Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c1
Al punto che gli stessi termini «scuola» e «impresa» dovrebbero essere riformulati perché non identificano più le medesime funzioni e caratteristiche operative, non spiegano più che cosa si fa realmente. E questo aspetto, non secondario, si può riflettere anche nel fatto che quando si propone un «corso di formazione» a un soggetto – giovane o adulto che sia – con un’esperienza scolastica pregressa negativa,
{p. 31}lo porta a rifuggire un’esperienza formativa tradizionale. Presentare l’esperienza di formazione con un altro nome o con una locuzione di maggiore appeal ridurrebbe la propensione a rifuggire occasioni di rientri in percorsi educativi.
Una seconda, in questo caso, duplice rottura di confine riguarda il ruolo dei docenti e l’esercizio della loro professione. Col duale è richiesta la capacità di uscire dai propri ambienti tematici e didattici, e di amalgamarsi e confrontarsi con altre discipline e altri colleghi, così da predisporre piani formativi integrati. Un po’ come accade nei processi economici, dove si è transitati dal sistema fordista caratterizzato dalla separazione e frammentazione dei compiti e del lavoro, a quello post-fordista marcato dalla flessibilità e dall’integrazione, dal just in time, e dall’integrazione delle filiere produttive. Fino, in tempi più recenti, all’economia della condivisione (share economy).
La nostra didattica è propedeutica alla sperimentazione duale, noi non affidiamo ai nostri insegnanti (come invece avviene nella scuola tradizionale) un insegnamento a sé stante. Noi abbiamo programmato tutta l’attività didattica suddividendola in moduli e in ciascuno di essi c’è il riferimento a specifiche competenze e, a loro volta, esse hanno come contenuto anche conoscenze di tipo teorico. Gli insegnamenti sono indirizzati a specifiche competenze e specifiche situazioni lavorative, gli insegnamenti sono costruiti in una logica interdisciplinare (NL2).
[...] si lavora per progetto, per obiettivi, c’è una grossa cooperazione fra il gruppo docenti: [...] abbiamo coinvolto il gruppo docenti nella microprogettazione. Abbiamo presentato loro una macroprogettazione che sostanzialmente è calata dal management aziendale, dal progettista, dal coordinatore didattico in generale [...] Ad esempio, se il docente deve fare 10 ore, per 5 ore partecipa al progetto trasversale che coinvolge tutti gli assi culturali, per le altre 5 darà altri compiti di realtà monoasse (della singola materia), sviluppando il suo programma all’interno di un progetto. Questo ha portato al fatto che i ragazzi hanno verificato l’affiatamento fra i docenti stessi che parlano fra di loro [...] (SS1).
Oltre al superamento degli schemi didattici e della programmazione classica, a «canna d’organo» e ora, invece, {p. 32}«integrata», avviene una trasformazione del ruolo medesimo del docente. Il profilo tradizionale dell’insegnante ex cathedra, lascia spazio ad altre dimensioni professionali, arricchendolo con altre skills.
Di fatto abbiamo messo su una serie di attività in cui i ragazzi imparano a ragionare. I docenti li accompagnano nelle scoperte, quindi fanno un passo indietro: sono dei consulenti, dei tutor, dei docenti, e quindi i ragazzi imparano, ragionano per cercare soluzioni ai problemi che i docenti pongono, quindi imparano anche dai loro errori (SM1).
Un terzo confine oltrepassato riguarda gli/le stessi/e allievi/e e l’esperienza formativa in sé. Che da momento di apprendimento e crescita intellettuale, acquista non solo la valenza dell’esperienza pratica professionalizzante, ma anche di quella orientativa, dell’autovalutazione delle proprie aspirazioni e orientamenti. Per sé, per i propri destini personali e lavorativi.
[...] il fatto di poter già al secondo anno fare questa esperienza di alternanza per i ragazzi è anche un ripensare alla loro scelta [...]. Già qualcuno in seconda ripensa al percorso, e magari scopre che non era proprio quello che pensava. Quindi è anche un modo per rendere più sicuri i ragazzi e portarli al successo formativo, forse non era ciò che si voleva fare ma esiste un percorso più ampio per misurarsi con la realtà (NP1).
