La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c1
Hanno la possibilità di
realizzare un «bagno di realtà» che li aiuta a orientarsi e districarsi nel mondo
del lavoro. E su cui investono anche emotivamente. Al punto che, poi, se
dall’esperienza formativa non ne consegue un vero e proprio sbocco lavorativo,
rimangono un po’ delusi.
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Hanno apprezzato l’inserimento prolungato all’interno dell’azienda, ma chi non ha ottenuto il contratto di apprendistato non l’ha vissuta molto bene (SP1).
Quest’ultimo è un aspetto da
considerare attentamente, perché il rischio è di «illudere» le giovani generazioni
che il duale costituisca di per sé un trampolino di lancio sicuro per il mondo del
lavoro. Mentre non esiste una sequenzialità di avvenimenti, dove all’inserimento
lavorativo segua l’assunzione in un posto di lavoro. Si tratta di un tema che va
attentamente presentato e socializzato fin dall’inizio dell’esperienza, al fine di
evitare facili illusioni o distorsioni dell’inserimento. Il percorso duale ha una
finalità educativa e professionale. Serve ad acquisire competenze e abilità utili
per l’«occupabilità» delle persone, facilita i percorsi lavorativi, ma non è di per
sé il passe-partout per un posto di lavoro.
Tali considerazioni sono utili,
a maggior ragione, se si considera il bacino di utenza medio degli enti di IeFP,
composto più spesso da soggetti con alle spalle esperienze formative e sociali
problematiche o di marginalità, piuttosto che con una scarsa propensione a uno
studio teorico. Si tratta di persone che necessitano anche di una dimensione
relazionale importante, di un’attenzione soggettiva particolare.
Gli studenti che scelgono il sistema duale, che scelgono il corso triennale, sono persone che hanno bisogno di una particolare affettività sociale. Sono ragazzi intelligenti, magari un po’ vivaci, che sono refrattari alla formazione classica scolastica, che magari in un istituto tecnico, in un istituto professionale, non hanno tutte quelle cure di relazione di cui hanno bisogno. Cioè, hanno bisogno di una pressione affettiva sociale molto forte [...] la povertà educativa va contrastata non solamente dal punto di vista didattico, ma anche da un punto di vista del coinvolgimento emotivo e relazionale (CT1).
Attenzione al soggetto,
centralità della persona, dimensione relazionale: sono gli elementi che devono
caratterizzare un rapporto educativo, prim’ancora che
formativo.¶{p. 67}
5. Le proiezioni future: da «ente di formazione» ad «agente» per la persona e il lavoro
Le metamorfosi che attraversano gli
enti di IeFP, in virtù della formazione duale, stanno generando – in modo più o meno
consapevole – una nuova identità degli enti di formazione: da soggetto
erogatore di una preparazione professionale, ad
agenti (e non agenzie) per le persone e il lavoro. In altri
termini, da chi costruisce competenze spendibili sul lavoro, a chi sviluppa un insieme
di attività volte a fare crescere l’occupabilità e l’inserimento sociale delle persone.
Ciò ha provocato processi di mutamento anche nella stessa percezione delle
organizzazioni, nelle loro finalità. Soprattutto, richiede un cambiamento di
prospettiva, un mettere in moto nuove energie.
[...] in realtà ci aiuta a crescere e ci completa un pochino. Il fatto di avere questo tipo di target, che ha bisogno di così tante cose, ci consente di non essere un semplice erogatore sotto pagamento di formazione, ma consente anche a noi di crescere come impresa sociale (CT1).[...] ha fatto rendere conto per l’ente [...] non è sufficiente riadattare quello che già si faceva a un nuovo modello, ma è necessario approcciare la sperimentazione con un modello nuovo [...]: maggiore specializzazione delle persone che si dedicano alla sperimentazione, che ne devono sapere molto non solo a livello operativo, ma devono conoscere anche le idee progettuali, e laddove non si arriva bisogna fare ricorso a esperti esterni di settore (SA1).
In questo senso, l’IeFP non ferma
la propria azione educativa e professionale alla soglia dell’acquisizione del titolo di
studio, ma si proietta nell’inserimento lavorativo, nella costruzione di progettualità
col territorio e col mondo delle imprese. La nuova identità è assimilabile a una
progettualità tridimensionale che si sviluppa longitudinalmente nel tempo (fino
all’inserimento lavorativo e nell’orientamento degli adulti), lateralmente sul
territorio (costruendo sinergie e progettualità con altri soggetti competenti in materia
di ¶{p. 68}formazione) e in profondità sulle persone (curandone non solo
l’aspetto professionale, ma anche educativo e sociale).
Questa nuova identità è sostanziata
da alcune trasformazioni che (già oggi) coinvolgono almeno tre dimensioni principali.
5.1. Organizzazione
Nuovi profili professionali: il
mutamento della natura dell’offerta formativa, come abbiamo avuto modo di
apprezzare, richiede la ridefinizione di alcuni profili professionali (come nel caso
del tutor formativo, in particolare), piuttosto che le abilità e le capacità
richieste per gestire le relazioni con le imprese. Sia in questo caso, che in quello
di creazione di nuove figure professionali specifiche, ciò postula una
prefigurazione di percorsi di carriera specifici.
[...] nella direzione di rivedere i processi e le figure professionali inerenti all’ente di formazione con questi «occhiali» del coinvolgimento dell’impresa, senza ovviamente dimenticare che, per quello che riguarda i minori, questa è una scuola e quindi è evidente che ci vuole un approccio educativo (NL3).
