Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c4
In attuazione di detta previsione,
è stato approvato il DPCM 12 dicembre 2005, il quale ha definito «le finalità, i criteri
di redazione, i contenuti della relazione paesaggistica che correda, congiuntamente al
progetto dell’intervento
¶{p. 94}che si propone di realizzare ed alla
relazione di progetto, l’istanza di autorizzazione paesaggistica».
Detto decreto indica la relazione
paesaggistica quale «base di riferimento essenziale per le valutazioni di
compatibilità/conformità degli interventi progettati» (art. 2), prevedendo
significativamente, poi, che essa possa anche trovare una possibile «declinazione
regionale» integrativa dei contenuti, o – previo accordo con il Ministero della cultura
– di sua semplificazione (art. 3).
Quanto ai contenuti imprescindibili
[26]
, può senz’altro dirsi che la relazione paesaggistica debba contenere tutti
quegli elementi necessari alla verifica della compatibilità paesaggistica
dell’intervento, con riferimento ai contenuti e alle indicazioni dei vincoli, del piano
paesaggistico ovvero del piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei
valori paesaggistici, e che debba esser corredata da elaborati tecnici preordinati
altresì ad evidenziare la qualità dell’intervento, anche per ciò che attiene al
linguaggio architettonico e formale adottato in relazione al contesto territoriale (art.
1, All.).
Mediante opportuna documentazione,
detto materiale istruttorio dovrà dar conto sia dello stato dei luoghi (contesto
paesaggistico e area di intervento) prima dell’esecuzione delle opere previste, sia
delle caratteristiche progettuali dell’intervento, nonché rappresentare, nel modo più
chiaro ed esaustivo possibile, lo stato dei luoghi successivo all’intervento oggetto di
istanza (art. 2, All.).
5. La duplice rilevanza del tema dell’inerzia nel procedimento di rilascio/diniego dell’autorizzazione paesaggistica
Nel procedimento di
rilascio/diniego dell’autorizzazione paesaggistica potrebbe darsi il caso in cui le
amministrazioni competenti restino «silenziose».¶{p. 95}
Il tema dell’inerzia amministrativa
potrebbe invero rilevare in diverse fasi procedimentali ed essere imputabile a uno o più
dei soggetti pubblici coinvolti nel procedimento.
Anzitutto, potrebbe darsi il caso
in cui a rimanere inerte sia l’ente delegato dalla regione all’esercizio della funzione
autorizzatoria.
Per tale ipotesi il legislatore ha
espressamente (e naturalmente) previsto, all’art. 146, c. 10, del Codice, che il
soggetto istante possa richiedere l’autorizzazione «in via sostitutiva» alla regione.
Per il caso in cui, invece, questa non abbia delegato la funzione e fosse essa stessa
inadempiente, lo stesso comma prevede che il potere sostitutivo venga esercitato, sempre
su impulso della parte interessata, dalla competente soprintendenza.
Qualora, poi, il privato non
dovesse trovare soddisfazione in via amministrativa, questi potrà comunque spostare la
questione in sede giurisdizionale, dove – stante la previsione generale di cui all’art.
20, c. 4, l. 241/1990
[27]
– potrà tutelarsi attraverso l’azione contro il silenzio-inadempimento
dell’amministrazione, ai sensi degli artt. 31 e 117, del Codice del processo
amministrativo (approvato con d.lgs. 104/2010).
A parte dette ipotesi, che a ben
vedere riguardano il rapporto «verticale» tra pubblica amministrazione e soggetto
amministrato, potrebbe darsi che il comportamento inerte venga tenuto dall’organo
statale chiamato ad esprimere il parere (vincolante o comunque obbligatorio)
[28]
sulla proposta di provvedimento di (rilascio o diniego di) autorizzazione
paesaggistica. Il che apre, evidentemente, alla questione – ancor oggi dibattuta in
dottrina e giurisprudenza – circa l’applicabilità (o meno), alla fattispecie, della
disposizione sul c.d. «silenzio assenso orizzontale» di cui all’art.
17-bis della legge sul procedimento (l. 241/1990), ai sensi del
quale, «nei casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta
comunque denominati di amministrazioni pub¶{p. 96}bliche e di gestori di
beni o servizi pubblici, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di
competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti
comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento
dello schema di provvedimento […]» (c. 1), e che detta disposizione trovi applicazione
anche «ai casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta
comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale,
paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini», in tali
casi prevedendo, però, un termine, più lungo, di 90 giorni (c. 3).
Sul punto risultano rintracciabili,
nella giurisprudenza amministrativa, i tre seguenti orientamenti.
Il primo – che parrebbe potersi
dire, almeno ad oggi, quello maggioritario – è di segno contrario
all’applicabilità, nel procedimento di autorizzazione paesaggistica, del silenzio
assenso tra amministrazioni. Esso muove, in particolare, dalla considerazione per cui
l’autorizzazione paesaggistica è da vedersi come un «provvedimento monostrutturato»,
essendo il relativo procedimento attivato su istanza di parte e non dall’amministrazione
procedente. Il rapporto tra regione o ente delegato, da un lato, e organo statale
soprintendentizio, dall’altro, deve ritenersi, cioè, solo «interno» e finalizzato ad una
«cogestione» non della fase decisoria, bensì solo di quella istruttoria.
