Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c4
L’approvazione delle prescrizioni
d’uso dei beni paesaggistici è stata infatti elevata dal legislatore statale a
presupposto (necessario ma – come tra breve pure si ricor
¶{p. 84}derà –
non sufficiente) per un significativo effetto giuridico di degradazione
[7]
, da vincolante a meramente
obbligatorio, del parere che il soprintendente unico
(archeologia, belle arti e paesaggio)
[8]
territorialmente competente
[9]
è chiamato a rilasciare, ai sensi dello stesso art. 146, cc. 5, 7 e 8, del
Codice, in ordine alla proposta di provvedimento ad esso inviata dalla regione o – come
pure si dirà
[10]
– dal livello amministrativo locale da questa delegata.
Il detto mutamento nella natura
della funzione soprintendentizia nel procedimento autorizzatorio, dunque, può senz’altro
dirsi uno degli esiti giuridici (anche) della c.d. «vestizione» dei beni paesaggistici.
Ma, come si è già anticipato, il
riempimento contenutistico dei vincoli con le relative «prescrizioni d’uso» non è
condizione sufficiente perché detto effetto si realizzi.
Le due sopra ricordate correlazioni
tra funzione autorizzatoria, da un lato, e funzioni di individuazione della disciplina
d’uso delle aree tutelate e di pianificazione paesaggistica, dall’altro, sono state
entrambe legate dal legislatore statale, infatti, al completamento di un’ulteriore
tappa: quella dell’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali
al piano paesaggistico.
Ciò parrebbe allora confermare
l’idea che – seppur con un livello di effettività ad oggi ancora
particolarmente basso – il sistema italiano di tutela del paesaggio
(inaugurato dal Codice nel 2004 e poi oggetto di non trascurabili correzioni ed
integrazioni, le quali hanno finito con l’incidere non poco sull’assetto normativo
finale e, probabilmente, anche sulla ¶{p. 85}stessa attuazione del
complessivo disegno del legislatore) sembrerebbe (dover) ruotare principalmente attorno
al piano paesaggistico e al consequenziale
adeguamento ad esso della strumentazione urbanistica comunale
[11]
.
In effetti, alla luce dei contenuti
e degli obiettivi che gli artt. 135 e 143, del Codice assegnano al piano, questo
dovrebbe esser visto, ai diversi livelli (locale, regionale, statale), quale primaria ed
imperdibile occasione di conoscenza, emersione
e condivisione della pluralità dei valori paesaggistici e culturali
(in senso ampio) espressi dai diversi territori regionali italiani
[12]
.
Nonostante detta
centralità sistematica, spostandosi dal piano teorico a quello
dell’amministrazione reale, non può che rilevarsi, però, come l’effettiva attivazione
del potere di pianificazione paesaggistica – oramai a poco meno di vent’anni
dall’entrata in vigore del Codice – tardi a «decollare» in non poche realtà regionali.
Il che è probabilmente imputabile ad una pluralità di fattori.
Di certo, il passaggio, con il
secondo decreto correttivo (d.lgs. 63/2008), da una copianificazione paesaggistica
Stato-regione facoltativa ad una «copianificazione obbligata»
[13]
non ha reso le cose più agevoli, imponendo
un’elaborazione congiunta, da parte del Ministero della cultura e della regione
territorialmente interessata, di tutte quelle disposizioni di piano aventi una qualche
incidenza sui beni paesaggistici.
Da tutt’altro angolo prospettico, e
almeno con riguardo ad alcuni contesti regionali, anche la altalenante discussione in
merito al regionalismo differenziato può aver avuto un qualche
ruolo ed incidenza sul punto, nell’attesa che le ambiziose istanze di completa
regionalizzazione – tra le altre – di ¶{p. 86}tutte
le funzioni di tutela in materia paesaggistica potessero incontrare, prima o poi, un
qualche esito favorevole
[14]
.