Fra l’altro, dimostrando, con la formazione duale, di riuscire a ottenere performance scolastiche di rilievo, ad attestazione che un percorso di apprendimento sul lavoro non offre esiti inferiori a quello più squisitamente teorico.
I ragazzi che hanno fatto l’esperienza del duale sono quelli che hanno dato i risultati migliori agli esami, rispetto a una rappresentazione generale di minor preparazione (NL2).
Un quarto confine destrutturato riguarda il rapporto che gli enti di IeFP intrattengono col territorio. L’attività formativa-educativa non si ferma all’interno delle mura {p. 33}scolastiche, ma è sospinta a ricercare alleanze e relazioni all’esterno. Alla ricerca anche di migliorare la comunicazione verso possibili soggetti interessati a costruire un rapporto e una progettualità con l’ente di formazione.
Altre attività importanti che abbiamo cercato di attivare in questi anni sono: realizzare contatti col territorio e aderire a determinati progetti [...] abbiamo partecipato a concorsi, manifestazioni, cercando di creare rete con il territorio e di farsi anche conoscere, avere e fare delle esperienze in questo settore (NP1).
L’aspetto innovativo è in parte quello di trovare dei nuovi modi, più efficaci e innovativi di comunicare con le aziende (NV1).
Proprio perché siamo di fronte a situazioni inedite, il livello di attenzione nei confronti delle giovani generazioni – e con particolare riguardo a quelle più deboli – si innalza ulteriormente. Il rischio di esporre gli alunni a esperienze che possano produrre esiti negativi non è così remoto. Quindi, attenzione alla predisposizione personale all’esperienza lavorativa, alla motivazione e alla presenza di quelle soft skills così richieste oggi dal mondo del lavoro, diventano criteri fondamentali per orientare opportunamente le persone.
Non tutti gli allievi sono in grado di sostenere un percorso duale. Il fatto di disporre, per lo stesso profilo, del percorso sia duale sia tradizionale ci permette di effettuare una selezione molto puntuale. I nostri ragazzi partecipano a un colloquio di orientamento iniziale di circa un’ora con la famiglia, fanno un piccolo test, e, soprattutto, li facciamo partecipare tutti quanti a un colloquio all’interno del laboratorio [...] a seconda dei profili cui vogliono iscriversi. Non chiediamo loro particolari competenze ma valutiamo il loro stare all’interno di un laboratorio, il loro approccio, la manualità, e quindi proviamo a scegliere in base alla loro predisposizione, all’età [...], la storia famigliare [...]. Quindi proviamo a formare le classi più funzionali rispetto all’obiettivo finale (DP1).
Ciò a maggior ragione se consideriamo che l’obiettivo finale è sicuramente offrire un’opportunità di ingresso nel {p. 34}mondo del lavoro, ma ancora di più quello di sostenere processi di integrazione sociale delle persone. In questo senso, la costruzione di un rapporto docente/alunno positivo è sicuramente fondamentale, ma è necessario poter sviluppare una relazione attraverso la quale trasmettere il desiderio di apprendere. È la relazione in sé, quindi, a diventare un elemento didattico. E la recente esperienza della pandemia ne ha ulteriormente esaltato il valore.
Pensiamo che sia fondamentale l’aspetto relazionale con i ragazzi [...] non basta insegnare nozioni, c’è un aspetto relazionale che veicola l’apprendimento (DP1).
