Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c9
Se il crollo dell’Impero nella primavera del 1814 innescò subito movimenti sospetti fra Italia e Francia causando l’arrivo oltralpe di nuovi cittadini della penisola, le vicende politiche di quei mesi videro anche un significativo coinvolgimento degli italiani già residenti nell’Esagono. Nelle modalità più svariate e con finalità anche molto diverse fra loro, alcuni di questi non persero l’occasione per ritornare sulla scena pubblica e così provare a indirizzare, secondo le proprie convinzioni e nei limiti delle rispettive capacità, il corso di quelle vicende. Lo scenario dischiusosi con l’allontanamento di Bonaparte sull’isola d’Elba segnava la fine di una stagione che – tanto per il restringimento degli spazi di libertà sancito dal crescente controllo napoleonico, quanto per la sostanziale adesione alle istituzioni da parte di un numero consistente di uomini – era stata caratterizzata da un dibattito pubblico sempre meno aperto. Così, in quelle settimane nuovi pamphlet e innovativi progetti venivano dati alle stampe a Parigi anche ad opera di italiani da tempo installatisi nella capitale, in tal modo attestando come per
{p. 301}tali uomini gli anni napoleonici fossero stati connotati da un fermento sì latente, ma comunque sempre vivo.
Da questo punto di vista, ci sembra emblematica la figura di quel Luigi Angeloni che, dopo esser giunto oltralpe nel 1799 a causa della partecipazione alla Repubblica romana, era stato fra i più importanti animatori della corrente del purismo, dando alle stampe nel 1811 un testo sulla vita di Guido d’Arezzo che serviva a esaltare bellezza e musicalità della lingua italiana [17]
. Il suo soggiorno in Francia nei primi tre lustri del secolo, tuttavia, non era stato dedicato solo agli interessi letterari, ma si era caratterizzato anche per la frequentazione di ambienti politici sempre più insoddisfatti del governo napoleonico, tanto che se inizialmente era stato sfiorato dalle indagini della polizia per l’attentato Ceracchi dell’ottobre 1800 [18]
, in seguito, dopo essersi affiliato alla loggia dei Philadelphes durante l’Impero, era stato addirittura posto agli arresti per qualche settimana con l’accusa di aver preso parte a un nuovo piano cospirativo, quello organizzato nel 1812 dall’ex generale repubblicano Claude Malet [19]
.
Sin dal maggio 1814, però, egli tornava a manifestare apertamente le sue posizioni patriottiche a lungo nascoste dietro operazioni solo apparentemente letterarie e pubblicava, sempre a Parigi e sempre in italiano, un pamphlet intitolato Sopra l’ordinamento che aver dovrebbono i governi d’Italia nel quale esternava con «libertà e franchezza» alcune riflessioni circa il «futuro ordinamento d’Italia» [20]
. Nel testo, oltre a riproporre le convinzioni sul plurisecolare primato culturale italiano, prendeva atto del potenziale pericolo che la penisola stava correndo in quei mesi, quello di tornare a essere ancora una volta il teatro di guerre e dominazioni straniere: per questo, proponeva una «Italica Confederazione» ispirata al modello federale degli Stati Uniti d’America {p. 302}e dei Cantoni svizzeri e che dovesse essere compatibile con il potere temporale del papa a Roma. A suo avviso, l’opzione istituzionale di una confederazione era quella che più di ogni altra avrebbe da un lato scongiurato il ritorno a una monarchia assoluta garantendo il coinvolgimento dell’eterogeneo personale politico presente nella penisola e dall’altro assicurato all’Europa un «grandissimo appoggio per la diuturnità della pace e della tranquillità de’ popoli» [21]
.