In alcuni casi, la figura del
tutor formativo è stata individuata all’interno del corpo docente, in particolare
fra chi aveva già maturato un’esperienza di relazioni con le imprese, realizzando
percorsi di formazione ad hoc. In altri casi, si è ritenuto più
utile ricercare personale esterno già specializzato.
Rilevazione dei
fabbisogni professionali: la relazione più stretta col mondo delle
imprese infittisce il dialogo e il confronto, così come la necessità di intuire e
prevedere i fabbisogni professionali. Questa dimensione, che si collega con i
servizi al lavoro da sviluppare, appare ancora debole e poco strutturata. In 6 casi
(su 20) non sembra avvenire alcuna modalità di rilevazione dei fabbisogni
professionali del mercato o di attenzione a questa fonte di informazione per la
programmazione formativa. Nel resto degli enti interpellati ci si affida a quanto il
tutor formativo riesce a individuare, ¶{p. 69}piuttosto che
realizzare qualche questionario di rilevazione presso le aziende. O, ancora,
sottoponendo agli allievi usciti questionari per verificare la loro collocazione
lavorativa e la congruenza rispetto al titolo di studio conseguito. Solo in un caso
si confida nelle analisi del Progetto Excelsior
[19]
sui fabbisogni delle imprese.
Rilevare e interpretare le
prospettive del lavoro e i fabbisogni professionali è un aspetto fondamentale per la
programmazione, ma che risulta poco sviluppato e più spesso all’insegna del
fai-da-te. Va da sé che ipotizzare modalità e strumenti che aiutino gli enti di IeFP
a dotarsi di simili strumenti diventa essenziale, in particolare perché le veloci
mutazioni che coinvolgono il mondo del lavoro rendono precocemente obsoleti i
profili professionali, introducendone di nuovi.
Orientamento: aiutare le famiglie e le giovani generazioni
nella scelta formativa è un’azione strategica. O, almeno, lo dovrebbe essere. Il
condizionale è d’obbligo perché – analogamente alla rilevazione sui fabbisogni
professionali – anche su questo versante l’orizzonte appare frastagliato. Non tutti
dichiarano di realizzare attività di orientamento (6 casi su 20, soprattutto nel
Centro-Sud). In alcune interviste è interessante osservare come gli interpellati
anziché usare il termine «orientamento», utilizzino «promozione» delle attività
dell’ente, confondendo la dimensione del marketing con l’aiuto alla scelta.
[...] promozione finalizzata al sistema duale rivolto ai ragazzi e alle famiglie, valorizzandolo anche a livello ministeriale, anche il fatto di presentare i corsi sul quadriennio (NV1).
Per lo più, l’orientamento si
sviluppa mediante incontri dedicati alle famiglie e a giovani dove vengono
illustrate le opportunità di frequentare un corso che prevede un
inseri¶{p. 70}mento lavorativo. Ed è qui che si rilevano almeno due
ordini di ostacoli culturali. Da un lato, l’idea che inserire al lavoro un/una
ragazzo/a rappresenti una forzatura: alcuni genitori manifestano un atteggiamento
«protettivo» rispetto al lavoro, come se fosse una condizione negativa o di
sfruttamento.
In orientamento si presentano i corsi tradizionali e questi sperimentali [...] Alcune [famiglie, N.d.R.] sono molto contente, altre più protettive, timorose, ansiose e ti dicono anche che il loro «bambino» di 15-16 anni che vada già a lavorare, sembra quasi di mandarlo al lavoro forzato. Quindi c’è anche un lavoro da fare con le famiglie, e questo è proprio il compito del coordinatore dei tutor d’aula negli incontri che noi facciamo almeno 3-4 volte all’anno nella normalità (NP1).
Il lavoro di orientamento nei
confronti delle famiglie è un’attività fondamentale per sostenere scelte più
coerenti non solo con le richieste del mercato del lavoro, ma più consapevoli.
Giacché, spesso, le scelte scolastiche sono frutto di pregiudizi derivanti
dall’esperienza personale dei genitori, da un immaginario sociale sul mondo del
lavoro, talvolta dalle aspettative dei genitori stessi verso i figli. Che inducono a
indirizzare la propria prole su canali formativi non rispondenti alle
caratteristiche e alle attese dei/lle figli/e. E così, più che di «orientamento», si
deve fare «ri-orientamento».
Nella cultura delle famiglie purtroppo attualmente c’è ancora molto l’idea che il percorso di CFP [20] sia un percorso di serie B: «non ce l’ho fatta con il percorso scolastico ordinario (bocciature, dispersione scolastica) e allora arrivo al CFP» [...] c’è bisogno di combattere questa cultura e allora l’attività di promozione è fondamentale: facciamo vedere cosa abbiamo fatto negli altri quarti anni, si dedica del tempo alle classi per far loro capire quali sono le possibilità che hanno a disposizione [...] Il problema è che spesso [...] ci si trova a fare un’attività di ri-orientamento invece che di orientamento. Purtroppo, ci si ritrova a intervenire su una situazione già avviata, cioè sul ragazzo con il tarlo nella testa del «non ce l’ho fatta con la scuola e ce la devo rifare perché voglio il riscatto». È una dinamica che capisco, ma non¶{p. 71}ci sarebbe stato bisogno ri-orientarlo se fin da subito il ragazzo avesse avuto accesso al percorso senza prima essere passato da una sofferenza a livello scolastico [...] (NE1).
Note
[19] È la rilevazione periodica che Unioncamere realizza presso un ampio campione di imprese nazionali volto a raccogliere le previsioni dei fabbisogni formativi e occupazionali, praticamente l’unico osservatorio nazionale rimasto su questi versanti a operare con continuità.
[20] CFP è l’acronimo di Centro di Formazione Professionale.