Matelda Reho, Filippo Magni (a cura di)
Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c4
  1. l’autorizzazione paesaggistica costituisce espressamente «atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio», ma che a tal riguardo sono invero registrabili diversificate ricostruzioni ed applicazioni giurisprudenziali della portata di tale precetto, considerato che in taluni casi il giudice amministrativo vede nel previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica una condizione di validità del titolo abilitativo edilizio (cfr., ex multis, ad es., TAR Campania, Salerno, sez. I, 901 del 10 maggio 2017), e in talaltri, invece, un presupposto di sua efficacia (cfr. in tal senso, ad es., TAR Toscana, Firenze, sez. III, 1039 del 16 agosto 2017);
  2. l’autorizzazione paesaggistica è efficace per un periodo di 5 anni, scaduto il quale l’esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione, pur prevedendosi, allo stesso tempo, che i lavori iniziati nel corso dei 5 anni di efficacia del provvedimento autorizzatorio possano essere conclusi entro e non oltre l’anno successivo la scadenza del quinquennio stesso, e che il termine di efficacia dell’autorizzazione decorra dal giorno in cui acquista efficacia il titolo edilizio eventualmente necessario per la realizzazione dell’intervento, a meno che il ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente efficacia di quest’ultimo non sia dipeso da circostanze imputabili al soggetto interessato (cfr., in termini ben diversi, invece, l’art. 21, c. 5, del Codice e, sul punto, ad es., Cons. St., sez. VI, 1954 del 16 aprile 2015, secondo la quale, «l’art. 21 prevede […] per le autorizzazioni aventi ad oggetto interventi su beni culturali un regime temporale specifico ed incompatibile con l’inefficacia automatica prevista per le autorizzazioni paesaggistiche dall’art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004»).
    {p. 89}
Quanto ai principali snodi procedimentali, può essere qui utile ricordare – naturalmente sempre solo per punti – che, nel regime ordinario, il procedimento risulta articolato secondo la seguente scansione temporale:
  1. presentazione dell’istanza all’amministrazione competente, con il progetto degli interventi corredato dalla documentazione tecnica necessaria per la verifica della compatibilità fra l’interesse paesaggistico tutelato dal vincolo e l’intervento progettato, individuata ai sensi dell’art. 146, c. 3, del Codice [20]
    ;
  2. verifica preliminare, da parte dell’amministrazione competente a ricevere l’istanza, sia in ordine ad eventuali cause di esclusione dell’intervento de quo dal regime autorizzatorio (o comunque da quello ordinario) sia della completezza della documentazione presentata dal soggetto istante;
  3. accertamento della conformità paesaggistica dell’intervento, elaborazione e trasmissione alla competente soprintendenza, entro 40 giorni dalla presentazione dell’istanza, di una proposta di provvedimento di rilascio/diniego dell’autorizzazione;
  4. formulazione, entro i successivi 45 giorni, del parere vincolante del soprintendente (salvo quanto si è già sopra ricordato, a proposito dell’effetto della vestizione dei vincoli sulla natura del parere soprintendentizio e sulla sua possibile degradazione) [21]
    ;
  5. adozione, in conformità (se del caso), del provvedimento finale nei 20 giorni dal ricevimento del parere (art. 146, c. 8) da parte dell’amministrazione competente, la quale, decorsi inutilmente 60 giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente senza che questi abbia esercitato la prescritta funzione «consultiva», provvede comunque sull’istanza di autorizzazione (art. 146, c. 9).
Il sintetico riepilogo, sopra proposto, dell’ordinaria scansione del procedimento di rilascio/diniego dell’autorizzazione paesaggistica e, in particolare, i riferimenti al {p. 90}ruolo riservato allo Stato dal legislatore del Codice (che – va ricordato – ha condivisibilmente ritenuto di modificare il precedente assetto ruotante attorno ad un del tutto «peculiare» potere ministeriale di annullamento ex post dei provvedimenti di nulla osta paesaggistico rilasciati dalla regione o dall’ente da questa delegato), apre ad una qualche più ampia riflessione sulla distribuzione delle funzioni e delle competenze nell’esercizio della funzione autorizzatoria. E, in questa sede, si reputa a tal riguardo particolarmente utile soffermarsi su di uno specifico profilo: quello della delegabilità di detta funzione.
