva un «avant-propos» in
apertura e una «table d’applications» in conclusione composti in tutta fretta negli
ultimi giorni di marzo e nei quali, al fine di presentare l’esercito napoleonico come il
migliore dei modelli possibili, sottolineava le straordinarie analogie che questo aveva
con l’organizzazione greco-romana. Così, un testo in gran parte concepito come strumento
di erudizione storica volta a difendere l’eredità del mondo antico tanto valorizzata
negli anni napoleonici assumeva, in quel nuovo scenario, una valenza ancor più
esplicitamente politica.¶{p. 313}
Nella prefazione, infatti, Grassi
aggiungeva convinte lodi ad alcuni dei principali sostenitori dell’esperienza dei «Cento
giorni» (quali il ministro della guerra Louis Davout e il responsabile degli interni
Lazare Carnot), per poi concludere che «après le retour de notre Empereur dans sa
capitale, nous sommes désormais convaincus que la théorie de la cavalerie sera portée au
dégré de perfectionnement»
[37]
. Nelle pagine finali, poi, allo scopo di ribadire il principio per cui
«l’organisation de nos régiments soit absolument la même que celle de la légion
romaine», riprendeva quanto sostenuto nei capitoli interni dimostrando punto per punto
le analogie che legavano l’esercito napoleonico alla gloriosa struttura romana, in tal
modo palesando come il primo godesse di un prestigio storico e di una capacità
organizzativa sconosciuti agli altri modelli militari ai tempi in vigore. E va detto,
poi, che proprio in tali pagine era presente anche quel passaggio polemico contro le
disposizioni assunte dal governo borbonico nei confronti dei militari curati agli
Invalides che avrebbe poi suscitato l’indignazione del ministro Clarke, perché in
effetti il siciliano non esitava a sostenere che «un des actes barbares, impolitiques et
despotiques de l’illégitime gouvernement déchu a été, sans doute, de chasser de l’Hôtel
des Invalides et de renvoyer dans leurs foyers nos guerriers mutilés et de leur ôter
ainsi les moyens d’existence»
[38]
.
Insomma, in quella primavera del
1815 Grassi non solo partecipava militarmente alle vicende che permettevano
l’instaurazione del nuovo governo napoleonico, ma poi provava anche a legittimarlo da un
punto di vista storico. Non stupisce, pertanto, che, con un simile pedigree e dopo aver
dato prova di un attivismo politico ancora molto pronunciato, qualche mese più tardi,
quando ormai la dinastia borbonica era di nuovo tornata al potere, egli vedesse
rifiutata la propria domanda di naturalizzazione.
Eppure, tale riconoscimento sarebbe
comunque stato approvato alcuni anni dopo, ossia sul finire del 1818,
per¶{p. 314}mettendogli così di ottenere la tanto ambita cittadinanza
francese. Infatti, nel fondo degli archivi parigini inerente le naturalizzazioni
esistono – caso più unico che raro – ben due dossier relativi ad Alfio Grassi di
Acireale: il primo (in cui compare il citato rapporto del ministro Clarke) conclusosi
con il rifiuto della domanda, e un secondo nel quale, invece, i giudizi sul suo conto
sarebbero improvvisamente divenuti talmente positivi da permetterne l’approvazione
[39]
. In realtà, nei due incartamenti le informazioni sono a larghi tratti le
stesse, perché anche nel secondo dossier si ricostruivano i suoi servizi militari negli
anni napoleonici, si ribadiva come risiedesse a Parigi «depuis environ 18 ans» e si
ricordava il suo lontano operato in sostegno dei francesi «sur les côtes de Syracuse»
[40]
. Ciò che cambiava era la descrizione del suo impegno durante i «Cento
giorni» e di conseguenza il giudizio finale sulla sua possibile naturalizzazione, che –
come vedremo più diffusamente a breve – molto era subordinato proprio alla
partecipazione a quelle recenti vicende. Sul punto, infatti, si sosteneva che, «n’ayant
pas servi et étant resté à Paris dans les 100 jours, sans vouloir reprendre ni
¶{p. 315}accepter du service», Grassi fosse degno di ottenere l’ambita
naturalizzazione e anche di essere «appelé de nouveau à répandre son sang [...] sous les
drapeaux de S.M., à laquelle il est dévoué sincèrement et est resté fidèle»
[41]
.