Ma proprio a proposito della collocazione internazionale della Confederazione, Angeloni modificava non poco le sue storiche posizioni, perché in quel nuovo scenario dischiusosi con la vittoria delle forze della «sesta coalizione» individuava nell’Inghilterra il principale interlocutore a tutela del destino politico d’Italia. Infatti, era sua convinzione che, dopo i lunghi anni di dominazione francese nella penisola e nel timore di un ritorno della presenza austriaca, il governo britannico fosse l’unico a poter garantire, sul modello di quanto fatto a sostegno dell’«independenza e libertà degli ottimi popoli spagnuolo e portoghese», che anche «l’italica gente torni una volta ancor ella ad esser nazione». Di qui, le dure parole contro la «tirannide del Buonaparte» e contro una stagione, quella del quindicennio appena conclusosi, nella quale «le patrie nostre leggi tutte fur disordinate e travolte; [...] la dolcissima nostra favella voluta al tutto corrompere; e le antiche italiche bellissime usanze tramutate in dispendiose abbominevoli straniere fogge». Certo, tali parole erano non poco stimolate anche dalle sue personali disavventure, dato che egli aggiungeva che «per quegl’Italiani che avversi mostrati si fossero a questo crudele strazio [...] eran dovunque presti gli oltraggi, le persecuzioni e le lunghe e le durissime prigionie: e ben per pruova intorno a questo io parlo». Ma sta di fatto che, a suo avviso, gli anni appena trascorsi erano stati caratterizzati da una dominazione straniera talmente asfissiante da umiliare qualsiasi prospettiva d’indipendenza italiana: circostanza, questa, tra l’altro attestata dal trasferimento oltralpe di numerose opere d’arte presenti nella penisola, di cui non a caso chiedeva la {p. 303}restituzione al nuovo governo di Luigi XVIII. Se ne poteva concludere che «opera di tirannia mai più non vide il mondo la qual fosse più perversa, più malvagia, e meglio ordinata che quella di cotesto scellerato tiranno» [22]
.
Insomma, la posizione di Angeloni era quella di un uomo che – dopo aver avuto problemi con le istituzioni napoleoniche al punto tale da aver subito in quegli anni un arresto e una generale emarginazione – al crollo dell’Impero tornava a prender pubblicamente la parola per contestare, da sinistra, l’eredità della stagione napoleonica. In tal modo, esortava a un rilancio dei sogni patriottici italiani che prevedesse, almeno nell’immediato, una prospettiva confederale fondata sul sostegno del governo giudicato il più liberale fra quelli della coalizione uscita vincitrice dagli scontri dei mesi precedenti.
Tuttavia, una simile prospettiva dovette presto scontrarsi contro la cruda realtà del tempo, la quale, come noto, prima portò al ritorno austriaco nei territori settentrionali della penisola (causando tra l’altro non pochi problemi al libraio veneziano Antonio Fortunato Stella che si era fatto carico di diffondere il testo a Milano), e poi ufficializzò la restaurazione delle vecchie potenze in gran parte degli Stati italiani, impedendo così il ritorno in patria di Angeloni. Non a caso, questi avrebbe preferito continuare ancora il soggiorno in Francia pur di avere modo di manifestare più apertamente il proprio pensiero [23]
.
Dunque, quel suo sogno del 1814 incentrato sull’istituzione di un’«Italica Confederazione» in grado di assicurare l’indipendenza alla penisola si sarebbe sfaldato proprio con le decisioni assunte nel Congresso di Vienna. Infatti, qualche tempo dopo, nel 1818, egli avrebbe duramente {p. 304}criticato l’assise austriaca dando alle stampe, ancora una volta a Parigi, un’altra opera italiana dal sapore patriottico, Dell’Italia, uscente il settembre del 1818, in cui sosteneva che le decisioni del 1815 erano state assunte «in vergognoso spregio delle già fatte promesse» e che esse avevano «vilmente soggettata l’Italia all’austriaca aristocrazia e alla rugginosa sua governazione», con la conseguenza che, in quella nuova stagione da lui pur inizialmente salutata con speranza, «soli gl’italiani in tutta Europa sono rimasi senza patria» [24]
.
Del resto, negli anni successivi anche la sua condizione personale fu ben lungi da quella immaginata agli albori della Restaurazione, perché se inizialmente fu costretto a prolungare la lontananza dall’Italia, in seguito dovette far fronte al sopraggiungere di ulteriori difficoltà in Francia. Pertanto, sempre sorvegliato dalla polizia e ormai privo di quelle protezioni che pur avevano reso possibile la sua permanenza parigina negli anni napoleonici, nel 1823 fu costretto a prendere la via dell’estero, rifugiandosi in quella Londra ormai sempre più percepita come il principale ritrovo dell’esulato italiano e nella quale tre anni più tardi avrebbe pubblicato un’ulteriore riflessione politica [25]