Ai sensi dell’art. 146, c. 6, del Codice, infatti, l’esercizio della funzione autorizzatoria spetta alla regione (territorialmente competente), la quale deve a tal fine avvalersi delle proprie strutture amministrative dotate di «adeguate competenze tecnico-scientifiche» e di «idonee risorse strumentali». Ma quello stesso comma prevede anche un possibile «scivolamento verso il basso» di detta funzione. Essa, infatti, potrebbe esser delegata, per i rispettivi territori, «a province, a forme associative e di cooperazione fra enti locali […], agli enti parco, ovvero a comuni».
A tal proposito, però, il legislatore ha (condivisibilmente) ritenuto di dover subordinare la (legittimità della) delega alla sussistenza di due condizioni:
  1. l’adeguatezza del livello di competenze tecnico-scientifiche disponibili presso le strutture amministrative dell’ente delegato;
  2. la garanzia di una differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio delle funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia.
Va detto che anche in ordine all’interpretazione delle predette condizioni, e in particolare con riguardo a quella sopra riportata sub b), si registrano, in seno alla giurisprudenza amministrativa, posizioni diversificate. In particolare, ciò di cui più si discute concerne la necessità che la «divaricazione» tra funzioni paesaggistiche ed urbanistico-edilizie sia (anche) soggettiva o (solo) oggettiva.
Nel primo senso, si vedano – con precipuo riguardo all’esperienza veneta e a titolo, però, meramente esempli{p. 91}ficativo – le pronunce del TAR Veneto, sez. II, 452 del 27 aprile 2018 e 791 del 9 agosto 2017, secondo cui deve ritenersi fondata la censura di illegittimità dell’autorizzazione paesaggistica per contrasto con l’art. 146, c. 6, del Codice, questa essendo stata rilasciata dallo «stesso funzionario» che ha rilasciato il permesso di costruire.
Il giudice amministrativo veneto, in tal caso, ha chiaramente optato per una doverosa distinzione anche organizzativa, che riflette la distinzione sostanziale tra la funzione di tutela del paesaggio e quella urbanistico-edilizia.
Negli stessi termini, si veda, peraltro, anche una precedente pronuncia dei giudici di Palazzo Spada (Cons. St., sez. VI, 2784 del 5 giugno 2015), i quali hanno avuto occasione di ribadire la necessità di «una distinzione formale tra uffici», non bastando, invece, «una distinzione di attività».
Di diverso avviso, più di recente, si è invece mostrato il TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 2698 del 26 aprile 2021, secondo il quale, in assenza di una specifica ed espressa ipotesi legislativa di incompatibilità, deve ritenersi prevalente l’autonomia delle attività e delle valutazioni, garantita dal diverso iter procedimentale (per l’autorizzazione paesaggistica e per il titolo abilitativo edilizio), nonché dai diversi presupposti oggetto di esame. Di conseguenza, il giudice amministrativo è in tal caso giunto a ritenere che, a fronte di una valutazione basata su differenti presupposti (ossia, da un lato, urbanistico-edilizi, e dall’altro, di compatibilità rispetto al vincolo paesaggistico), nonché su diversi itinera presso organi, anche consultivi, diversi, non sia possibile «inferire automaticamente» che la stessa persona non possa partecipare – laddove ne abbia le competenze – alle differenti valutazioni. E ancora, che se è senz’altro vero che proprio la diversità del tipo di valutazioni renderebbe opportuna, nell’interesse della stessa amministrazione procedente, «una divaricazione soggettiva» dei funzionari responsabili, spesse volte, la «scarsità di risorse degli enti locali, specie di piccole dimensioni, rende di non facile raggiungimento tale auspicabile obiettivo».
Sul punto, in questa sede può solo aggiungersi che nel variegato panorama regionale è dato registrare una pluralità {p. 92}di scelte legislative in ordine all’allocazione, per delega, della funzione autorizzatoria in materia paesaggistica [22]
.
Si è sin qui solo accennato, infine, che l’art. 146, del Codice contiene anche peculiari disposizioni di natura processuale, nella parte in cui riconosce una legittimazione a ricorrere ex lege e l’appellabilità dei provvedimenti giurisdizionali adottati dal Tribunale amministrativo regionale indipendentemente dalla proposizione del ricorso di primo grado.