All’inoperatività dell’art. 17-bis della l.
241/1990, conseguirebbe, così, l’inapplicabilità anche
dell’art. 2, c. 8-bis, della stessa legge, volto a sanzionare con
l’inefficacia le ivi richiamate determinazioni amministrative tardive
[29]
.
Il parere reso tardivamente dal
soprintendente, non sarebbe, pertanto, da considerarsi inefficace ex lege. Allo stesso
tempo, però, esso non sarebbe neppure più in grado di vincolare l’amministrazione
procedente, la quale dovrebbe tuttavia tenerne conto, motivatamente (cfr. ex
multis, in questi ¶{p. 97}termini, Cons. St., sez. IV,
4765 del 27 luglio 2020; 2640 del 29 marzo 2021; 2584 del 7 aprile 2022; TAR Campania,
Salerno, sez. II, 2896 del 2 novembre 2022).
Un secondo orientamento – anch’esso
contrario all’applicabilità dell’art. 17-bis, l. 241/1990, ma con
alcune «precisazioni», che, come si vedrà, portano a «riavvicinare» di molto le
conseguenze pratiche – ritiene che l’ostacolo all’applicazione della disposizione di
«semplificazione» ivi contenuta non sia da rinvenire tanto nel fatto che il procedimento
sia avviato su impulso di un amministrato. Secondo detta ricostruzione, invece, la
«chiave» per superare la questione starebbe nella disposizione di cui all’art. 146, c.
9, del Codice, la quale prevede che, in caso di inerzia del soprintendente,
l’amministrazione competente (regione o ente delegato che sia) non debba provvedere «in
conformità» (come previsto, invece, dall’ultimo periodo del c. 8), bensì che, a fronte
del silenzio dell’organo statale, debba «provvede[re] comunque». Il che, ad avviso del
Consiglio di Stato, implicherebbe soltanto che l’amministrazione sia chiamata ad
emettere un provvedimento espresso. Ma a ben vedere, sul piano concreto, cambierebbe
poco rispetto all’applicazione dell’art. 17-bis, l. 241/1990, in
quanto in tal caso il provvedimento finale dovrebbe comunque rispecchiare la proposta di
provvedimento originariamente trasmessa alla soprintendenza. Se così non fosse, infatti,
il provvedimento (di diniego o rilascio dell’autorizzazione paesaggistica) sarebbe da
considerarsi affetto da un vizio di legittimità, poiché adottato sulla base di una
proposta non sottoposta al parere soprintendentizio (cfr. Cons. St., sez. VI, 4098 del
24 maggio 2022, e, in negli stessi termini già Id., 5799 dell’11 dicembre 2017).
Un terzo, ben diverso orientamento
del giudice amministrativo – che è parso inizialmente potersi affermare e che invece è
stato ben presto rimesso in discussione dal Consiglio di Stato a favore dei primi due,
già ricordati – ha mostrato subito un certo favor circa
l’applicabilità dell’art. 17-bis, l. 241/1990, anche con riguardo
al procedimento di cui all’art. 146, del Codice e all’inerzia della soprintendenza nella
formulazione del parere. A tal riguardo, è stata ¶{p. 98}valorizzata la
considerazione per cui tutti i pareri vincolanti partecipano, invero, alla formazione di
un «provvedimento finale pluristrutturato», in quanto la decisione dell’amministrazione
procedente richiede per legge l’assenso vincolante di un’altra amministrazione. Anche il
dato testuale dell’art. 17-bis, c. 3, l.
241/1990, peraltro, consentirebbe (chiaramente) di valorizzare l’estensione del
meccanismo del silenzio assenso ai procedimenti di competenza di amministrazioni
preposte alla tutela di interessi sensibili, ivi compresa la tutela del patrimonio
culturale (cfr., in questi termini, Cons. St., Ad. comm. spec., 1640 del 13 luglio 2016,
su di uno specifico quesito posto dall’Ufficio legislativo del Ministro per la
semplificazione e la pubblica amministrazione; Cons. St., sez. VI, 6556 del 1° ottobre
2019; Cons. St., sez. IV, 4559 del 14 luglio 2020; Cons. St., sez. V, 255 del 14 gennaio
2022).
Note
[26] M. Breganze de Capnist, La relazione paesaggistica e la sua evoluzione giuridica, in «Rivista giuridica di urbanistica», 2019, n. 1, pp. 79 ss.
[27] Ai sensi del quale, come ben noto, la figura del silenzio assenso non trova applicazione con riguardo, tra l’altro, «agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico […]».
[28] Sul punto si rinvia a quanto già osservato, supra, par. 2.
[29] C.P. Santacroce, Sull’inefficacia delle determinazioni amministrative tardive: riflessioni a margine dell’art. 2, comma 8-bis, della legge sul procedimento amministrativo, in «Rivista giuridica di urbanistica», 2022, n. 1, pp. 53 ss.