Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c13
La gestione del patrimonio boschivo
disciplinata dal Testo unico pone alcune criticità. È in particolare interessante notare
il disposto dell’art. 8, il quale ammette la c.d. «trasformazione» del bosco,
consistente nell’eliminazione della vegetazione arborea ed arbustiva, con la conseguenza
che a seguito dell’intervento trasformativo l’area forestale viene destinata ad un uso
diverso. Pertanto, la norma ammette la possibilità, di fatto, di eliminare
il bosco, ponendo tuttavia delle condizioni cumulative, per cui è vietata la
trasformazione che:
¶{p. 255}
- determini un danno o un danno ambientale (ai sensi della direttiva 2004/35/CE e delle relative norme di recepimento inserite nel TU ambiente, d.lgs. 152/2006);
- non sia stata preventivamente autorizzata, ove previsto, tramite l’autorizzazione paesaggistica, o comunque tramite le disposizioni dei piani paesaggistici regionali;
- sia comunque incompatibile con le esigenze di difesa idrogeologica.
Se queste condizioni non si
verificano, la trasformazione è ammessa, ma sono egualmente necessarie delle opere di
trasformazione, la cui realizzabilità costituisce una ulteriore condicio sine
qua non per consentire l’intervento. L’art. 8, c. 3, definisce le
modalità delle compensazioni, prevedendo innanzitutto che la cura e le spese siano
sostenute dal destinatario dell’autorizzazione alla trasformazione, ma demandando alle
regioni l’individuazione dei criteri per la loro definizione e per gli interventi di
ripristino obbligatori da applicare in caso di eventuali violazione degli obblighi di
compensazione. Alle stesse regioni spetta, inoltre, il compito di individuare i casi di
esonero dagli interventi compensativi sulla base di apposite linee guida nazionali,
promulgate nell’ottobre 2020
[15]
. In ogni caso, è possibile esonerare dall’obbligo di compensazione gli
interventi volti a ripristinare siti della Rete Natura 2000 e per il recupero di aree di
interesse archeologico.
Il comma 4 dell’art. 8 delinea le
modalità in cui svolgere le operazioni di compensazione, che possono consistere: nel
miglioramento e restauro dei boschi esistenti e del paesaggio forestale in ambito
rurale, urbano e periurbano; nei rimboschimenti e creazioni di nuovi boschi su terreni
non boscati e in aree con basso coefficiente di boschività, con la specificazione che le
nuove aree così create sono equiparate a bosco; nelle sistemazioni idraulico-forestali o
idraulico-agrarie e prevenzione di incendi boschivi e di rischi naturali e
antropici.¶{p. 256}
Le nuove aree create a seguito della
compensazione sono, sotto il profilo squisitamente giuridico, equiparate a bosco, con la
conseguenza che, a seguito delle trasformazioni, le regioni ri-creano boschi, e pertanto
aree su cui insiste ex lege un vincolo paesaggistico (art. 142, d.lgs. 42/2004). Questo
meccanismo pare dunque costituire un nuovo metodo di creazione di beni paesaggistici,
che si va aggiungere a quelli definiti dagli artt. 140, 142 e 143 ss. del
Codice dei beni culturali e del paesaggio; è naturale
chiedersi, perciò, se il legislatore si sia realmente accorto delle conseguenze delle
previsioni del d.lgs. 34/2018, che conducono ad una criticità non da poco, ovvero quella
di ammettere creazione di «nuovo paesaggio» da parte delle amministrazioni regionali
senza un effettivo coinvolgimento del Ministero, anche considerando che, ai sensi
dell’art. 8, c. 5, spetta alla regione rilasciare l’autorizzazione alla trasformazione
ed imporre la compensazione.
