Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c5
Tuttavia, è interessante analizzare
le sfortunate vicende che la coppia fu costretta a vivere nel corso del suo soggiorno in
terra transalpina. Esse, infatti, non solo ben illustrano l’inflessibilità dello Stato
francese allorquando si trovò ad affrontare casi in cui non vi erano particolari
esigenze di favorire il rientro in patria, ma soprattutto attestano i problemi e le
tensioni che la difficile situazione economica creatasi all’estero spesso causò
all’interno dei nuclei famigliari. Nello specifico, i due erano partiti da Milano nel
1805 per raggiungere Parigi, dove Anfossi avrebbe poi dovuto arruolarsi in quella
Grande Armée che in quei mesi l’Imperatore stava allestendo in
funzione anti-inglese, ma il loro viaggio verso la capitale, tra l’altro gravato dalla
presenza di due figli in
¶{p. 182}giovanissima età, non fu dei più
facili, dato che, a causa dei continui problemi di salute della Bardezzi, la famiglia fu
costretta a fermarsi prima a Lione e poi nella Côte-d’Or. Tuttavia, dopo settimane di
pausa forzata, Anfossi, sempre più pressato dall’obbligo di raggiungere il suo
reggimento, decise di lasciare moglie e figli in una locanda di Saulieu per permettere
alla compagna di curarsi con calma. Nondimeno, una volta giunto a Parigi, pur riuscendo
a ottenere dal ministro degli esteri italiano Marescalchi una piccola pensione, cadde a
sua volta malato e venne ricoverato per diverso tempo. In ospedale si vide recapitare le
lettere piene di rabbia e di preoccupazione della moglie, la quale, inquieta per il
prolungato silenzio, lo sollecitava – in un misto di orgoglio ferito e di speranze per
il futuro – a fargli avere sue notizie, così attestando quanto, anche da un punto di
vista umano, quelle vicende incidessero nella condizione dei relativi protagonisti
[55]
. Del resto, lo stesso Anfossi non nascondeva le angosce che il soggiorno in
Francia gli stava causando e, dopo avere atteso invano una risposta alle sue petizioni
da parte dell’Imperatore, decideva di indirizzarsi ai più modesti funzionari governativi
per ottenere il desiderato sussidio, ad essi confessando – non senza fini strumentali –
tutto il dramma che stava vivendo:
Il mio misero stato è il più infelice di quanti uomini ci è al mondo. Io non ho quasi più scarpe ai piedi, non ho neanche un soldo e muoio dalla fame che sono quasi trenta ore che non mangio; la mia moglie e figli sono come me in Borgogna, a Saulieu, dove il padrone di casa, siccome avanza quasi venti luigi, ci da un pezzo di pane per non li far morire [56] .
Ciò nonostante, né lui né la moglie
avrebbero ottenuto il finanziamento, in quanto, come detto, la loro presenza in Francia
risultava non essere causata dalle vicende politiche del 1799. E del resto, questo non
fu il solo caso di una ¶{p. 183}coppia che si vide respinta la propria
domanda, perché sorte analoga toccò anche al medico napoletano Antonio Curcio e alla
duchessa di Capracotta, sposatisi proprio nel corso del comune esilio parigino.
Tuttavia, questa volta la causa del rifiuto fu di altra natura, essendo dovuta alle
effettive intenzioni dei petizionari. Nella loro richiesta, infatti, i due dichiaravano
di non volersi trasferire definitivamente in patria, ma di volersi recare a Napoli solo
per qualche tempo al fine di regolare vicende personali legate al proprio patrimonio,
sul quale da diversi mesi il loro fiduciario non faceva pervenire alcuna notizia.
Insomma, la coppia provava a cogliere la favorevole situazione creatasi a seguito
dell’invasione francese nel Regno al fine di tornare nei territori natii e finalmente
rientrare in possesso dei beni a lungo confiscati. Ma una simile domanda non poteva
essere accettata dalle istituzioni napoleoniche, il cui proposito, al momento della
decisione di riconoscere i sussidi, era stato quello di favorire il definitivo
allontanamento dei rifugiati dal suolo francese. La divisione di sicurezza fu al
riguardo categorica, prima sottolineando che Curcio «est bien venu en France par suite
des persécutions qu’il a éprouvé dans son pays, mais il ne veut point retourner à
Naples, il veut seulement y faire un voyage pour régler quelques affaires et ensuite
revenir ici», poi ribadendo che «sous ces différents points de vue il ne parait pas
fondé dans sa demande»
[57]
.
Si tratta di una questione di
grande interesse che merita qui un’adeguata riflessione. Innanzitutto, essa dimostra che
se lo Stato francese era disposto a finanziare il viaggio di ritorno degli esuli, lo
faceva solo per ragioni fondamentalmente politiche, ossia perché con quell’esborso
intendeva assicurarsi un sostanziale tornaconto, che poteva esplicitarsi tanto in
termini di ordine pubblico interno, quanto attraverso un futuro sostegno amministrativo
nel nuovo ciclo napoleonico avviatosi a Napoli. Ad ogni modo, occorreva fosse chiaro che
l’erogazione di quei fondi non poteva e non doveva essere trattata con leggerezza, né
meramente servire a risolvere questioni private. Da questo punto di vista, non
¶{p. 184}è un caso che anche il concreto tragitto del viaggio verso
Napoli fosse stabilito sin dalla partenza e non dovesse essere gestito autonomamente
dall’esule, che quindi non poteva modificare l’itinerario a proprio piacimento. Ad
esempio, la domanda di Michele Devita, ex professore dell’Accademia militare a Napoli e
poi a lungo esule a Parigi, veniva sì accettata per quanto riguarda la possibilità di
ottenere il sussidio, ma non in merito alla specifica richiesta di usufruire di una
maggiorazione per recarsi prima a Nantes per affari di lavoro. Le istruzioni al riguardo
erano infatti chiare e comunicavano che i finanziamenti venivano erogati solo a coloro
che «retournaient directement dans leur pays», al punto tale che «pour s’assurer même
leur exactitude [...], les passeports qui leur ont été délivrés ont déterminé la route
qu’ils devraient suivre et la durée de leur voyage»
[58]
.