Sull’aspetto valoriale, noi cerchiamo molto di stimolare la relazione in questi ragazzi. Sono ragazzi che arrivano con una mentalità molto violenta, la mentalità che è stata loro inculcata anche nella scuola classica: «sorvegliare e punire», molto foucaultiana come cosa. Quindi, vogliono essere sorvegliati e quando sgarrano vogliono essere puniti. Mi dicevano: «abbiamo fatto questo, allora dobbiamo essere puniti!». «No! non dovete essere puniti! Bisogna capire perché l’avete fatto, perché non lo dovete fare più». È molto dura, però la relazione paga. Lo abbiamo visto nei ragazzi del «meccano» che sono al terzo anno che si sono lentamente responsabilizzati, hanno smesso di fare atti di vandalismo, hanno smesso di fare i bulli, tra di loro sono diventati un gruppo, anche con noi, con lo staff della formazione hanno una buona relazione. La relazione quindi funziona (CT1).
La parte rilevante per noi è sempre la formazione dei docenti, perché non chiediamo di insegnare appena delle competenze: è un rapporto educativo che bisogna instaurare coi ragazzi, nella relazione. Quest’anno ancora di più perché durante il lockdown il fatto di non aver avuto i ragazzi in presenza [ha determinato] che quando siamo tornati a settembre coi laboratori, ci siamo accorti che la mancanza della relazione aveva fatto regredire i ragazzi, per cui il fatto di non averli avuti in presenza ha pesato tantissimo (SM1).
Fusione fra formazione e lavoro, attenzione alle soft skills degli/lle alunni/e, orientamento all’integrazione lavorativa e sociale, rivisitazione dei luoghi della formazione e del ruolo del docente, relazione come veicolo di apprendimento: {p. 35}sono alcuni dei superamenti dei «confini» tradizionali, dei passaggi da un mondo della formazione, a un altro. Tutti sembrano convergere nell’idea di una «ricomposizione» dei saperi pratici e teorici.

4. Gli aspetti organizzativi: la metamorfosi dell’idea di scuola

Le innovazioni introdotte dal duale alimentano un cambiamento nell’idea della scuola, una vera e propria metamorfosi della vision e della mission del fare scuola, delle modalità di insegnamento e dei ruoli degli insegnanti e del personale inserito negli enti di IeFP. Nella fase preliminare della ricerca, abbiamo realizzato alcune interviste-test a quattro realtà di IeFP del Nord Italia [14]
. Fra le diverse opzioni del duale, la scelta delle organizzazioni interpellate è andata nel senso di sperimentare forme di alternanza scuola-lavoro, nella creazione di Imprese formative (IF), ma non delle Imprese formative simulate (IFS), perché le prime consentono di sperimentare realmente l’efficacia dell’azione formativa e del coinvolgimento degli/lle allievi/e [15]
. Ne consegue, appunto, una sostanziale metamorfosi dell’idea e del modello di scuola che si avvicina in misura crescente a un luogo di produzione con la strumentazione della didattica.
La scuola si ripensa come un luogo anche di produzione, nel quale, attraverso la didattica, io devo far apprendere ai ragazzi attraverso il fare un prodotto che non è di per sé una simulazione, ma è un prodotto che dev’essere venduto, o deve avere le caratteristiche di vendita (DL1).
Come si può osservare dalla tabella 1, invece, dalle esperienze di innovazione didattica e all’insegna del duale rilevate, nelle interviste svolte a livello nazionale, il panorama risulta assai più ampio e diversificato. Tende a prevalere
{p. 36}la sperimentazione nel IV anno (9 casi su 20), ma anche l’«impresa formativa simulata» (6 casi) concentrate nelle regioni del Centro-Nord e soprattutto al I anno, mentre è praticamente assente l’esperienza dell’«impresa formativa» (1 caso). Non mancano poi le iniziative di alternanza scuola-lavoro (2 casi) e quelle di natura «rafforzata» (2 casi). Infine, in alcuni enti ritroviamo l’esercizio dei «compiti di realtà» (2 casi) e la realizzazione di «laboratori protetti» (2 casi).
Note
[14] Si veda la nota metodologica.
[15] Per una riflessione sul ruolo e il significato dell’impresa formativa rinvio a R. Festi, Impresa formativa. Esperienze a confronto, Venezia, ISRE, 2018.