Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c9
Ma ciò che proprio l’arrivo dei francesi in Toscana negli anni rivoluzionari aveva a suo tempo ostacolato non aveva certo avuto maggiore successo nella Francia napoleonica. Per questo, nella seconda metà del 1814, provando a cogliere il ricambio istituzionale seguito all’allontanamento di Bonaparte, Del Prato tornava alla carica, dando subito alle stampe a sue spese una nuova proposta, la Dissertation sur la possibilité d’une félicité universelle et durable sur la terre, in cui, sviluppando ulteriormente sul terreno teologico quel suo storico progetto, ne riproponeva la struttura di fondo accentuandone la vocazione internazionale. Infatti, lo scritto
{p. 306}si concludeva con un Précis in cui erano esposti i trenta articoli che ne dovevano regolamentare l’organizzazione, il primo dei quali specificava che «la Société de l’Institut chrétien-philosophique, qui pourra aussi s’appeler la Société philantropique universelle, ira se répandre et s’établir dans tous les pays du globe». Ma soprattutto, egli evidenziava la compatibilità del progetto con il nuovo contesto europeo, dato che l’istituto avrebbe dovuto operare «tant sous la protection du Très-Haut et de toute le Cour céleste, qu’en implorant les auspices des plus grands Monarques» [28]
.
Nelle sue intenzioni, inoltre, un simile disegno serviva anche a supportare la personale richiesta di naturalizzazione, nella speranza che tale riconoscimento avrebbe a sua volta garantito la stabilizzazione della sua posizione in Francia e quindi la continuità della direzione dell’organismo. Così, non appena pubblicata la Dissertation, egli la inviava alle massime autorità del tempo, indirizzandola prima, in ottobre, direttamente a Luigi XVIII e poi, qualche settimana più tardi, al ministro della giustizia Charles-Henri Dambray. In entrambi i casi, la proposta era accompagnata da parole che servivano a rimarcare l’opportunità di una simile iniziativa in quel nuovo contesto, ossia a sottolineare come «l’Institut chrétien-philosophique ne pourrait avoir pour son commencement ni une époque plus mémorable que le commencement de la nouvelle année, ni un centre dans l’univers plus glorieux et mieux placé que dans l’illustre capitale de ce puissant et refleurissant Royaume [29]
». Del resto, dei tentativi che Del Prato stava portando avanti in quei mesi della Restaurazione per avviare il suo progetto e accreditare la sua figura, già sul finire del 1814 riferivano anche i funzionari chiamati a valutarne la richiesta di naturalizzazione, da un lato sostenendo che «cet étranger passe pour être de bonnes mœurs et surtout très religieux», dall’altro evocando, nel descrivere tale progetto, celebri {p. 307}precedenti giudicati alquanto indicativi delle ragioni che lo avevano indotto a tornare su quella proposta proprio all’indomani del crollo dell’Impero:
Antoine Laurent Pascal Del Prato est un clerc tonsuré de Florance, âgé d’environ 50 ans et résident depuis plus de 9 ans en France, où il reçoit quelques secours de sa famille. Cet étranger a conçu le projet d’un Institut chrétien-philosophique, dont il a, dit-on, adressé le prospectus à diverses autorités et même au roi. S’il faut en croire certains rapports, le S. Del Prato cherche depuis longtemps à rétablir sous ce titre une société de Jésuites à Paris: il s’est insinué partout où il a pu, soit comme prêtre, soit comme maître de langues, soit comme philosophe, ne contredisant personne, ne demandant qu’un consentement [...], mais jusqu’à présent ses efforts ont été vains. C’est, ajoute-t-on, pour reprendre son œuvre avec plus d’efficacité qu’il demande à être naturalisé en France [30]
.
