Cecilia Tomassini, Marco Albertini, Carlo Lallo (a cura di)
Avanzare insieme nella società anziana
DOI: 10.1401/9788815413086/c9
Cominciando dal primo obiettivo, vediamo come viene tradotto a livello macro. Si introduce il Sistema nazionale per la popolazione anziana non-autosufficiente (SNAA) quale modalità organizzativa permanente per il governo unitario e la realizzazione congiunta di tutte le misure di natura pubblica – di Stato, Regioni e Comuni – dedicate all’assistenza degli anziani, che mantengono le titolarità esistenti. Si mira così a ricomporre la frammentazione in direzione di un assetto organico, pur lasciando distinte le responsabilità tra sociale, sanità e trasferimenti monetari. In sintesi, i soggetti rimangono separati ma si vogliono creare tutte le condizioni possibili per permettere loro di governare e realizzare congiuntamente il complesso delle risposte. La governance dello SNAA si basa su organismi unitari che mettono insieme – a livello statale, regionale e territoriale – i diversi attori istituzionali coinvolti nella non-autosufficienza e sono incaricati della programmazione integrata di tutte le misure di responsabilità pubblica. Pertanto, l’uso delle diverse risorse viene programmato congiuntamente a ogni livello
{p. 194}di governo, attraverso piani triennali con aggiornamenti annuali (nazionale, regionale, locale).
L’organismo nazionale deputato è il nuovo Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana (CIPA), presieduto dal presidente del Consiglio e composto dai ministri competenti. È la prima volta che esiste un soggetto unico statale incaricato di coordinare il settore nel suo complesso. Il CIPA predispone il «Piano nazionale per l’assistenza e la cura della popolazione anziana non-autosufficiente», punto di riferimento del nuovo sistema programmatorio. Tra le sue responsabilità figurano anche il nuovo sistema di monitoraggio unitario e l’integrazione dei sistemi informativi alla base, discussi oltre. Al CIPA corrispondono, come anticipato, organismi equivalenti a livello regionale e territoriale.
Lo SNAA prova a coniugare ambizione e realismo. L’ambizione è quella di edificare un sistema unitario e integrato per la non-autosufficienza, come avvenuto in tutte le riforme estere [Rothgang et al. 2020]; la portata di un simile cambiamento – paragonato alla situazione attuale – non può certo essere sottovalutata. Il realismo consiste nello scartare le ipotesi di complessa ingegneria istituzionale tese a trasferire le attuali competenze di sociale, sanità e INPS a un unico – nuovo – settore delle politiche pubbliche appositamente costituito, opzione che non pare realisticamente praticabile.
Il buon esito di questa soluzione «ibrida» dipenderà dall’attuazione. Infatti, esiste il rischio che l’introduzione dello SNAA si risolva soprattutto in un appesantimento per i soggetti coinvolti (dovuto ai maggiori oneri procedurali connessi alla nuova sovrastruttura istituzionale e al nuovo impianto programmatorio), con uno scarso impatto reale sul welfare per la non-autosufficienza. Se così fosse, peraltro, gli attori interessati sarebbero spinti a non investire sul nuovo sistema, limitandosi a un’applicazione meramente burocratica.
A livello micro, le principali novità riguardano le valutazioni della condizione dell’anziano, che determinano gli interventi da ricevere. Lo Stato è responsabile della nuova Valutazione multidimensionale unificata (VAMU), che ingloba le diverse valutazioni oggi esistenti per beneficiare delle prestazioni nazionali (indennità di accompagnamento, legge 104/92, invalidità civile). La VAMU è realizzata con uno strumento valutativo di ultima {p. 195}generazione, multidimensionale e standardizzato, informatizzato, in grado di cogliere pienamente la situazione dell’anziano, contrariamente a quelli statali attualmente in uso, poco adatti allo scopo. In base alla VAMU si definisce di quali misure, fra quelle di responsabilità dello Stato, gli anziani e i loro caregivers possono usufruire.
Regioni e comuni sono titolari delle Unità di valutazione multidimensionale (UVM) territoriali, che compiono la propria valutazione – a differenza di quanto accade oggi – partendo dalle informazioni già raccolte con la VAMU e integrandole come necessario per i loro specifici compiti. Questa seconda valutazione è finalizzata a definire il Progetto assistenziale integrato (PAI) e a stabilire quali interventi gli anziani e i loro caregivers possono ricevere fra quelli di responsabilità di regioni e comuni, sotto forma sia di servizi (domiciliari, semi-residenziali o residenziali) che di contributi economici.