Queste, però, sono soltanto due tra
le diverse, possibili concause del notevole ritardo che ancor oggi deve registrarsi con
riguardo all’esercizio della funzione di pianificazione, e che – va sottolineato –
accomuna la maggior parte delle regioni italiane, eccezion fatta, come ben noto, per
Puglia, Toscana, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Lazio, che tra il 2015 ed il 2021 si
sono dotate di un piano paesaggistico puro o urbanistico-territoriale con specifica
considerazione dei valori paesaggistici
[15]
.
Peraltro, è utile qui ribadire come
l’approvazione del piano rappresenti solo la prima tappa di un ben più articolato e
lungo iter per una piena operatività del sistema costruito dal
legislatore del Codice, fatto – come sopra s’è visto – anche di interessanti misure di
semplificazione. E, a tal proposito, merita d’essere sottolineato come in tutte le
(poche) regioni che sin qui hanno completato detta prima tappa, la successiva fase di
adeguamento della strumentazione urbanistica comunale al piano paesaggistico sia ancora
in corso (e, in alcune di dette esperienze, quantitativamente ancora alle battute iniziali)
[16]
. Il che, con tutta evidenza, finisce col rafforzare quegli approcci volti ad
evidenziare un certo, non trascurabile grado di ineffettività del sistema
[17]
. ¶{p. 87}
Qualunque siano le cause, solo
contingenti o di sistema, che hanno sin qui inciso in negativo sulla (mancata)
attivazione del potere amministrativo di pianificazione paesaggistica, dovrebbe comunque
indurre a riflettere quanto attentamente rilevato da un’assai autorevole voce della
dottrina politologica italiana, la quale ha efficacemente messo in evidenza la diffusa
«indifferenza» e «riluttanza» delle regioni italiane «a misurarsi strategicamente con
una delle “materie” che della istituzione regionale dovrebbero esemplificare la stessa
ragione d’essere»
[18]
.
Conclusivamente, sul punto, si ha
la sensazione che diverse regioni non abbiano sin qui adeguatamente valutato le non
poche e diverse potenzialità (anche semplificatorie) della pianificazione paesaggistica,
che – se correttamente inquadrata dalle diverse pubbliche amministrazioni coinvolte
quale «scena principale» del complessivo sistema di tutela e valorizzazione del
paesaggio italiano – potrebbe dare un fondamentale impulso a preziosi percorsi, anche
culturali, di (ri-)scoperta individuale e collettiva di un senso di
appartenenza territoriale
[19]
.
3. I principali profili della disciplina sostanziale e procedimentale dell’autorizzazione paesaggistica e la distribuzione delle competenze
L’art. 146, del Codice, interamente
dedicato all’autorizzazione paesaggistica, contiene diverse disposizioni di natura sia
sostanziale che procedimentale. Non mancano, inoltre, anche peculiari disposizioni
processuali.
Tra le prime sono senz’altro da
annoverare: quelle sul carattere autonomo e
presupposto di tale provvedimento rispetto ai titoli
abilitativi edilizi; quella sulla sua ordinaria ¶{p. 88}natura di
strumento di controllo amministrativo ex ante delle trasformazioni
territoriali (salvo il già ricordato rinvio all’art. 167, del Codice); e quella
sull’efficacia temporale (quinquennale) del provvedimento
autorizzatorio de quo.