Forse proprio perché finanche in quei primi mesi della Restaurazione si riteneva poco opportuno rispolverare nel cuore della secolarizzata Parigi precedenti tanto legati alla stagione della Controriforma, il progetto fu respinto e la richiesta di naturalizzazione bocciata. Ciò nonostante, ancora ai primi del 1816, quando ormai la tormenta primaverile dei «Cento giorni» era del tutto alle spalle, Del Prato tornava a rilanciare il suo istituto per mezzo di una nuova dissertazione intitolata Principes et maximes, théories et projets de l’Institut chrétien-philosophique, nella quale riprendeva i concetti precedenti seppur apportandovi delle innovazioni. Nello specifico, precisava che il nome dell’organismo sarebbe dovuto essere «Société des Théocosmites» e soprattutto apriva alla possibilità di una collaborazione con un’organizzazione simile, l’Association bienfaisante des Dames françaises, istituita anch’essa in quei mesi e nella quale con grande probabilità il suo progetto, ancora a lungo ignorato dalle istituzioni francesi, finì con il confluire [31]
.{p. 308}
Dunque, per Del Prato come per Angeloni, le speranze del 1814 andarono presto a scontrarsi contro la realtà di una politica, quella ufficializzata a Vienna, che certo provava a ristabilire l’ordine precedente al 1789, ma che altrettanto certamente non poteva ignorare le innovazioni di quell’ultimo quarto di secolo. Così, dopo aver creduto alla possibilità che il crollo dell’Impero potesse portare al rilancio dei rispettivi (e molto diversi) progetti, entrambi dovettero a stretto giro constatare che, tanto per la loro situazione personale quanto per le proprie proposte, gli spazi di realizzazione restavano assolutamente limitati. Se Angeloni era costretto a rinunciare al ritorno in patria e al sogno politico di una patria libera dalla presenza straniera, Del Prato, che pur aveva creduto a un ritorno delle vecchie monarchie quale base per l’auspicato rilancio del cattolicesimo, vedeva il frantumarsi dei suoi sogni di essere il direttore di un istituto che, da Parigi, avrebbe dovuto guidare un nuovo processo di evangelizzazione mondiale.
Insomma, il primo, giunto in Francia come esule e poi costantemente implicato nelle trame repubblicane ordite nel segreto di quell’intenso quindicennio, da sinistra aveva salutato con soddisfazione la fine dell’autoritarismo napoleonico nella speranza che ad esso succedesse una stagione in cui, anche grazie al sostegno inglese, l’Italia riuscisse finalmente a intensificare il cammino verso l’indipendenza. Il secondo, invece, dopo aver dovuto rinunciare ai propri progetti prima a Firenze e poi a Parigi, da destra aveva sperato che il crollo delle istituzioni di matrice rivoluzionaria potesse significare, per lui e per il suo auspicato istituto, un maggiore sostegno politico. Si era trattato, cioè, di due prospettive molto diverse, che a loro volta sintetizzavano i due percorsi antitetici dei loro proponenti: l’una, dal chiaro sapore patriottico, avanzata da un repubblicano della prima ora che dopo gli anni del Triennio si era dimostrato sempre più insofferente nei confronti dell’invadenza francese; l’altra, dall’evidente carattere cattolico, proposta da un uomo di chiesa costantemente a disagio nello scenario napoleonico.
Ad ogni modo, in un caso come nell’altro, tali proposte, per quanto inascoltate, stavano ad attestare come la stagione {p. 309}appena conclusasi non avesse azzerato del tutto le istanze precedenti, e non l’avesse fatto nemmeno nell’animo di quegli italiani da tempo residenti oltralpe. Quel soggiorno, quindi, non era stato esclusivamente dettato dal mero ossequio all’ordine imperiale, ma si era accompagnato da un fermento che, per quanto a lungo emarginato, era poi d’improvviso riemerso proprio quando il crollo napoleonico aveva autorizzato un rilancio degli antichi sogni. E ancora, tanto l’idea patriottica di Angeloni di una «Italica Confederazione», quanto il progetto cattolico di Del Prato di un Istituto evangelico mostravano come, in quel fatidico 1814, gli spazi della lotta politica si fossero, in Francia come nel resto d’Europa, non poco riaperti e come – al netto delle bocciature impartite loro a Parigi come a Vienna – nell’instabilità di quei primi mesi della Restaurazione la duratura residenza parigina tornasse utile per far subito sentire la propria voce a livello internazionale.

