Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c4
Capitolo quarto Augusto Hus, una spia dell’«estremo centro»
Abstract
Il 1802 fu l’anno non solo della formazione della Repubblica italiana nei
territori del lombardo-emiliano, ma anche, in settembre, dell’annessione del
Piemonte alla Francia. Essa segnava, per i primi dipartimenti napoleonici della
penisola, l’avvio di un periodo, poi conclusosi con il crollo dell’Impero nel 1814 e
quindi con il ritorno allo status quo ante imposto dal Congresso di Vienna,
interamente trascorso alle dipendenze delle decisioni assunte a Parigi. I rapporti
che dall’agosto 1804 al gennaio 1806 Augusto Hus redasse «en qualité d’historien des
Piémontais» per poi far pervenire alla polizia con una cadenza di circa 3-4 giorni
restino una risorsa interessantissima. Tali documenti, infatti, ci permettono di
meglio conoscere, e «dall’interno», abitudini personali e contrasti ideologici di un
gruppo nazionale, quello dei piemontesi a Parigi agli albori dell’Impero, che,
composto di oltre 150 unità, si rivelò tanto eterogeneo sul terreno sociale, quanto
frazionato su quello politico. Pur avendo un carattere essenzialmente politico, i
resoconti di Hus non mancavano di informazioni di natura sociale, che permettevano
di illustrare alla polizia professioni e abitudini degli uomini sorvegliati. i
rapporti di cui si è reperita traccia durano fino al gennaio 1806, l’attività
spionistica di Hus continuò ben oltre. Del resto, nemmeno la svolta sancita dal
crollo imperiale del 1814 lo avrebbe trovato impreparato, dato che egli avrebbe
subito provato a legittimarsi agli occhi della restaurata monarchia borbonica allo
scopo di ottenere la continuazione della sua carica. Tuttavia, con il passare del
tempo per lui i finanziamenti economici e i sostegni politici diminuirono sempre
più, come attestato dalla riduzione del salario annuale impostagli nel 1824 dal
nuovo ministro degli interni Jacques-Joseph Corbière, della quale si sarebbe non
poco lamentato. Ciò nonostante, ancora nel dicembre 1829, ormai postosi a tutti gli
effetti al servizio della monarchia borbonica, insisteva sulla necessità di «bien
surveiller les cafés et les cabinets dont le libéralisme et le bonapartisme sont
connus de la police» e a tal proposito forniva i risultati della sua attività di
spionaggio svoltasi nei luoghi dell’opposizione liberale di una Parigi ormai
prossima alla rivoluzione del luglio 1830.
Del resto, Peyrade amava la propria condizione: era cinicamente spiritoso, era un filosofo. Insomma, una spia, qualunque sia il livello che occupa nell’organico della polizia, non potrà mai tornare a una professione cosiddetta onesta o liberale: esattamente come il forzato. Una volta contrassegnati e immatricolati, forzati e spie hanno ormai assunto, come i sacerdoti, un carattere indelebile.
1. Dalla Torino francese alla Parigi piemontese
Il 1802 fu l’anno non solo della
formazione della Repubblica italiana nei territori del lombardo-emiliano, ma anche, in
settembre, dell’annessione del Piemonte alla Francia. Essa segnava, per i primi
dipartimenti napoleonici della penisola, l’avvio di un periodo, poi conclusosi con il
crollo dell’Impero nel 1814 e quindi con il ritorno allo status quo
ante imposto dal Congresso di Vienna, interamente trascorso alle
dipendenze delle decisioni assunte a Parigi. In tale fase, infatti, il legame dell’ormai
ex Stato sabaudo con istituzioni e cultura d’oltralpe avrebbe toccato il suo apice,
condizionando non poco – o comunque molto più di quanto la successiva storiografia di
casa Savoia avrebbe poi sostenuto, interessata com’era a molto sminuire portata e
conseguenze di quella stagione per presentare il Piemonte quale culla di un discorso
nazionale da impostare tutto in ¶{p. 124}chiave autoctona – il carattere
di un popolo che durante il processo unitario avrebbe avuto, anche facilitato da
vicinanza geografica e uso della lingua, diversi tratti in comune con quello francese
[2]
.