Diversi paiono i benefici del nuovo assetto. Primo, l’utilizzo di un nuovo strumento valutativo oggettivo e multidimensionale al livello nazionale permette, a differenza di quanto avviene oggi, un’adeguata comprensione delle condizioni degli interessati. Secondo, viene semplificato il percorso di anziani e famiglie perché si passa dalle cinque-sei valutazioni attuali, tra nazionali e territoriali, a due soltanto. Terzo, mentre oggi questi diversi momenti non sono collegati tra loro, i due previsti nel nuovo impianto lo sono e assicurano la continuità del percorso di anziani e famiglie. Quarto, grazie all’introduzione della VAMU, le UVM dei territori – a differenza di oggi – possono cominciare a operare disponendo già delle informazioni concernenti la condizione dell’anziano e a focalizzarsi così sulla progettazione degli interventi, il loro compito primario. Quinto, a livello di programmazione, la VAMU permette – per la prima volta – di avere profili di utenti comparabili tra le regioni, passaggio cruciale per la governance dello SNAA. Tutto ciò detto, va messo in conto che risulterà piuttosto complesso tradurre la nuova impostazione in pratica, semplificare il quadro delle attuali valutazioni e attivare i processi e gli strumenti necessari per realizzare l’interscambio informativo di collegamento tra le due sopraccitate.
Veniamo, infine, al livello d’informazione e conoscenza. Le innovazioni prospettate non sono realizzabili senza il supera{p. 196}mento dell’odierna frammentazione delle conoscenze rilevanti tra molteplici sistemi informativi. In altre parole, non ci può essere un sistema di risposte unitario in assenza di un sistema informativo unico. Pertanto, la delega comprende l’adozione di un sistema nazionale di monitoraggio unitario dello SNAA, che considera congiuntamente il complesso dei servizi e delle prestazioni forniti alle persone anziane non-autosufficienti. Il monitoraggio si basa sull’integrazione dei differenti sistemi informativi in vigore (cfr. supra, cap. 2).
Nell’insieme, le disposizioni inserite per costruire un sistema unitario sono piuttosto complete perché attengono sia alla dimensione macro della programmazione e del governo delle politiche sia a quella micro, riferita all’esperienza di anziani e famiglie, strettamente interconnesse. Il nuovo sistema informativo e di monitoraggio unitario, a sua volta, dovrebbe assicurare la connessione tra le diverse parti del sistema.

5. Servizi e prestazioni

Venendo all’obiettivo di definire opportuni modelli d’intervento, prendiamo in considerazione le tre misure che assorbono gran parte delle risorse pubbliche dedicate: servizi domiciliari, indennità di accompagnamento e servizi residenziali. Partendo dai primi, la delega introduce quel modello di assistenza domiciliare specifico per la condizione di non-autosufficienza dell’anziano sinora assente nel nostro paese. Oggi l’ADI (Assistenza domiciliare integrata, di titolarità delle ASL), il servizio domiciliare più diffuso, eroga in prevalenza singole prestazioni sanitarie per brevi periodi di tempo. L’ADI, infatti, copre gli anziani perlopiù per 2-3 mesi, e con un’intensità [4]
spesso modesta (in media 9 ore di infermiere e 6 di altre professioni sanitarie in un anno; l’80% dei badanti riceve tra 1 e 3 accessi mensili); inoltre, si traduce in prevalenza in singole prestazioni (in maggioranza infermieristiche). È un servizio utile ma non pensato, per il suo stesso disegno istituzionale, per la non-autosufficienza.
La riforma prevede, invece, una nuova domiciliarità fondata su durata e intensità degli interventi adeguate ai bisogni {p. 197}dell’anziano, la cui condizione di non-autosufficienza può persistere per anni, portandolo non di rado ad avere necessità di assistenza con continuità. La predisposizione di risposte integrate passa attraverso l’elaborazione congiunta da parte di comuni e ASL. Infine, la complessità della non-autosufficienza richiede sovente interventi articolati (multiprofessionali), con l’erogazione contemporanea di diverse prestazioni, sociali e sanitarie, definite in base alle condizioni dell’anziano e dei suoi familiari: oggi – come abbiamo già detto – spesso non è così. L’indicazione della multiprofessionalità, però, manca nella legge delega e dovrebbe essere recuperata nei decreti legislativi. In sintesi: i punti chiave del cambiamento sono durata e intensità degli interventi e integrazione mentre il solo elemento cardine assente è la multiprofessionalità.