Il suo comma 12, infatti, per un verso, con riguardo all’impugnazione di un’autorizzazione paesaggistica con ricorso al giudice amministrativo o con ricorso straordinario al presidente della Repubblica, legittima, oltre che qualsiasi soggetto pubblico o privato che ne abbia interesse, anche le associazioni portatrici di interessi diffusi individuate ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia di ambiente e danno ambientale; e per un altro, poi, prevede espressamente anche che le sentenze e le ordinanze del TAR possano essere appellate dai medesimi soggetti, anche se non abbiano proposto ricorso di primo grado [23]
.{p. 93}

4. I contenuti dell’istanza e, in particolare, la relazione paesaggistica: dal RD 1357/1940 al DPCM 12 dicembre 2005

Come si è già anticipato [24]
, il procedimento ordinario di rilascio/diniego dell’autorizzazione paesaggistica prende naturalmente avvio a seguito della presentazione di un’istanza da parte di quel soggetto, privato o anche pubblico [25]
, interessato alla realizzazione di un intervento su di un bene paesaggistico, la quale dev’essere accompagnata dalla prescritta documentazione a corredo del progetto.
Già il RD 1357/1940, ovverosia il regolamento per l’applicazione della l. 1497/1939 (sulla protezione delle «bellezze naturali») prescriveva, all’art. 15, c. 1, che
i progetti di lavori da presentarsi alla Regia soprintendenza a’ sensi dell’art. 7 della legge possono limitarsi a rappresentare, mediante fotografie e disegni, l’aspetto esteriore dell’immobile così come si trova e a indicare i dati e le linee essenziali delle opere che si vogliono intraprendere in modo che sia possibile apprezzare in che cosa precisamente consista la modificazione che quell’esteriore aspetto dell’immobile debba subire per effetto dei progettati lavori.
La disciplina «codicistica» del 2004 ha rimesso l’individuazione della documentazione necessaria per la valutazione di compatibilità paesaggistica, su proposta del Ministero competente, ad un apposito decreto del presidente del Consiglio dei ministri, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni (art. 146, c. 3, del Codice).
In attuazione di detta previsione, è stato approvato il DPCM 12 dicembre 2005, il quale ha definito «le finalità, i criteri di redazione, i contenuti della relazione paesaggistica che correda, congiuntamente al progetto dell’intervento
{p. 94}che si propone di realizzare ed alla relazione di progetto, l’istanza di autorizzazione paesaggistica».
Note
[20] Cfr. infra, par. 4.
[21] Cfr. supra, par. 2.
[22] Per l’esperienza veneta, cfr. in particolare gli artt. 45-bis ss., l.r. Veneto 11/2004 (ivi introdotti dalla l.r. 10/2011). Si segnala anche che, in alcune realtà amministrative regionali, ai fini dell’integrazione dei presupposti legittimanti la delega, il legislatore ha ritenuto di puntare sull’istituzione (facoltativa ma da incentivare, secondo l’art. 148, del Codice) delle Commissioni locali per il paesaggio: cfr., ad es., gli artt. 3 e 4, l.r. Piemonte 32/2008, o l’art. 7, c. 4, l.r. Puglia 20/2009, che subordinano la delegabilità ai comuni della funzione autorizzatoria all’effettiva istituzione, presso di essi o comunque in forma associata, di dette commissioni.
[23] Per un’applicazione della disposizione, cfr., a titolo esemplificativo, la pronuncia del Cons. St., sez. VI, 2220 del 2 aprile 2020, secondo la quale l’ultimo periodo dell’art. 146, c. 12, del Codice ha ammesso, in via di legittimazione straordinaria, l’appello di colui che, pur non avendo partecipato al giudizio di primo grado, «può essere qualificato come soggetto controinteressato sostanziale in quanto titolare di una posizione soggettiva giuridicamente rilevante, caratterizzata da un concreto interesse di segno opposto rispetto a quello fatto valere col ricorso di primo grado».
[24] Cfr. supra, par. 3.
[25] Per le «opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali», cfr., però, l’art. 147, del Codice, il quale, tra le altre cose, prevede che l’autorizzazione paesaggistica venga rilasciata all’esito di una conferenza di servizi (c. 1) indetta ai sensi della legge sul procedimento amministrativo (l. 241/1990).