Matelda Reho, Filippo Magni (a cura di)
Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c22
Già mezzo secolo fa, nel 1970, la Commissione De Marchi aveva ipotizzato uno scenario futuristico rispetto ai mutamenti climatici. Un campanello d’allarme inascoltato che arrivava da una fonte istituzionale, in Italia la più autorevole. Nel nostro paese, negli ultimi dieci anni, registriamo un drastico aumento degli eventi estremi, piove sempre di
{p. 410}più in modo intenso e concentrato, con un aumento dei territori a rischio. Nelle conclusioni della Relazione finale, la Commissione sottolineava l’urgenza dei processi decisionali e la semplificazione nella fase autorizzativa dei progetti, con controlli rigorosi durante la realizzazione degli interventi e anzitutto indicava, come esigenza pregiudiziale, la periodica manutenzione delle opere per assicurare nel tempo la loro funzionalità. Tutti concetti di una straordinaria attualità.
In linea generale i dissesti idrogeologici e le conseguenti alterazioni del paesaggio avvengono oltre che per fattori naturali soprattutto per cause antropiche (realizzazione di costruzioni in aree dichiarate a rischio idrogeologico dalle autorità competenti; mancata o insufficiente manutenzione delle opere di difesa del suolo e degli alvei dei corsi d’acqua; abbandono delle zone montane). In tale situazione territoriale, si devono attuare misure atte a mitigare il rischio idrogeologico, che più volte scienziati e tecnici predicano, precisando nello stesso tempo che di fronte al cambiamento climatico e alla crescente urbanizzazione del territorio sono necessarie le misure di adattamento ai cambiamenti climatici, ritirandosi dai territori a maggior rischio. Ad esempio, quando è dimostrato che un’area costiera è destinata, a causa del crescente innalzamento del livello marino, ad essere lambita o sommersa dal mare in tempi medio-brevi, è illogico continuare a destinarla a qualsiasi uso abitativo, industriale o di servizi, ma prepararsi ad un suo uso utile per la difesa del suolo. Lo stesso concetto vale per una determinata zona di pianura alluvionale (soggetta, per la sua stessa morfologia pianeggiante e depressa, alle piene fluviali), che va destinata semmai a bacino di laminazione delle piene.
I problemi ambientali, sempre più delicati e tragici da affrontare nel nostro paese, richiedono la presenza costante del geologo in tutti i contesti sociali, culturali, economici e territoriali. È necessario agire con maggiore autorità e coinvolgere la società, rendendo il pubblico consapevole dello stato reale della terra in cui viviamo: in che modo comprendere che il territorio può essere fonte di rischio {p. 411}o risorsa [17]
. Nell’attuale scenario legato ai cambiamenti climatici e all’innalzamento dei livelli marini, i geologi hanno il dovere etico di condividere conoscenze e mettere a disposizione esperienza e strumenti interpretativi del paesaggio.
Note
[17] F.R. Lugeri, Lo studio del paesaggio per la prevenzione dei rischi naturali, in «Prisma. Economia – Società – Lavoro», 9, 2018, n. 3, pp. 97-112.