L’indennità di accompagnamento, la più diffusa provvidenza pubblica per la non-autosufficienza (assorbe il 44% della spesa), è segnata da notevoli criticità e resta immutata dal 1980, anno della sua introduzione. La delega la trasforma nella prestazione universale per la non-autosufficienza, che conferma opportunamente l’universalismo dell’accesso: la possibilità di riceverla continua a essere un diritto legato esclusivamente al bisogno di assistenza, qualunque sia la condizione economica del richiedente.
Cambia, invece, la modalità di calcolo dell’importo: nell’indennità è uguale per tutti (531 euro mensili), caso unico in Europa [Gori e Morciano 2019], mentre con la prestazione viene graduato secondo il livello di fabbisogno assistenziale, affinché chi ha maggiori necessità possa ricevere cifre più elevate; l’ammontare minimo garantito è quello dell’indennità di accompagnamento. L’introduzione della graduazione incrementa l’equità, prevedendo risposte diverse per bisogni diversi, mentre lo stesso non si può dire per la scelta di fissare l’importo base al livello di quello dell’indennità, impedendo di erogare cifre minori [5]
. Infatti, poiché i fondi non sono mai infiniti, dare di più a qualcuno comporta dare meno, o nulla, ad altri. Imporre questo ammontare minimo, dunque, significa decidere a priori di rinunciare a raggiungere persone con livelli più bassi di fabbi{p. 198}sogno assistenziale, che potrebbero ricevere importi minori. Un ulteriore aspetto critico risiede nella graduazione dell’ammontare esclusivamente in base al bisogno assistenziale e non anche alle condizioni economiche del beneficiario, come pure – una volta assicurato l’universalismo all’accesso – avrebbe suggerito un criterio di equità. Complessivamente, l’abbandono della cifra fissa per tutti è stato positivo mentre sull’articolazione degli importi si poteva fare di più.
Con riferimento all’utilizzo della prestazione, i beneficiari possono scegliere tra due opzioni: un contributo economico senza vincoli d’uso, come oggi, oppure la fruizione di servizi alla persona (svolti sia in forma organizzata da prestatori di servizi di cura, ad esempio cooperative accreditate, sia in forma individuale da assistenti familiari regolarmente assunte). Questa seconda alternativa comporta una maggiorazione dell’importo ricevuto. Lo Stato, quindi, mantiene la libertà di scelta degli utenti sull’utilizzo delle risorse ricevute e, allo stesso tempo, incentiva la soluzione che ritiene più appropriata, quella dei servizi alla persona. L’attuale assetto, invece, lascia la completa responsabilità dell’organizzazione della cura ai beneficiari, indipendentemente dalla disponibilità di aiuti familiari o di servizi pubblici. La prestazione promuove in tal modo una rete di interventi che permetta ai cittadini di accedere a servizi domiciliari o residenziali di tipo professionale, oppure di remunerare assistenti familiari regolarmente assunte. Si cerca così di attaccare quella «monetizzazione» delle risposte che rappresenta storicamente un limite di fondo del welfare italiano [Brugiavini et al. 2017].
Pur rimanendo necessari alcuni aggiustamenti, dunque, per servizi domiciliari e indennità la via del cambiamento è stata tracciata. Da un lato, una nuova domiciliarità pensata per la non-autosufficienza e, dall’altro, la trasformazione in prestazione universale, differenziando gli importi e promuovendo l’utilizzo di servizi alla persona. Per i servizi residenziali, invece, manca ancora un progetto strategico, inteso come una direzione di sviluppo per il paese declinata nei suoi assi portanti, che è quanto mai indispensabile. Il testo della legge delega, tuttavia, crea lo spazio per occuparsene nei decreti legislativi dal momento che indica la necessità di agire su dotazione di personale (commisurandola alle esigenze degli anziani residenti), compe
{p. 199}tenze (affinché siano adatte ai profili degli anziani ospitati, sempre più problematici, in particolare per i tanti ospiti con demenza) e ambienti di vita delle residenze (il tema degli standard strutturali e costruttivi), cioè le principali leve da muovere per rafforzare il settore [Da Col, Trimarchi e Volpe 2023]. Detto altrimenti, sulla residenzialità non c’è una strategia bensì l’indicazione di agire sui temi fondamentali per darle corpo.
Note
[4] Numero di visite a domicilio per utente.
[5] Ci si riferisce agli utenti del futuro, per quelli attuali sarebbero comunque stati validi i diritti acquisiti, come sempre accade.