Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c9
Ovviamente, il luogo che attirava le
maggiori attenzioni della polizia non poteva che essere quella Parigi ai tempi sempre
più centro della vita politica dell’intero paese. Del resto, nella capitale francese
continuavano ad affluire uomini che, per quanto in regola con i documenti di viaggio,
secondo gli informatori incaricati di sorvegliare i luoghi della sociabilità cittadina
risultavano essere emissari o spie di personalità politiche di vario genere, prima delle
quali,
¶{p. 296}ça va sans dire, il nuovo principe
dell’isola d’Elba. Così, del milanese Rossi, giunto sulle rive della Senna ai primi di
gennaio, la polizia sosteneva esservi «tout lieu de croire qu’il espionne pour Bonaparte
et intrigue pour Joachim et Eugène» e per questo, preoccupata per i suoi contatti
europei e per la sua dimestichezza linguistica, ne intensificava la sorveglianza
[8]
. Altrettanta apprensione suscitò, il mese successivo, l’arrivo del
piemontese Comoli, in quanto le informazioni raccolte sul suo conto lo descrivevano come
un uomo non solo particolarmente dotato sul piano economico, ma anche decisamente
pronunciato a sostegno dell’ex generale corso: questi infatti, era presentato come «prêt
à se porter à corps perdu dans le parti qui se formerait en France pour Napoléon»
[9]
.
Insomma, la Francia (e Parigi in
particolare) diventava ancora una volta un indiscutibile luogo d’attrazione per il
personale politico-militare italiano, il quale – per quanto non fosse più né quello
dell’esilio dei mesi a cavallo fra i due secoli, né tantomeno quello spostatosi oltralpe
per ragioni professionali durante la stagione napoleonica – non mancava di suscitare
forti apprensioni. Certo, i numeri che caratterizzavano tale mobilità restano inferiori
a quelli degli inizi del secolo, ma sta di fatto che, per quanto cronologicamente di
breve durata e quantitativamente modesta, anche questa nuova presenza, tra l’altro
favorita proprio dalle rotte consolidatesi nella stagione precedente, conferma
l’intensità della partecipazione italiana alle vicende di quei mesi.
Una partecipazione, questa, a lungo
ignorata in sede storiografica, dove si è preferito collocare l’avvio della mobilità
politica fra i due paesi in quel 1821 che vide la confluenza in Francia di una parte dei
flussi migratori innescati dal fallimento delle «rivoluzioni costituzionali» di Napoli e
Torino, molto ignorando, invece, uno snodo come quello del 1814-1815 che, se certo non
ebbe le cifre dell’ondata ¶{p. 297}successiva, segnò comunque un
passaggio importante nelle circolazioni fra i due paesi. Anzi, si potrebbe addirittura
sostenere che, da un punto di vista dell’attenzione delle autorità diplomatiche e degli
organi di polizia, in quei mesi le tratte italo-francesi, soprattutto alpine, assunsero
un’importanza maggiore rispetto a quella che avrebbero avuto nella primavera-estate
1821, quando l’ondata dell’esilio peninsulare si indirizzò soprattutto in Spagna e di lì
solo in un secondo momento prese la strada dell’Esagono
[10]
. Insomma, se il dato numerico di quelle circolazioni resta nel complesso
limitato, non altrettanto si può dire di quello politico, e dunque dei risvolti e delle
strumentalizzazioni che quei movimenti innescarono: perché, in fondo, proprio verso la
penisola si indirizzavano gli sguardi e le speranze di quegli uomini che, anche in
Francia, avevano sostenuto le precedenti istituzioni.
