Avanzare insieme nella società anziana
DOI: 10.1401/9788815413086/c9
Cominciando dal primo obiettivo,
vediamo come viene tradotto a livello macro. Si introduce il Sistema nazionale per la
popolazione anziana non-autosufficiente (SNAA) quale modalità organizzativa permanente
per il governo unitario e la realizzazione congiunta di tutte le misure di natura
pubblica – di Stato, Regioni e Comuni – dedicate all’assistenza degli anziani, che
mantengono le titolarità esistenti. Si mira così a ricomporre la frammentazione in
direzione di un assetto organico, pur lasciando distinte le responsabilità tra sociale,
sanità e trasferimenti monetari. In sintesi, i soggetti rimangono separati ma si
vogliono creare tutte le condizioni possibili per permettere loro di governare e
realizzare congiuntamente il complesso delle risposte. La governance dello SNAA si basa
su organismi unitari che mettono insieme – a livello statale, regionale e territoriale –
i diversi attori istituzionali coinvolti nella non-autosufficienza e sono incaricati
della programmazione integrata di tutte le misure di responsabilità pubblica. Pertanto,
l’uso delle diverse risorse viene programmato congiuntamente a ogni livello
¶{p. 194}di governo, attraverso piani triennali con aggiornamenti
annuali (nazionale, regionale, locale).
L’organismo nazionale deputato è il
nuovo Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana
(CIPA), presieduto dal presidente del Consiglio e composto dai ministri competenti. È la
prima volta che esiste un soggetto unico statale incaricato di coordinare il settore nel
suo complesso. Il CIPA predispone il «Piano nazionale per l’assistenza e la cura della
popolazione anziana non-autosufficiente», punto di riferimento del nuovo sistema
programmatorio. Tra le sue responsabilità figurano anche il nuovo sistema di
monitoraggio unitario e l’integrazione dei sistemi informativi alla base, discussi
oltre. Al CIPA corrispondono, come anticipato, organismi equivalenti a livello regionale
e territoriale.
Lo SNAA prova a coniugare ambizione
e realismo. L’ambizione è quella di edificare un sistema unitario e integrato per la
non-autosufficienza, come avvenuto in tutte le riforme estere [Rothgang et
al. 2020]; la portata di un simile cambiamento – paragonato alla
situazione attuale – non può certo essere sottovalutata. Il realismo consiste nello
scartare le ipotesi di complessa ingegneria istituzionale tese a trasferire le attuali
competenze di sociale, sanità e INPS a un unico – nuovo – settore delle politiche
pubbliche appositamente costituito, opzione che non pare realisticamente praticabile.
Il buon esito di questa soluzione
«ibrida» dipenderà dall’attuazione. Infatti, esiste il rischio che l’introduzione dello
SNAA si risolva soprattutto in un appesantimento per i soggetti coinvolti (dovuto ai
maggiori oneri procedurali connessi alla nuova sovrastruttura istituzionale e al nuovo
impianto programmatorio), con uno scarso impatto reale sul welfare per la
non-autosufficienza. Se così fosse, peraltro, gli attori interessati sarebbero spinti a
non investire sul nuovo sistema, limitandosi a un’applicazione meramente burocratica.
A livello micro, le principali
novità riguardano le valutazioni della condizione dell’anziano, che determinano gli
interventi da ricevere. Lo Stato è responsabile della nuova Valutazione
multidimensionale unificata (VAMU), che ingloba le diverse valutazioni oggi esistenti
per beneficiare delle prestazioni nazionali (indennità di accompagnamento, legge 104/92,
invalidità civile). La VAMU è realizzata con uno strumento valutativo di ultima
¶{p. 195}generazione, multidimensionale e standardizzato,
informatizzato, in grado di cogliere pienamente la situazione dell’anziano,
contrariamente a quelli statali attualmente in uso, poco adatti allo scopo. In base alla
VAMU si definisce di quali misure, fra quelle di responsabilità dello Stato, gli anziani
e i loro caregivers possono usufruire.
Regioni e comuni sono titolari
delle Unità di valutazione multidimensionale (UVM) territoriali, che compiono la propria
valutazione – a differenza di quanto accade oggi – partendo dalle informazioni già
raccolte con la VAMU e integrandole come necessario per i loro specifici compiti. Questa
seconda valutazione è finalizzata a definire il Progetto assistenziale integrato (PAI) e
a stabilire quali interventi gli anziani e i loro caregivers
possono ricevere fra quelli di responsabilità di regioni e comuni, sotto forma sia di
servizi (domiciliari, semi-residenziali o residenziali) che di contributi economici.