Ma soprattutto, le richieste per un
ritorno temporaneo provano come l’esilio cominciato con il crollo delle «Repubbliche
sorelle» non fosse automaticamente destinato a interrompersi con il mutamento a Napoli
delle condizioni politiche che ne avevano causato l’avvio. Da questo punto di vista,
infatti, è quanto mai significativo che, addirittura nei dossier relativi al rimpatrio,
emerga a più riprese la volontà di prolungare la permanenza all’estero, perché ciò
attesta come, anche fra gli esuli che nel 1806 sottoponevano la domanda per il sussidio
del viaggio di ritorno, non sempre le intenzioni fossero quelle di interrompere
definitivamente il soggiorno in Francia.
Il caso di Sebastiano Guidi,
professore di matematica a Lione, è al riguardo emblematico, in quanto nella petizione
inviata al prefetto del Rhône nel giugno 1806 questi non solo sosteneva, a proposito dei
suoi compatrioti ancora presenti in città, che «il ne reste qu’environ une quinzaine de
Napolitains à Lyon, desquels la plus grand partie mariés ou établis de manière qu’ils ne
pensent pas à quitter la France», ma poi aggiungeva, quanto alla sua personale
condizione, che la sua domanda nasceva da esigenze contingenti e non certo dalla volontà
di abbandonare per sempre la Francia. ¶{p. 185}Infatti, dichiarandosi
ormai «placé en qualité de professeur des mathématiques dans ce Lycée et déclaré citoyen
français», ammetteva di richiedere il sussidio solo per «faire avec ma femme ce voyage
indispensable pour aller recueillir les débits d’une fortune presque anéantie». Ancora
una volta, però, il rifiuto governativo sarebbe stato categorico, tant’è che il prefetto
(che pur si era visto inizialmente recapitare dal Ministero la cifra del sussidio), dopo
aver interrogato Guidi sulle sue effettive intenzioni, bloccava la prevista erogazione
informando i suoi superiori che
ce professeur m’a répondu que, satisfait de son état, reconnu pour citoyen français, il ne voulait aller à Naples que momentanément pour y régler des affaires de famille et seulement pendant le temps des vacances, afin de ne pas perdre son emploi au Lycée auquel il tient beaucoup [59] .
In altri casi accadde che, pur
avendo ricevuto il finanziamento per partire, gli esuli avrebbero comunque prolungato la
propria permanenza in Francia. A volte si trattava di semplici dilazioni di poche
settimane, concordate con le stesse autorità transalpine e necessarie per completare
alcune faccende personali prima della partenza
[60]
. Altre volte, invece, si era di fronte a vere e proprie truffe miranti a
incassare il sussidio senza poi utilizzarlo per gli scopi previsti: ovviamente, la cosa
non mancò di suscitare l’ira delle istituzioni francesi, le quali avrebbero poi
perseguito l’esule per condurlo in carcere o espellerlo dalle frontiere. Daniele
Giannone e Carlo Capobianco, ad esempio, nel dicembre 1806 venivano segnalati fra i
napoletani «qui avaient reçu des secours pour retourner dans leur pays et que l’on
présume restés à Paris»: tuttavia, se il secondo partì per Napoli proprio in quei
giorni, più complessa si rivelò la posizione del primo, che non a caso la polizia
avrebbe in seguito descritto come «intrigant, sans moyens d’existence et ne vivant que
du produit de ses escroqueries». Per la cronaca, dopo aver
¶{p. 186}ottenuto il sussidio, questi aveva beneficiato anche di una
«prolongation de séjour» volta a permettergli di attendere l’esito di un processo che lo
vedeva coinvolto, ma quando la polizia lo cercò per intimargli la partenza egli aveva
«quitté l’hôtel où il logeait, sans payer ses dettes, et les recherches pour connaître
son nouveau domicile furent infructueuses»
[61]
.
In conclusione, furono 18 gli esuli
che, per le ragioni diverse di cui si è detto, non lasciarono la Francia nemmeno nel
1806: una cifra certo non particolarmente elevata, ma che risulta comunque significativa
se si considera che è attinta dai documenti riguardanti proprio le richieste di ritorno.
Insomma, per quanto quella data segnasse un passaggio cruciale nella storia della
penisola napoleonica e della più specifica vicenda dell’esilio italiano in Francia, per
quanto in quell’anno prendesse corpo un massiccio flusso verso Napoli dei patrioti a
lungo costretti al soggiorno all’estero dalla reazione borbonica, resta innegabile che
quella presenza oltralpe degli esuli del 1799 fosse ancora ben lontana dal suo
definitivo esaurirsi.
Note
[55] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Joseph Anfossi, Lettera di Bardezzi a Anfossi (Saulieu, 10/05/1806).
[56] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Joseph Anfossi, Petizione di Anfossi (Parigi, s.d.).
[57] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Antoine Curcio.
[58] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Michel Devita.
[59] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Sebastien Guidi et Joachim Abate.
[60] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Liste des Napolitaines de la Bouches-du-Rhône.
[61] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Capobianco, Giannone, Riario Sforza.