6. Altri profili di criticità: il caso del ripristino boschivo ai sensi dell’art. 12
Se, come visto, l’art. 8 del Testo
unico implica alcune perplessità in tema di trasformazione del bosco, alcune criticità
ancor più significative sembrano emergere dall’analisi dell’art. 12, che pare la norma
più controversa dell’intero d.lgs. 34/2018. L’art. 12, infatti, affida alle regioni il
compito di ripristinare le condizioni di sicurezza delle foreste – con l’obiettivo di
assicurare la valorizzazione funzionale del terreno agro-silvo-pastorale, la
salvaguardia dell’assetto idrogeologico, la prevenzione ed il contenimento di incendi e
del degrado ambientale – attraverso il recupero produttivo delle proprietà fondiarie
frammentate e dei terreni abbandonati o silenti. Conseguentemente, viene da chiedersi in
quali ipotesi un terreno possa qualificarsi come «abbandonato» o «silente» sotto il
profilo normativo.
Giunge in soccorso l’art. 3, c. 2,
lett. g), del Testo unico, che intende per «terreni abbandonati» quei «terreni forestali
in cui i boschi cedui hanno superato, senza interventi
¶{p. 257}selvicolturali, almeno della metà il turno minimo fissato dalle
norme forestali regionali, ed i boschi d’alto fusto in cui non siano stati attuati
interventi di sfollo o diradamento degli ultimi venti anni». Ed ancora, il terreno si
considera abbandonato anche quando sia a vocazione agricola e non sia stato oggetto di
coltivazioni agricole da almeno tre anni. Diversamente, l’art. 3, c. 2, lett. h),
invece, definisce i terreni silenti come i terreni agricoli e forestali di cui alla
lettera precedente – dunque qualificabili come abbandonati – per i quali i proprietari
non siano individuabili o reperibili a seguito di apposita istruttoria.
Al di là dei profili strettamente
definitori, desta grande interesse la disciplina dei terreni abbandonati e silenti,
perché l’art. 12, c. 2, disciplina l’ipotesi in cui i proprietari e gli aventi possesso
dei terreni siano soggetti conosciuti e comunque disponibili ad avviare, in sinergia con
la regione, un percorso di recupero e valorizzazione del terreno abbandonato attraverso
la stipula di un accordo pubblico-privato per la realizzazione degli interventi
necessari per il ripristino o la valorizzazione agro-silvo-pastorale dei propri terreni.
Tuttavia – e qui sta il maggiore profilo di interesse – il comma 3 consente alla regione
di procedere alla realizzazione degli interventi – eventualmente anche esternandoli
tramite gara – di gestione dei terreni in tre circostanze, tra loro alternative:
- gli interventi di recupero concordati con il proprietario del terreno non sono stati svolti;
- non è stato possibile raggiungere un accordo con il proprietario del terreno circa gli interventi di recupero per qualsiasi ragione;
- il proprietario non è rintracciabile, e dunque il terreno è silente.
L’art. 12, c. 3, è dunque norma di
assoluto interesse perché consente alle regioni di adottare le misure provvedimentali in
deroga al diritto di proprietà non solo per esigenze di pubblica incolumità – come già
accade con riferimento, ad esempio, a pericolanti immobili urbani grazie a ricorrenti
prescrizioni nei regolamenti edilizi dei comuni – ma anche per motivi di carattere
economico-produttivo, ricordando ¶{p. 258}infatti che l’art. 12, c. 1,
richiama tra le finalità della norma la valorizzazione funzionale del territorio
agro-silvo-pastorale e il recupero produttivo.
Una simile disposizione – che cioè
ammette un intervento della regione in difetto del consenso espresso del proprietario
del terreno boschivo per finalità anche economico-produttive –
presenta delle criticità per la sua incisività, perché di fatto autorizza interventi di
ripristino coatti senza pericoli imminenti di incolumità pubblica; e pure una simile
norma, intervenendo sul profilo della proprietà, poteva essere promulgata solo dal
legislatore statale (come è in effetti avvenuto), al quale la Corte costituzionale
riconosce la competenza legislativa esclusiva su questi temi
[16]
.
Note
[15] Linee guida consultabili al link https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/16129. Di fatto, sono esonerate dagli obblighi di compensazione quelle superfici arboree/arbustive non qualificabili come bosco ex art. 5, c. 2, del Testo unico.
[16] È noto che il tema della proprietà viene ricondotto alla materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, c. 2, lett. l Cost. Tra le tante, cfr. Corte cost. 282/2004.