In che modo e grazie a quali
protezioni egli riuscì a far mutare così radicalmente il giudizio sul suo conto nel giro
di soli tre anni resta un passaggio tutt’altro che chiaro della sua carriera. Ma sta di
fatto che quel titolo di cittadino francese gli servì non poco a render stabile il suo
soggiorno parigino, non a caso conclusosi solo con la morte nel 1827
[42]
e solo provvisoriamente messo in discussione nell’autunno del 1820 dalla
notizia dello scoppio della rivoluzione costituzionale di Napoli, in seguito alla quale
accarezzò per la prima volta sogni – comunque presto sopiti – di rimetter piede in patria
[43]
. E sta di fatto, ancora, che i misteri sulle sue protezioni in quei primi
anni della Restaurazione non furono pochi se si tiene conto che nella primavera del
1821, ossia quando i propositi di far ritorno in patria si frantumavano a causa del
fallimento dell’esperienza costituzionale napoletana, otteneva addirittura il titolo di
cavaliere della Legion d’onore
[44]
.
Del resto, anche il carteggio
ufficiale che certifica tale onorificenza risulta non poco criptico, perché al suo
interno, a fronte di due documenti relativi al giuramento ufficiale firmati dal diretto
interessato il 16 maggio 1821 (figg. 9.1a e 9.1b), se ne aggiunge un terzo che serviva a
mostrare come Grassi avesse ricevuto tale onorificenza «à dater du 17 mars 1815» (fig.
9.1c).
¶{p. 316}
Note
[34] Per il suo profilo biografico, restano utili i lavori di Michele Calì: Alfio Grassi: il proscritto, Acireale, Donzuso, 1884; Merito e patriottismo: profili biografici e critici di Pietro Paolo Vasta, Venerando Gangi, Alfio Grassi, Giuseppe Ragonisi, Acireale, Donzuso, 1884, pp. 63-142.
[35] ANF, BB/11, cart. 150/A, dr. 7230.
[36] A. Grassi, Extrait historique sur la milice romaine et sur la phalange grecque et macédonienne, Paris, Bechet-Charles, 1 avril 1815.
[37] Ibidem, pp. III-VIII.
[38] Ibidem, p. 98.
[39] Come si avrà modo di vedere nel prossimo capitolo, nel fondo in questione degli Archives Nationales non mancano i casi in cui le domande di naturalizzazione furono inizialmente bocciate per poi essere accettate anche a diversi anni di distanza, ma tali domande sono conservate negli stessi dossier e sotto la stessa collocazione. Al contrario, per Grassi esistono due dossier diversi, di cui il primo, quello del 1815 conclusosi con la bocciatura, è conservato fra i dossier rifiutati, mentre il secondo, quello del 1818 contenente la documentazione che portò al responso positivo, è inserito fra gli incartamenti approvati.
[40] Dal punto di vista dei dati personali, la sola informazione a divergere è quella relativa alla data di nascita, perché nel dossier bocciato essa era indicata nel 22 agosto 1774, mentre in quello approvato nel 2 agosto 1766: qui si ritiene, soprattutto in considerazione della presenza nel secondo dossier del certificato di nascita, di poter optare per la seconda delle due date. Con grande probabilità, la presenza dell’atto di nascita nel secondo dossier è dovuta al fatto che solo con la Restaurazione Grassi ebbe modo di riavviare le comunicazioni con la famiglia rimasta ad Acireale: nell’agosto del 1817, infatti, chiedeva ai fratelli di fargli avere dei documenti a suo dire necessari per una «causa importantissima […] dalla quale dipende la mia fortuna e quella di mia figlia», cfr. Calì, Alfio Grassi, cit., pp. 120-122.
[41] ANF, BB/11, cart. 130/A, dr. 9629.
[42] ANF, MC/ET/XV, cart. 1747, Inventaire après décès d’Alphio Grassy (26/09/1827).
[43] Così il 9 novembre 1820 scriveva entusiasta al fratello Vincenzo in Sicilia: «Finalmente… le mie catene e quelle della mia cara patria sono rotte. […] Naturalizzato francese, avevo di già perduto la speranza di ridivenire siciliano, malgrado i voti ardenti per un bene sì grande. Gli armamenti di Napoli m’han dunque ridonata la patria, ch’io credeva perduta per sempre. Io ho domandata già la mia dimissione dal Governo francese, per venire a morire nel paese in cui ho ricevuto la luce», cfr. Calì, Alfio Grassi, cit., pp. 122-123.
[44] ANF, LH, cart. 1192/34.