Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c4
Di qui, seguivano ulteriori informazioni sulle zone geografiche giudicate politicamente connotate, fra le quali se sul fronte monarchico si segnalava la città di Moncalieri, dove
{p. 148}«l’on prétend qu’il y a un club royal chez un apothicaire», nello schieramento indipendentista veniva annoverata gran parte della zona meridionale, nella quale la fazione filo-francese «ne compte pas un grand nombre d’amis sous la latitude d’Alexandrie, quoique Marengo soit à côté pour rappeler ce qu’on doit aux héros français» [59]
. Circa i singoli uomini, a suo avviso il più importante esponente del partito indipendentista era, a parte il leader Cavalli, l’avvocato di Alba Maurizio Pellissieri, descritto come «fameux italianiste». Del resto, nemmeno la sua recente accettazione di una carica nella magistratura poteva rassicurare, in quanto «cet homme est des plus dangereux, il a refusé une préfecture en Piémont, il n’a voulu être placé que dans la magistrature attendu que c’est le corps le plus indépendant du gouvernement». [60]
Altro aspetto importante delle informative di Hus è l’interesse riservato alla circolazione di testi a carattere politico. Due, in particolare, furono i lavori editi in quegli anni che destarono la sua apprensione: da un lato, il pamphlet epistolare del giurista Pierre-Louis Lacretelle intitolato Sur l’état actuel de la Maison de Carignan (scritto in francese e pubblicato a Torino proprio nelle settimane in cui Hus si era trasferito a Parigi) [61]
; dall’altro, il celebre romanzo di Ugo Foscolo Ultime lettere di Jacopo Ortis (pubblicato nella sua versione definitiva nell’ottobre 1802 a Milano) [62]
.
Il lavoro di Lacretelle, fratello maggiore del giornalista monarchico Charles, era giudicato un «tissu d’inconvenances politiques dont l’effet, vu le grand éclat qu’on a donné à ce mémoire, ne me parait nullement avantageux à l’esprit public de la France». Tuttavia, al suo interno non mancavano passaggi considerati condivisibili, in quanto Hus aveva cura di aggiungere che «la seule chose que je puisse approuver dans cet étrange écrit c’est une sortie contre le {p. 149}parti italien-piémontais» [63]
. Sul romanzo di Foscolo, invece, il suo giudizio era del tutto negativo. Infatti, dopo aver attentamente letto l’esemplare reperito in una libreria parigina, sottoponeva al consigliere di Stato Pelet (che gli aveva esplicitamente richiesto ragguagli in proposito, non riuscendo a ottenerli dal commissario di polizia operante in Piemonte) le sue severe valutazioni sulla «physionomie politique de ce livre volcanique» e per supportarle allegava addirittura i passaggi più compromettenti che egli stesso si era preoccupato di tradurre [64]
. La sua era una condanna senza scampo sia dell’autore, presentato come un uomo ormai noto per i suoi eccessi, sia del romanzo, giudicato talmente denso di principi repubblicani da essere paragonato – ancora una volta in ossequio alla logica per cui le fazioni estreme tendono ad avvicinarsi – alla recente opera storica dello scrittore reazionario Vittorio Barzoni [65]
:
Ces lettres éloquentes ont fait tourner les têtes des jeunes gens et des femmes de l’Italie et du Piémont. Il en a même été fait une édition à Turin et toute l’Italie en a été couverte. Ugo Foscolo y développe tout ce que la haine vénitienne et italique en grand peut inspirer pour faire détester les Français au-delà des Alpes. [...] Ces lettres tendent à faire naître des Brutus et sont écrites avec l’âme de Rousseau, de deux Brutus et de Caton. C’est avec l’ouvrage des Romains dans la Grèce ce qui a été écrit de plus fort contre les Français, c’est un volcan qui menace toujours [66]
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Del resto, che Hus concepisse il suo ruolo come un’attività che andava ben oltre quella di spia è testimoniato anche {p. 150}da altri rapporti, con i quali non mancava di sottoporre progetti più impegnativi. In particolare, punto centrale delle sue riflessioni era la gestione fisica degli uomini considerati pericolosi, per i quali proponeva non un allontanamento all’estero, né un’emarginazione nelle province piemontesi, bensì uno spostamento nei territori interni dell’Esagono. Qui, a suo avviso, essi avrebbero potuto non solo essere tenuti sotto sorveglianza, ma anche avviare un processo di progressiva assimilazione a leggi e costumi francesi. Certo, nella forma non si poteva parlare di «otages, nom devenu odieux par les pénibles souvenirs qu’il retrace», ma nella sostanza si sarebbe trattato di una soluzione corrispondente a quella evocata da tale termine: egli riteneva, infatti, che, «en renonçant aux dénominations qui exercent une si grande puissance sur les hommes, sans prononcer le terrible nom d’otages on peut en avoir sous plusieurs formes, en remplissant le même but sans exaspérer les passions» [67]
. Si trattava, dunque, di una proposta dallo straordinario cinismo politico che, ad ogni modo, attestava quanto sentito fosse, anche per un piemontese emigrato in Francia come lui, il tema della gestione (e del controllo) dei movimenti umani.