In particolare nella mobilità
transfrontaliera l’annessione del Piemonte ebbe ripercussioni importanti, accelerando il
passaggio oltre confine di uomini che, ormai divenuti a tutti gli effetti cittadini
francesi, potevano approfittare del nuovo status per andare alla ricerca di migliori
condizioni di vita dall’altro lato delle Alpi. Si trattò, quindi, di un’emigrazione a
larghi tratti causata da motivazioni economiche, che pertanto almeno formalmente appare
diversa da quella dell’esilio del 1799. Nella sostanza, tuttavia, essa ebbe con
quest’ultimo diversi tratti in comune, non solo perché, essendo stata innescata da una
trasformazione a carattere istituzionale, era pur sempre legata agli eventi politici di
quella fase, ma soprattutto perché ad animarla furono numerosi di quegli ex esuli che,
dopo essersi rifugiati in Francia nel 1799 a causa dell’avanzata austriaca in Piemonte,
avevano fatto graduale ritorno in patria a seguito della battaglia di Marengo per poi
nuovamente varcare le frontiere in direzione opposta negli anni seguenti.
Non a caso, dall’autunno 1802 i
controlli della polizia nei confronti dei piemontesi si accentuarono su entrambi i lati
delle Alpi. Se a Torino l’avvenuta annessione non mancò di suscitare malcontenti da
parte sia dei patrioti più connotati su posizioni unitarie, sia delle famiglie della
nobiltà locale rimaste fedeli alla monarchia dei Savoia, a Parigi simili malumori si
riproponevano fra gli ambienti dell’esilio. Ne dava prova un rapporto con cui, proprio
sul finire di settembre, gli investigatori comunicavano che una loggia degli Illuminati
composta da «ce qu’on appelle en France les Jacobins enragés» si era da poco formata a
Torino allo scopo di «chasser les Français de l’Italie». Secondo gli inquirenti, essa
era in stretto contatto con un’organizzazione simile strutturatasi nei territori
esagonali, dove «les Piémontais qui sont à Paris fréquentent une loge dont les
francs-maçons, honnêtes gens, ¶{p. 125}disent assez mal». La polizia
aggiungeva poi che i componenti della loggia torinese agivano «dans l’intérêt de la
République italienne, à laquelle ils vaudraient être réunis»
[3]
.
Fra questi si segnalavano due dei
«tre Carli» che erano stati chiamati a presiedere la Commissione esecutiva dal generale
Jean-Baptiste Jourdan nell’ottobre del 1800, allorquando questi aveva deciso, in qualità
di responsabile della 27a Divisione militare, di sostituire
con uomini a lui più fidati una Commissione di governo introdotta in estate e guidata
dal filo-unitario Giuseppe Cavalli
[4]
. I «Carli» in questione erano Botta, presentato come «très fanatique», e
Bossi, descritto come «très dangereux»
[5]
. Si trattava di uomini che, sentendosi ormai emarginati nei giochi politici
in corso, avrebbero avviato trame cospirative anti-francesi in accordo con gli esuli
rifugiatisi a Parigi e si sarebbero avvicinati a quel partito filo-unitario che, due
anni prima, era stato spodestato proprio dalla loro nomina al governo
[6]
. Così, nelle settimane successive, mentre la sorveglianza degli esuli
rimasti in Francia rivelava ulteriori informazioni sulle trame della nuova associazione
latomica formatasi a Torino, numerosi altri piemontesi confluivano a Parigi, formalmente
per ragioni professionali, ma spesso anche con progetti politici, come testimoniato
proprio dall’arrivo di Botta
[7]
.
Anche sul versante politico opposto,
quello monarchico, la trasformazione del Piemonte in dipartimenti francesi suscitò a
Torino una profonda insoddisfazione poi sfociata, nella primavera del 1804, in un
tentativo cospirativo guidato dall’ex ministro degli esteri sabaudo, il conte
d’Hauteville. Secondo la polizia, questi era riuscito a porsi ai vertici di
¶{p. 126}un partito nobiliare ai tempi sempre più scontento per la
marginalità in cui era stato ridotto dalla politica napoleonica e che egli aveva
convogliato in favore di Vienna e non più della famiglia reale, sostenendo che «l’idée
de remettre le roi sur le trône ne pouvait en aucune manière se réaliser»
[8]
.
Ma al di là di tale progetto, poi
rivelatosi inconsistente, i rapporti di quei primi anni dell’annessione rendevano conto
di un Piemonte in cui, in linea generale, erano individuabili due grandi partiti
politici fra loro nettamente opposti e che, a loro volta, si articolavano in altrettante
tendenze:
La masse du peuple murmure, se plaint et reste dans l’inaction. Du milieu de cette masse se sont élevés deux classes d’individus; l’un voulait l’indépendance de son pays, soit en le constituant en République soit en le réunissant à la France; l’autre a constamment voulu et veut encore le système monarchique, elle le veut soit en replaçant le roi de Sardaigne sur le trône soit en se réunissant à l’Autriche. Cette deuxième classe est composée de la majeure partie de la noblesse et d’un grand nombre d’individus attachés au clergé et à la cour [9] .