3. Alfio Grassi: 100 giorni e 25 anni

Quel lunedì 20 marzo 1815 a Parigi si sarebbe dovuta tenere la prima della nuova gestione del Théâtre-Italien, la cui direzione era stata da qualche mese affidata alla marchigiana Angelica Catalani, soprano fra i più apprezzati in Europa che a seguito del crollo napoleonico si era installata nella capitale francese sotto la spinta delle allettanti proposte fattegli dalla nuova classe dirigente borbonica. Tra l’altro, la sua nomina era stata causa di non poche polemiche nelle settimane precedenti, perché la scelta di un’italiana aveva reso insoddisfatte diverse personalità del mondo artistico del tempo, affrettatesi a indirizzare una petizione a Luigi XVIII per esprimere il loro malcontento nel vedere la direzione del prestigioso teatro affidata a una straniera [32]
. Tuttavia, anche dopo aver superato quelle polemiche, Catalani si trovò di fronte a uno scenario ben lontano da quello immaginato, dato che il 20 marzo nessuna rappresentazione teatrale {p. 310}ebbe luogo sulle rive della Senna e i parigini si trovarono ad assistere a ben altro spettacolo, tutto reale e di natura militare: quel giorno, infatti, Napoleone Bonaparte, dopo esser salpato clandestinamente in febbraio dall’isola d’Elba, faceva il suo trionfale ingresso nella capitale alla testa di un esercito accresciutosi nel corso della sua risalita nei territori transalpini. Era l’inizio dell’ultima stagione politica dell’ex generale corso, poi conclusasi circa tre mesi più tardi sul campo di battaglia di Waterloo e a lungo conosciuta con il nome di «governo dei Cento giorni». Un governo, questo, che, tra le altre cose, si interessò anche alla gestione del Théâtre-Italien, presto provvedendo a destituire dal ruolo di direttrice la Catalani per punirla della sua vicinanza a quel Luigi XVIII che, nel frattempo, era stato nuovamente costretto alla fuga da Parigi e che, tuttavia, sarebbe presto stato protagonista di un nuovo ritorno, inducendo l’artista italiana a chiedere, già in luglio, di essere reintegrata alla direzione del teatro e indennizzata per i mancati incassi causati da quell’«événement de force majeure dont elle a, comme tous les bons Français, été victime» [33]
.
Quel 20 marzo, invece, non era stato vittima – e nemmeno passivo spettatore – un altro italiano residente in Francia quale il militare siciliano Alfio Grassi, che, dopo esser stato posto in congedo l’estate precedente, aveva risposto presente alla nuova chiamata alle armi di Napoleone, partecipando alle operazioni che ne permisero il ritorno nella capitale. Nato ad Acireale nel 1766 e poi giunto a Parigi come esule nel 1799, questi si era messo in luce agli occhi delle autorità francesi sin dai lontani anni in Sicilia, quando durante la Rivoluzione aveva contribuito a sventare il massacro di un’imbarcazione repubblicana deragliata nei pressi di Siracusa, mentre in seguito era stato a lungo un fedele militare napoleonico al punto tale che, agli albori del 1815, la nuova classe dirigente borbonica non solo lo destituì dal servizio, ma gli intimò addirittura di abbandonare l’Esagono [34]
. Un
{p. 311}ordine, questo, che tuttavia egli si guardò bene dal rispettare e al quale rispose, appunto, arruolandosi in marzo nel ricostituito esercito imperiale per favorire il ritorno dell’ex generale corso e ostacolare il trasferimento verso nord delle scorte armate della famiglia reale. Per questo, a differenza della Catalani, per lui l’avvio dei «Cento giorni» si rivelava una straordinaria occasione per consolidare il proprio soggiorno parigino e riprendere il vecchio impegno politico.
Note
[28] A. Del Prato, Dissertation sur la possibilité d’une félicité universelle et durable sur la terre, avec un Précis tant du But général de l’Institut Chrétien-philosophique, que de l’Organisation et des premières Règles de sa Société, Paris, 1814.
[29] ANF, BB/11, cart. 146/B, dr. 2890.
[30] ANF, BB/11, cart. 146/B, dr. 2890, Rapport de la Direction de la police au ministre Dambray (Paris, 26/12/1814). Il corsivo è mio.
[31] A. Del Prato, Principes et maximes, théories et projets de l’Institut chrétien-philosophique, Paris, Lottin, 1816.
[32] ANF, BB/16, cart. 788, dr. 4284.
[33] ANF, AJ/13, cart. 1129.
[34] Per il suo profilo biografico, restano utili i lavori di Michele Calì: Alfio Grassi: il proscritto, Acireale, Donzuso, 1884; Merito e patriottismo: profili biografici e critici di Pietro Paolo Vasta, Venerando Gangi, Alfio Grassi, Giuseppe Ragonisi, Acireale, Donzuso, 1884, pp. 63-142.