L’attenzione al contesto italiano,
infatti, era dovuta non solo alla cruciale presenza sull’isola d’Elba di Bonaparte, ma
anche alla prosecuzione sul trono di Napoli del cognato di quest’ultimo, ossia quel
Gioacchino Murat che, se ai primi del 1814 aveva voltato le spalle al campo napoleonico,
nei mesi successivi continuò comunque a costituire un possibile elemento di
destabilizzazione per le diplomazie europee radunatesi a Vienna
[11]
. Non a caso, nel febbraio 1815 la polizia parigina segnalava l’attività
dell’ex ufficiale napoleonico Guibert, che, nei caffè della capitale, andava apertamente
manifestando «le désir de partir pour l’Italie» allo scopo di «engager à le suivre
plusieurs officiers et soldats de garde». Secondo gli informatori, tale propaganda
faceva perno proprio sull’esaltazione dei suoi contatti con l’allora re di Napoli, dato
che Guibert, dicendo di operare per quest’ultimo, sosteneva che «Murat peut disposer de
70.000 Français de toutes armés, déjà organisés»
[12]
. Del resto, ¶{p. 298}descritto come una «tête bouillante»,
l’uomo era considerato pericoloso proprio perché «capable d’en entrainer d’autres par
ses discours» e poi perché in «correspondance avec l’étranger» e in grado di parlare
«plusieurs langues avec beaucoup de facilité»
[13]
.
Se non mancavano a Parigi azioni di
reclutamento volte a garantire un possibile sostegno all’iniziativa di Murat, era pur
sempre all’ex Imperatore confinato sull’isola d’Elba che si rivolgevano le attenzioni
principali degli uomini presenti nella capitale. Certo, i relativi rapporti della
polizia francese vanno pur sempre letti con grande cautela, perché anch’essi strumenti
di lotta politica, cioè dispositivi attraverso i quali gli inquirenti borbonici
provavano a legittimare a priori un’eventuale stretta sulla vigilanza e a così
enfatizzare l’importanza del loro operato. Ma sta di fatto che, proprio per questo, è
possibile sostenere che, ancor prima della partenza di Napoleone dall’isola avvenuta il
26 febbraio e della sua successiva risalita verso Parigi conclusasi il 20 marzo, in
Francia la consapevolezza dell’instabilità della situazione fosse molto alta e che, in
questo clima di tensione, un contributo significativo fu apportato dalla mobilità di
parte italiana. Ad esempio, ancora a metà marzo, quando ormai il ricostituito esercito
napoleonico era alle porte della capitale, la polizia borbonica comunicava preoccupata
che il colonnello piemontese Gardé, per anni operante nell’esercito francese e da
qualche settimana stabilitosi a Parigi, organizzava «chez lui des réunions dans lesquels
entrent beaucoup d’officiers de sa Nation et où sans doute se professent des sentiments
bien suspects»
[14]
.
Inoltre, occorre sottolineare come i
movimenti che portarono al ritorno di Napoleone a Parigi fossero caratterizzati, tanto
in Francia quanto negli spazi italiani, dalla partecipazione di uomini che avevano
militato per la causa democratica sin dal Triennio 1796-1799. Quel lontano
impe¶{p. 299}gno della stagione rivoluzionaria, quindi, tornava
nuovamente a segnare le scelte di un personale politico che, nonostante le delusioni
subite, di fronte alla prospettiva del consolidamento del ritorno delle vecchie
monarchie, si schierava con convinzione – e con sostanziale coerenza – a sostegno di
Bonaparte, attivandosi per favorirne la ricomparsa sulla scena pubblica. Infatti, se non
poco è stato scritto sul sostegno di un simile personale di parte francese
all’esperienza dei «Cento giorni»
[15]
, qui preme mettere in evidenza come, ancor prima di quel clamoroso ritorno,
anche altri e meno conosciuti patrioti italiani tornassero a segnalarsi per il loro
attivismo, in tal modo confermando la longevità del loro percorso.