Era in questo scenario che, nel
maggio 1804, giungeva a Parigi Augusto Hus, trentacinquenne torinese che, dopo una
gioventù trascorsa come ballerino e poeta, aveva partecipato in prima linea alle vicende
rivoluzionarie per poi trovarsi privo di incarichi proprio a seguito dell’annessione del
1802. Per lui, nato il 10 luglio 1769 da genitori francesi, non si trattava del primo
soggiorno nella capitale transalpina, dato che, sempre per motivi politici, vi aveva già
risieduto nel pieno del Triennio, quando nell’aprile del 1797 aveva ottenuto dal
ministro Talleyrand una carta di soggiorno di oltre un anno. Tornato in Piemonte, aveva
preso parte alle operazioni militari che avevano portato all’occupazione repubblicana
del 1799, in seguito alla quale era stato nominato commissario presso la municipalità di
Torino. Successivamente, era stato anch’egli fra gli esuli giunti in
¶{p. 127}Francia nell’estate del 1799, quando, a causa dell’avanzata
delle forze della «seconda coalizione», si era visto costretto a rifugiarsi a Parigi in
compagnia di padre e fratello
[10]
.
Entrambi i suoi soggiorni erano
stati caratterizzati da un’intensa attività politica. Nel primo caso, aveva dato alle
stampe due pamphlet dall’alto contenuto patriottico: uno, intitolato De la
liberté et de la répression de la presse, era uscito nel novembre del
1797 ed era servito a difendere la libertà di stampa da progetti di censura avanzati da
alcuni membri dei Consigli; l’altro, Agonie du gouvernement
anglais, era pubblicato solo qualche mese più tardi e gli aveva permesso di
esortare un rilancio della guerra in Europa, nella convinzione che «la révolution
française ne pouvait pas se circonscrire dans les limites de la France»
[11]
. Del resto, anche nella seconda esperienza parigina, articolatasi fra
l’estate 1799 e l’autunno 1800, egli aveva ribadito le sue convinzioni circa
l’imprescindibilità del ruolo della Francia nei destini della penisola. A tal fine,
aveva pubblicato sulle prestigiose colonne del «Moniteur» un articolo in cui, sull’onda
dell’entusiasmo innescato dalla vittoria elettorale neo-giacobina del 30 pratile, aveva
sostenuto che «c’est du sort du Piémont que dépend le sort de l’Italie et qu’à celui de
l’Italie est lié le sort de la France»
[12]
. Nel maggio successivo, inoltre, come molti suoi compatrioti era riuscito,
grazie alla protezione del ministro Fouché, a sottrarsi all’ordine del prefetto Dubois e
a prolungare il suo esilio fino all’autunno
[13]
, allorquando a Torino la riforma imposta da Jourdan per introdurre il
filo-francese «governo dei tre Carli» gli aveva aperto nuove prospettive di carriera,
permettendogli di ottenere prima l’incarico di bibliotecario all’Università e poi quello
di sotto-direttore della lotteria
[14]
.
¶{p. 128}
Note
[1] H. de Balzac, Splendori e miserie delle cortigiane, writingshome.com, p. 92.
[2] J. Bourguet-Rouveyre, Les Piémontais face à l’annexion française 1798-1814, tesi di dottorato sostenuta all’Université de Paris 1, 1993.
[3] A. Aulard (a cura di), Paris sous le Consulat, Paris, Cerf, 1906, vol. 3, pp. 273-275.
[4] Per le vicende del Piemonte in età rivoluzionario-napoleonica si veda il recente T. Morandini, «I giorni di Bruto». Lotta democratica e progetto nazionale nel giacobinismo piemontese: 1789-1799, Roma, Carocci, 2023; e il classico G. Vaccarino, I giacobini piemontesi, 1794-1814, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1989.
[5] Il terzo componente della Commissione era stato Carlo Giulio.
[6] Aulard (a cura di), Paris sous le Consulat, cit., vol. 3, pp. 273-275.
[7] Ibidem, pp. 325-326.
[8] ANF, F/7, cart. 6406, dr. 7982, Projet formé par divers individus pour livrer le Piémont à la Maison d’Autriche.
[9] Ibidem.
[10] Per la ricostruzione dei suoi movimenti in tale fase cfr. ANF, AF/III, cart. 451, pl. 2675; ANF, F/7, cart. 7657, dr. 59; ANF, F/7, cart. 10825.
[11] A. Hus, De la liberté et de la répression de le presse, Paris, Leroux, 1797; Id., Agonie du gouvernement anglais, Paris, Imprimerie de rue Tison, 1798.
[12] «Moniteur universel», 11 messidoro VII (29/06/1799).
[13] ANF, F/7, cart. 7657, dr. 59.
[14] ANF, BB/11, cart. 146/B, dr. 2789.