A tal proposito, anche alla luce
delle concrete applicazioni dell’art. 146, c. 4, del Codice, può qui solo ricordarsi
sinteticamente e per punti che:
- l’autorizzazione paesaggistica costituisce espressamente «atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio», ma che a tal riguardo sono invero registrabili diversificate ricostruzioni ed applicazioni giurisprudenziali della portata di tale precetto, considerato che in taluni casi il giudice amministrativo vede nel previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica una condizione di validità del titolo abilitativo edilizio (cfr., ex multis, ad es., TAR Campania, Salerno, sez. I, 901 del 10 maggio 2017), e in talaltri, invece, un presupposto di sua efficacia (cfr. in tal senso, ad es., TAR Toscana, Firenze, sez. III, 1039 del 16 agosto 2017);
- l’autorizzazione paesaggistica è efficace per un periodo di 5 anni, scaduto il quale l’esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione, pur prevedendosi, allo stesso tempo, che i lavori iniziati nel corso dei 5 anni di efficacia del provvedimento autorizzatorio possano essere conclusi entro e non oltre l’anno successivo la scadenza del quinquennio stesso, e che il termine di efficacia dell’autorizzazione decorra dal giorno in cui acquista efficacia il titolo edilizio eventualmente necessario per la realizzazione dell’intervento, a meno che il ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente efficacia di quest’ultimo non sia dipeso da circostanze imputabili al soggetto interessato (cfr., in termini ben diversi, invece, l’art. 21, c. 5, del Codice e, sul punto, ad es., Cons. St., sez. VI, 1954 del 16 aprile 2015, secondo la quale, «l’art. 21 prevede […] per le autorizzazioni aventi ad oggetto interventi su beni culturali un regime temporale specifico ed incompatibile con l’inefficacia automatica prevista per le autorizzazioni paesaggistiche dall’art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004»).¶{p. 89}
Note
[7] Santacroce, Osservazioni sul tema degli accordi tra Stato e regioni nell’esercizio della funzione di pianificazione paesaggistica, cit. e Id., La gestione dei vincoli paesaggistici tra ripensamenti centripeti e (ri)formulazioni legislative centrifughe, cit.
[8] Quale organo periferico del MiC: cfr. art. 41, DPCM 169/2019 e s.m.i., e art. 146, c. 5, del Codice.
[9] A meno che l’affare amministrativo non rientri nella sfera di competenza della Soprintendenza speciale per il PNRR, operante (almeno) sino al 31 dicembre 2026: cfr. art. 29, DL 77/2021, e art. 26-ter, DPCM 169/2019 e s.m.i.
[10] Cfr. infra, par. 3.
[11] Santacroce, Territorio e comunità nella teoria giuridica della partecipazione, cit.
[12] Ibidem.
[13] Santacroce, Osservazioni sul tema degli accordi tra Stato e regioni nell’esercizio della funzione di pianificazione paesaggistica, cit. e C.P. Santacroce, Accordi tra pubbliche Amministrazioni ed atti amministrativi complessi nella copianificazione per la tutela del paesaggio, n «Rivista giuridica di urbanistica», 2012, n. 3, pp. 602 ss.
[14] Santacroce, Territorio e comunità nella teoria giuridica della partecipazione, cit.
[15] E, tra le altre regioni a statuto speciale, per quelle che godono, anche in materia, di autonomia piena. Tutt’altro discorso andrebbe fatto in merito alla Regione Sardegna, il cui piano paesaggistico del 2006 di certo non può dirsi pienamente in linea con i contenuti previsti dal Codice.
[16] Santacroce, Territorio e comunità nella teoria giuridica della partecipazione, cit.; P. Marzaro, Il silenzio assenso e l’«infinito» della semplificazione. La scomposizione dell’ordinamento nella giurisprudenza sui procedimenti autorizzatori semplificati, in «Rivista giuridica di urbanistica», 2022, n. 3, pp. 558 ss.; L. Di Giovanni, La pianificazione paesaggistica e la gestione integrale del territorio, Napoli, Editoriale scientifica, 2021; M. Breganze de Capnist, L’adeguamento degli strumenti urbanistici e territoriali ai piani paesaggistici, in «Rivista giuridica di urbanistica», 2018, n. 3, pp. 427 ss.
[17] Santacroce, Territorio e comunità nella teoria giuridica della partecipazione, cit.
[18] M. Morisi, Il paesaggio come politica pubblica. Ovvero, il paesaggio di Alberto Predieri, in G. Morbidelli e M. Morisi, Il «paesaggio» di Alberto Predieri, Firenze, Passigli, 2019, pp. 273 ss.
[19] Santacroce, Territorio e comunità nella teoria giuridica della partecipazione, cit.