Diversi paiono i benefici del nuovo
assetto. Primo, l’utilizzo di un nuovo strumento valutativo oggettivo e
multidimensionale al livello nazionale permette, a differenza di quanto avviene oggi,
un’adeguata comprensione delle condizioni degli interessati. Secondo, viene semplificato
il percorso di anziani e famiglie perché si passa dalle cinque-sei valutazioni attuali,
tra nazionali e territoriali, a due soltanto. Terzo, mentre oggi questi diversi momenti
non sono collegati tra loro, i due previsti nel nuovo impianto lo sono e assicurano la
continuità del percorso di anziani e famiglie. Quarto, grazie all’introduzione della
VAMU, le UVM dei territori – a differenza di oggi – possono cominciare a operare
disponendo già delle informazioni concernenti la condizione dell’anziano e a
focalizzarsi così sulla progettazione degli interventi, il loro compito primario.
Quinto, a livello di programmazione, la VAMU permette – per la prima volta – di avere
profili di utenti comparabili tra le regioni, passaggio cruciale per la governance dello
SNAA. Tutto ciò detto, va messo in conto che risulterà piuttosto complesso tradurre la
nuova impostazione in pratica, semplificare il quadro delle attuali valutazioni e
attivare i processi e gli strumenti necessari per realizzare l’interscambio informativo
di collegamento tra le due sopraccitate.
Veniamo, infine, al livello
d’informazione e conoscenza. Le innovazioni prospettate non sono realizzabili senza il
supera¶{p. 196}mento dell’odierna frammentazione delle conoscenze
rilevanti tra molteplici sistemi informativi. In altre parole, non ci può essere un
sistema di risposte unitario in assenza di un sistema informativo unico. Pertanto, la
delega comprende l’adozione di un sistema nazionale di monitoraggio unitario dello SNAA,
che considera congiuntamente il complesso dei servizi e delle prestazioni forniti alle
persone anziane non-autosufficienti. Il monitoraggio si basa sull’integrazione dei
differenti sistemi informativi in vigore (cfr. supra, cap. 2).
Nell’insieme, le disposizioni
inserite per costruire un sistema unitario sono piuttosto complete perché attengono sia
alla dimensione macro della programmazione e del governo delle politiche sia a quella
micro, riferita all’esperienza di anziani e famiglie, strettamente interconnesse. Il
nuovo sistema informativo e di monitoraggio unitario, a sua volta, dovrebbe assicurare
la connessione tra le diverse parti del sistema.
5. Servizi e prestazioni
Venendo all’obiettivo di definire
opportuni modelli d’intervento, prendiamo in considerazione le tre misure che assorbono
gran parte delle risorse pubbliche dedicate: servizi domiciliari, indennità di
accompagnamento e servizi residenziali. Partendo dai primi, la delega introduce quel
modello di assistenza domiciliare specifico per la condizione di non-autosufficienza
dell’anziano sinora assente nel nostro paese. Oggi l’ADI (Assistenza domiciliare
integrata, di titolarità delle ASL), il servizio domiciliare più diffuso, eroga in
prevalenza singole prestazioni sanitarie per brevi periodi di tempo. L’ADI, infatti,
copre gli anziani perlopiù per 2-3 mesi, e con un’intensità
[4]
spesso modesta (in media 9 ore di infermiere e 6 di altre professioni
sanitarie in un anno; l’80% dei badanti riceve tra 1 e 3 accessi mensili); inoltre, si
traduce in prevalenza in singole prestazioni (in maggioranza infermieristiche). È un
servizio utile ma non pensato, per il suo stesso disegno istituzionale, per la
non-autosufficienza.
La riforma prevede, invece, una
nuova domiciliarità fondata su durata e intensità degli interventi adeguate ai bisogni
¶{p. 197}dell’anziano, la cui condizione di non-autosufficienza può
persistere per anni, portandolo non di rado ad avere necessità di assistenza con
continuità. La predisposizione di risposte integrate passa attraverso l’elaborazione
congiunta da parte di comuni e ASL. Infine, la complessità della non-autosufficienza
richiede sovente interventi articolati (multiprofessionali), con l’erogazione
contemporanea di diverse prestazioni, sociali e sanitarie, definite in base alle
condizioni dell’anziano e dei suoi familiari: oggi – come abbiamo già detto – spesso non
è così. L’indicazione della multiprofessionalità, però, manca nella legge delega e
dovrebbe essere recuperata nei decreti legislativi. In sintesi: i punti chiave del
cambiamento sono durata e intensità degli interventi e integrazione mentre il solo
elemento cardine assente è la multiprofessionalità.