Se i rapporti di cui si è reperita traccia durano fino al gennaio 1806, l’attività spionistica di Hus continuò ben oltre. Del resto, nemmeno la svolta sancita dal crollo imperiale del 1814 lo avrebbe trovato impreparato, dato che egli avrebbe subito provato a legittimarsi agli occhi della restaurata monarchia borbonica allo scopo di ottenere la continuazione della sua carica. Così, tra la fine del 1814 e i primi del 1815, dando seguito alla florida attività pubblicistica già avviata negli anni precedenti, pubblicava ulteriori opuscoli in cui esaltava la nuova costituzione concessa da Luigi XVIII e condannava quella politica napoleonica da lui abbondantemente lodata fino a poche settimane prima [68]
. Si trattava,{p. 151} ça va sans dire, di operazioni che servivano a rilanciare la sua situazione personale, fattasi sempre più precaria a seguito dell’interruzione della decennale professione di spia. Non a caso, se da un lato introduceva i suoi pamphlet con avvisi in cui precisava che «Auguste Hus écrit par un acte de sa volonté, [car] il n’a ni place ni traitement du Gouvernement», dall’altro, allo scopo di evitare un forzato rientro in Piemonte, già nell’ottobre 1814 chiedeva la naturalizzazione francese. Tuttavia, le sue speranze andarono presto deluse, dato che oltre a non ottenere alcun incarico dal restaurato governo borbonico, si vide finanche rifiutare la domanda di cittadinanza. E al riguardo il rapporto ministeriale appare emblematico, perché prima lo definiva come un «zélé partisan de tous les gouvernements que la France a vu naître depuis la révolution», poi concludeva causticamente esistere «peu d’hommes dont le caractère soit aussi versatile» [69]
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Anche per questo, dopo che il 20 marzo 1815 Napoleone rientrò a Parigi per dare avvio al «governo dei cento giorni», egli tornò nuovamente a rivolgersi a quella classe politica con cui aveva collaborato per anni. Già l’indomani, infatti, indirizzava al suo storico protettore Fouché, tornato a presiedere il Ministero della polizia, una lettera con cui, dopo aver sottolineato di aver «fait pendant dix ans la police parisienne, piémontaise et italienne contre les Bourbons», chiedeva di essere reintegrato nell’attività di spia, sostenendo che la sua funzione potesse essere ancora molto utile, perché egli aveva «toujours observé les chouans et les hommes pendant l’absence de l’Empereur et acquis des nouvelles notices» [70]
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Ma oramai la figura di Hus era diventata fin troppo nota nella Parigi del tempo, tant’è che se nelle settimane successive Fouché non avrebbe dato seguito alle sue richieste, in quegli stessi giorni anche i giornali non mancarono di ironizzare sul {p. 152}suo conto. Il 25 marzo, infatti, sul filo-governativo «Journal de l’Empire» usciva una lunga recensione a un suo recente lavoro attraverso la quale si denunciava con grande sarcasmo il suo estremo camaleontismo:
M. Auguste Hus a trop de philosophie pour se laisser séduire par une vaine apparence, il sait que l’immortalité est une chimère et il travaille pour le présent. Il semble borner ses prétentions à plaire un moment, et à se faire oublier. Par cette ruse bien innocente, il parait nouveau lui-même à chacune de ses nouvelles productions; il a toujours l’air d’une jeune Muse qui offre ses prémices au public; il donne à ses ouvrages la dimension, l’importance et l’esprit nécessaires pour surprendre un instant le lecteur sans jamais surcharger sa mémoire; vingt pages et 76 centimes sont l’étendue et le prix courant du talent de M. Auguste Hus! Semblable à ces dévots chinois qui brûlent des morceaux de papier doré devant les images de leurs aïeux, M. Auguste Hus lance tous les ans dans l’éternité dix ou douze brochures qui ont l’éclat, la consistance et le sort des papiers de la Chine; mais fort heureusement, l’auteur est incombustible, il reparaît, comme une nouvelle comète, avec une queue de nouvelles brochures, et c’est de lui qu’on peut dire avec une exactitude rigoureuse: Tous les jours je le vois, et crois toujours le voir pour la première fois [71]
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Eppure, dopo la definitiva uscita di scena di Napoleone sancita dalla sconfitta di Waterloo, Hus sarebbe comunque riuscito, non si sa per quali vie, a riprendere la carriera di informatore della polizia parigina, dato che il suo nome risulta a libro paga del Ministero francese per gran parte della Restaurazione. Una funzione, quella di spia, che egli continuò ad accompagnare con quella di pubblico polemista, dando alle stampe numerosi opuscoli che servivano a esaltare la restaurata corona borbonica, a esecrare le principali conquiste apportate dal quarto di secolo rivoluzionario-napoleonico e al tempo stesso a presentarsi quale convinto sostenitore del nuovo corso politico. Ma non mancavano neppure, seppur con tutte le contraddizioni di un simile caso, elementi di coerenza con quanto teorizzato negli anni precedenti, come quando
{p. 153}egli tornava su un punto centrale nella sua attività di spia affermando che «le milieu en politique, lorsqu’il y a plusieurs partis, est l’art de bien gouverner, c’est la santé des États» [72]
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Note
[59] Ibidem.
[60] ANF, F/7, cart. 6359, dr. 788, Rapport du 24 germinal an XIII (15/04/1805).
[61] P.-L. Lacretelle, Sur l’état actuel de la Maison de Carignan, Torino, Pane, 1804.
[62] U. Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, Milano, 1802.
[63] ANF, F/7, cart. 6359, dr. 788, Rapport sur le mémoire au roi de Sardagne relativement au procès entre les deux branches de la Maison de Carignan, rédigé par M. Lacretelle (28 ventoso XIII: 19/03/1805).
[64] Le traduzioni degli extraits sono riportate nei rapporti del 12 floréal an XIII (2/05/1805); 13 floréal an XIII (3/05/1805); 12 prairial an XIII (1/06/1805).
[65] V. Barzoni, I Romani nella Grecia, Venezia, 1797.
[66] ANF, F/7, cart. 6359, dr. 788, Rapport du 7 floréal an XIII (27/04/1805). Sulle posizioni politico-letterarie di Foscolo in quegli anni: C. Del Vento, Un allievo della rivoluzione. Ugo Foscolo dal noviziato letterario al «nuovo classicismo» (1795-1806), Bologna, Clueb, 2003.
[67] ANF, F/7, cart. 6359, dr. 788, Grand rapport envoyé au Ministre de la police du Piémont si la guerre recommence (5 complémentaire XIII: 22/09/1805).
[68] A. Hus, Hommage aux Bourbons. La Renaissance des lys en France, Paris, Moreaux, 1814; Id., Le Règne de la paix, ou l’Heureux retour de S.M. Louis XVIII, Paris, Moreaux, 1814; Id., De l’influence du règne de S.M. Louis XVIII sur le bonheur de la France et de l’Europe, Paris, Laurent-Beaupré, 1815.
[69] ANF, BB/11, cart. 146/B, dr. 2789.
[70] ANF, F/7, cart. 6359, dr. 788, Lettera di Hus a Fouché (Parigi, 21/03/1815).
[71] «Journal de l’Empire», 25 marzo 1815.
[72] A. Hus, Quelques portraits historiques et littéraires, Paris, 1820, p. 4.