. E ancora in quegli anni, quando cioè si trovava sull’altra sponda della Manica, la polizia francese tornava sul suo profilo ricostruendo, con sostanziale sollievo per la sua partenza, le cause e l’andamento del quasi quarto di secolo che questi aveva vissuto oltralpe:
Romain, nommé Consul de la République romaine à l’époque de la première invasion des États du St. Siege, il se refugia à Paris après son Consulat de quelque mois. Tête ardente, révolutionnaire incorrigible: on l’a vu figurer successivement à Paris dans la conspiration de Ceracchi, dans celle de Malet et dans plusieurs autres. Il était un des principaux directeurs des Sociétés sécrètes d’Italie [...]. Expulsé de France au mois de 1823, il s’est rendu à Londres [26]
.{p. 305}
Negli stessi mesi in cui Angeloni rilanciava, seppur declinandoli in chiave federale, i sogni patriottici che tempo addietro avevano causato l’avvio del suo soggiorno in Francia, anche un altro italiano da tempo residente a Parigi provava a sfruttare il nuovo clima politico innescato dal crollo napoleonico per riproporre progetti a lungo rimasti inascoltati. Si trattava del prete fiorentino Antonio Del Prato, il quale, però, in Francia era giunto non come esule, ma a seguito di una libera scelta compiuta agli albori della stagione imperiale, quando, dopo qualche mese trascorso a Lione, nel gennaio 1806 si era trasferito nella capitale, dove aveva poi provato, ma senza successo, a favorire la formazione di un nuovo istituto religioso. Nell’estate del 1808, infatti, aveva dato alle stampe un Aperçu des vues générales de l’Institut Chrétien-philosophique nel quale aveva delineato le caratteristiche di un istituto cattolico che già anni addietro aveva provato a impiantare nella natia Firenze, salvo poi dover rinunciare ai propri piani a causa dell’arrivo delle armate repubblicane francesi. Il progetto prevedeva la creazione di un’organizzazione strutturata in maniera gerarchica e volta a diffondere in tutto il mondo «l’honneur et la gloire de Dieu» per mezzo di una serie di «Instituteurs missionaires» incaricati di «aller en divers pays, tant pour chercher à y établir des Maisons de l’Institut [...], que pour remplir les autres taches de leur ministère» [27]
.
Ma ciò che proprio l’arrivo dei francesi in Toscana negli anni rivoluzionari aveva a suo tempo ostacolato non aveva certo avuto maggiore successo nella Francia napoleonica. Per questo, nella seconda metà del 1814, provando a cogliere il ricambio istituzionale seguito all’allontanamento di Bonaparte, Del Prato tornava alla carica, dando subito alle stampe a sue spese una nuova proposta, la Dissertation sur la possibilité d’une félicité universelle et durable sur la terre, in cui, sviluppando ulteriormente sul terreno teologico quel suo storico progetto, ne riproponeva la struttura di fondo accentuandone la vocazione internazionale. Infatti, lo scritto
{p. 306}si concludeva con un Précis in cui erano esposti i trenta articoli che ne dovevano regolamentare l’organizzazione, il primo dei quali specificava che «la Société de l’Institut chrétien-philosophique, qui pourra aussi s’appeler la Société philantropique universelle, ira se répandre et s’établir dans tous les pays du globe». Ma soprattutto, egli evidenziava la compatibilità del progetto con il nuovo contesto europeo, dato che l’istituto avrebbe dovuto operare «tant sous la protection du Très-Haut et de toute le Cour céleste, qu’en implorant les auspices des plus grands Monarques» [28]
.
Note
[17] Per le sue posizioni puriste negli anni napoleonici, cfr. infra, pp. 230-231.
[18] A.M. Rao, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia (1792-1802), Napoli, Guida, 1992, pp. 487-494.
[19] R. De Felice, Angeloni, Luigi, in DBI, Roma, Treccani, 1961, vol. 3.
[20] L. Angeloni, Sopra l’ordinamento che aver dovrebbono i governi d’Italia, Parigi, Appresso l’autore, 1814.
[21] Ibidem, pp. 12-22.
[22] Ibidem, pp. 24-26.
[23] Se già nel lavoro del 1814 Angeloni spiegava il suo mancato ritorno in patria attribuendone la causa alle maggiori libertà offerte dal contesto francese (Sopra l’ordinamento che aver dovrebbono i governi d’Italia, cit., p. 16), nella successiva opera del 1818, dopo aver preso atto delle restrizioni subite dal suo testo nella Milano austriaca, ribadiva ancor più apertamente il concetto (Dell’Italia, uscente il settembre del 1818, ragionamenti dedicati all’italica nazione, Parigi, Appresso l’autore, 1818, pp. VIII-XII).
[24] Ibidem, p. VII.
[25] L. Angeloni, Della forza nelle cose politiche, Londra, Appresso l’autore, 1826.
[26] ANF, F/7, cart. 6666, Relevé des affaires traitées au bureau politique (1826).
[27] A. Del Prato, Aperçu des vues générales de l’Institut Chrétien-philosophique et de la nouvelle Organisation de sa Société, Paris, 1808.
[28] A. Del Prato, Dissertation sur la possibilité d’une félicité universelle et durable sur la terre, avec un Précis tant du But général de l’Institut Chrétien-philosophique, que de l’Organisation et des premières Règles de sa Société, Paris, 1814.