Ne fornisce un esempio il romano
Gaetano Angerelli, che nel 1798 si era messo in luce in patria per le sue posizioni
anti-ecclesiastiche al limite dell’iconoclasmo e che in quei mesi a cavallo fra 1814 e
1815 operò fra l’isola d’Elba e la Toscana per favorire il reclutamento di soldati a
sostegno di Bonaparte. Nell’ottobre 1816, quando ormai il breve ritorno napoleonico si
era da tempo concluso a Waterloo, il suo improvviso trasferimento a Parigi non poteva
non allarmare l’ambasciatore francese a Roma Pierre Louis de Blacas, il quale si
affrettava a scrivere al nuovo ministro degli esteri Armand-Emmanuel de Richelieu per
sollecitare grande attenzione sul suo conto. Il diplomatico avrebbe presto ottenuto
quanto richiesto, dato che il ministro impose alla polizia di esercitare la «plus active
surveillance» su Angerelli, ma ciò che qui preme sottolineare è che dalla sua
segnalazione emerge come, ancora agli albori della Restaurazione, quelle circolazioni
sospette innescatesi intorno all’isola d’Elba alla vigilia dei «Cento giorni» fossero
considerate alquanto legate alla battaglia politica avviatasi circa due decenni prima ed
evidentemente non conclusasi nemmeno durante il confino di Napoleone a Sant’Elena:
Le nommé Angerelli, dit il Casciarino, né dans les États du Saint Siège, s’est montré à Rome en 1798 l’un des plus ardents ¶{p. 300}ennemis du Gouvernement pontifical: il portait la démence jusqu’à sabrer publiquement dans les rues les images de la Vierge. Lorsque les Français ont dû, en 1799, évacuer Rome, le S. Angerelli s’est embarqué avec eux à Civitavecchia. Quelque temps après, il a reparu dans Rome, mais sa conduite forcenée y étant trop connue, il en a été exilé à perpétuité. Il se trouvait à l’Isle d’Elbe avec Bonaparte, qui l’a envoyé recruter en Toscane. Là, ayant été prévenu qu’on allait le dénoncer à la police, il s’est empressé de se rembarquer pour l’Isle d’Elbe. Aujourd’hui, on apprend que cet homme, que l’on croit être sans moyens de fortune, est allé à Paris. On ne connait pas les motifs qui l’ont attiré dans cette ville, mais ne peut-on pas inférer de sa conduite antérieure que le S. Angerelli peut être un agent secret des ennemis du roi? [16]
2. Due opzioni inascoltate nella Parigi della prima Restaurazione
Se il crollo dell’Impero nella
primavera del 1814 innescò subito movimenti sospetti fra Italia e Francia causando
l’arrivo oltralpe di nuovi cittadini della penisola, le vicende politiche di quei mesi
videro anche un significativo coinvolgimento degli italiani già residenti nell’Esagono.
Nelle modalità più svariate e con finalità anche molto diverse fra loro, alcuni di
questi non persero l’occasione per ritornare sulla scena pubblica e così provare a
indirizzare, secondo le proprie convinzioni e nei limiti delle rispettive capacità, il
corso di quelle vicende. Lo scenario dischiusosi con l’allontanamento di Bonaparte
sull’isola d’Elba segnava la fine di una stagione che – tanto per il restringimento
degli spazi di libertà sancito dal crescente controllo napoleonico, quanto per la
sostanziale adesione alle istituzioni da parte di un numero consistente di uomini – era
stata caratterizzata da un dibattito pubblico sempre meno aperto. Così, in quelle
settimane nuovi pamphlet e innovativi progetti venivano dati alle stampe a Parigi anche
ad opera di italiani da tempo installatisi nella capitale, in tal modo attestando come
per
¶{p. 301}tali uomini gli anni napoleonici fossero stati connotati da
un fermento sì latente, ma comunque sempre vivo.
Note
[8] ANF, F/7, cart. 6624, Rapports de la Direction générale de la police (Paris, 7/01/1815; 2/02/1815).
[9] ANF, F/7, cart. 6624, Rapport de l’inspecteur général de la police (Paris, 23/02/1815).
[10] A. Bistarelli, Gli esuli del Risorgimento, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 89-112.
[11] R. De Lorenzo, Murat, Roma, Salerno, 2011, pp. 291-320.
[12] ANF, F/7, cart. 6624, Rapport de la Direction de la police (Paris, 25/02/1815).
[13] ANF, F/7, cart. 6624, Rapport de l’inspecteur de la police (Paris, 27/02/1815).
[14] ANF, F/7, cart. 6624, Rapport de la troisième Division de la police (Paris, 16/03/1815).
[15] E. Di Rienzo, L’aquila e il berretto frigio. Per una storia del movimento democratico in Francia da brumaio ai cento giorni, Napoli, Esi, 2001.
[16] AMAE, Adp, Rome, cart. 1, Lettre de Blacas à Richelieu (Rome, 5/10/1816).