Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c22
Già mezzo secolo fa, nel 1970, la
Commissione De Marchi aveva ipotizzato uno scenario futuristico rispetto ai mutamenti
climatici. Un campanello d’allarme inascoltato che arrivava da una fonte istituzionale,
in Italia la più autorevole. Nel nostro paese, negli ultimi dieci anni, registriamo un
drastico aumento degli eventi estremi, piove sempre di
¶{p. 410}più in
modo intenso e concentrato, con un aumento dei territori a rischio. Nelle conclusioni
della Relazione finale, la Commissione sottolineava l’urgenza dei
processi decisionali e la semplificazione nella fase autorizzativa
dei progetti, con controlli rigorosi durante la realizzazione degli
interventi e anzitutto indicava, come esigenza
pregiudiziale, la periodica manutenzione delle opere
per assicurare nel tempo la loro funzionalità. Tutti concetti di una straordinaria
attualità.
In linea generale i dissesti
idrogeologici e le conseguenti alterazioni del paesaggio avvengono oltre che per fattori
naturali soprattutto per cause antropiche (realizzazione di costruzioni in aree
dichiarate a rischio idrogeologico dalle autorità competenti; mancata o insufficiente
manutenzione delle opere di difesa del suolo e degli alvei dei corsi d’acqua; abbandono
delle zone montane). In tale situazione territoriale, si devono attuare misure atte a
mitigare il rischio idrogeologico, che più volte scienziati e tecnici predicano,
precisando nello stesso tempo che di fronte al cambiamento climatico e alla crescente
urbanizzazione del territorio sono necessarie le misure di adattamento ai cambiamenti
climatici, ritirandosi dai territori a maggior rischio. Ad esempio, quando è dimostrato
che un’area costiera è destinata, a causa del crescente innalzamento del livello marino,
ad essere lambita o sommersa dal mare in tempi medio-brevi, è illogico continuare a
destinarla a qualsiasi uso abitativo, industriale o di servizi, ma prepararsi ad un suo
uso utile per la difesa del suolo. Lo stesso concetto vale per una determinata zona di
pianura alluvionale (soggetta, per la sua stessa morfologia pianeggiante e depressa,
alle piene fluviali), che va destinata semmai a bacino di laminazione delle piene.
I problemi ambientali, sempre più
delicati e tragici da affrontare nel nostro paese, richiedono la presenza costante del
geologo in tutti i contesti sociali, culturali, economici e territoriali. È necessario
agire con maggiore autorità e coinvolgere la società, rendendo il pubblico consapevole
dello stato reale della terra in cui viviamo: in che modo comprendere che il territorio
può essere fonte di rischio ¶{p. 411}o risorsa
[17]
. Nell’attuale scenario legato ai cambiamenti climatici e all’innalzamento
dei livelli marini, i geologi hanno il dovere etico di condividere conoscenze e mettere
a disposizione esperienza e strumenti interpretativi del paesaggio.
Note
[17] F.R. Lugeri, Lo studio del paesaggio per la prevenzione dei rischi naturali, in «Prisma. Economia – Società – Lavoro», 9, 2018, n. 3, pp. 97-112.