L’indennità di accompagnamento, la
più diffusa provvidenza pubblica per la non-autosufficienza (assorbe il 44% della
spesa), è segnata da notevoli criticità e resta immutata dal 1980, anno della sua
introduzione. La delega la trasforma nella prestazione universale per la
non-autosufficienza, che conferma opportunamente l’universalismo dell’accesso: la
possibilità di riceverla continua a essere un diritto legato esclusivamente al bisogno
di assistenza, qualunque sia la condizione economica del richiedente.
Cambia, invece, la modalità di
calcolo dell’importo: nell’indennità è uguale per tutti (531 euro mensili), caso unico
in Europa [Gori e Morciano 2019], mentre con la prestazione viene graduato secondo il
livello di fabbisogno assistenziale, affinché chi ha maggiori necessità possa ricevere
cifre più elevate; l’ammontare minimo garantito è quello dell’indennità di
accompagnamento. L’introduzione della graduazione incrementa l’equità, prevedendo
risposte diverse per bisogni diversi, mentre lo stesso non si può dire per la scelta di
fissare l’importo base al livello di quello dell’indennità, impedendo di erogare cifre minori
[5]
. Infatti, poiché i fondi non sono mai infiniti, dare di più a qualcuno
comporta dare meno, o nulla, ad altri. Imporre questo ammontare minimo, dunque,
significa decidere a priori di rinunciare a raggiungere persone con livelli più bassi di
fabbi¶{p. 198}sogno assistenziale, che potrebbero ricevere importi
minori. Un ulteriore aspetto critico risiede nella graduazione dell’ammontare
esclusivamente in base al bisogno assistenziale e non anche alle condizioni economiche
del beneficiario, come pure – una volta assicurato l’universalismo all’accesso – avrebbe
suggerito un criterio di equità. Complessivamente, l’abbandono della cifra fissa per
tutti è stato positivo mentre sull’articolazione degli importi si poteva fare di più.
Con riferimento all’utilizzo della
prestazione, i beneficiari possono scegliere tra due opzioni: un contributo economico
senza vincoli d’uso, come oggi, oppure la fruizione di servizi alla persona (svolti sia
in forma organizzata da prestatori di servizi di cura, ad esempio cooperative
accreditate, sia in forma individuale da assistenti familiari regolarmente assunte).
Questa seconda alternativa comporta una maggiorazione dell’importo ricevuto. Lo Stato,
quindi, mantiene la libertà di scelta degli utenti sull’utilizzo delle risorse ricevute
e, allo stesso tempo, incentiva la soluzione che ritiene più appropriata, quella dei
servizi alla persona. L’attuale assetto, invece, lascia la completa responsabilità
dell’organizzazione della cura ai beneficiari, indipendentemente dalla disponibilità di
aiuti familiari o di servizi pubblici. La prestazione promuove in tal modo una rete di
interventi che permetta ai cittadini di accedere a servizi domiciliari o residenziali di
tipo professionale, oppure di remunerare assistenti familiari regolarmente assunte. Si
cerca così di attaccare quella «monetizzazione» delle risposte che rappresenta
storicamente un limite di fondo del welfare italiano [Brugiavini et
al. 2017].
Pur rimanendo necessari alcuni
aggiustamenti, dunque, per servizi domiciliari e indennità la via del cambiamento è
stata tracciata. Da un lato, una nuova domiciliarità pensata per la non-autosufficienza
e, dall’altro, la trasformazione in prestazione universale, differenziando gli importi e
promuovendo l’utilizzo di servizi alla persona. Per i servizi residenziali, invece,
manca ancora un progetto strategico, inteso come una direzione di sviluppo per il paese
declinata nei suoi assi portanti, che è quanto mai indispensabile. Il testo della legge
delega, tuttavia, crea lo spazio per occuparsene nei decreti legislativi dal momento che
indica la necessità di agire su dotazione di personale (commisurandola alle esigenze
degli anziani residenti), compe
¶{p. 199}tenze (affinché siano adatte ai
profili degli anziani ospitati, sempre più problematici, in particolare per i tanti
ospiti con demenza) e ambienti di vita delle residenze (il tema degli standard
strutturali e costruttivi), cioè le principali leve da muovere per rafforzare il settore
[Da Col, Trimarchi e Volpe 2023]. Detto altrimenti, sulla residenzialità non c’è una
strategia bensì l’indicazione di agire sui temi fondamentali per darle corpo.