Cecilia Tomassini, Marco Albertini, Carlo Lallo (a cura di)
Avanzare insieme nella società anziana
DOI: 10.1401/9788815413086/c5
La dimensione della ricchezza familiare si sovrappone solo parzialmente con quella del reddito. Se da un lato la ricchezza finanziaria può rappresentare una sorta di reddito di riserva con cui acquistare servizi di cura, la ricchezza reale – soprattutto nella forma della proprietà della casa di residenza – non può essere altrettanto facilmente e velocemente liquidata per acquistare servizi di cura e, in presenza di politiche basate sulla prova dei mezzi, può rappresentare addirittura una barriera all’accesso ai servizi di cura forniti da istituzioni pubbliche.
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Lo studio di Albertini e Pavolini suggerisce come le famiglie più ricche, ovvero quelle collocate nel quintile più alto della distribuzione nazionale della ricchezza finanziaria, ricorrano maggiormente a cure formali. Tuttavia, l’associazione non risulta essere statisticamente significativa.
Nello studio di Floridi e colleghi i risultati evidenziano che i soggetti con maggiore ricchezza hanno maggiori probabilità di accedere esclusivamente a cure formali. Le autrici della ricerca mostrano inoltre che, nelle regioni con un numero ridotto di letti per le cure di lungo termine, i soggetti più ricchi hanno maggiori probabilità di accedere a forme miste di cura, mentre nelle regioni con un numero elevato di letti il gradiente diventa a favore dei soggetti più poveri. Tali risultati sono robusti alle diverse specificazioni dei modelli.
Alcuni degli studi inclusi in questa rassegna usano anche indicatori di ricchezza che si riferiscono alla componente di ricchezza reale. Ad esempio, lo studio di Broese Van Groenou e colleghi trova che i soggetti privi della proprietà della casa mostrano maggiori probabilità di ricevere cure informali da soggetti esterni alla famiglia convivente.
Nel lavoro di Tomassini e colleghi emerge che essere proprietari di casa ha un’associazione negativa col ricevere aiuto privato a pagamento, e una positiva, ma non statisticamente significativa, con il ricevere aiuto da parte dei familiari conviventi.
Nello studio di Albertini e Pavolini la proprietà della casa non mostra alcuna associazione statisticamente significativa con il ricevere cure formali, per quanto il segno del coefficiente sia negativo e suggerisca dunque una minore propensione degli anziani proprietari di immobili alla ricezione di cure formali. A conclusioni simili giunge anche lo studio di Floridi e colleghi: gli individui che non sono proprietari di un’abitazione hanno minori probabilità di avere accesso esclusivamente a cure formali; non emerge invece alcuna associazione statisticamente significativa tra questa condizione e l’accesso esclusivo a cure informali o l’accesso a cure miste.
Nel modello base stimato nello studio di Floridi e colleghi emerge anche che gli individui che possiedono un’automobile hanno minori probabilità, rispetto a quelli che non la possiedono, di accedere a qualsiasi tipo di cura, sia essa esclusivamente informale, esclusivamente formale, o un misto delle due. {p. 122}Tale associazione risulta essere particolarmente forte quando si considera l’accesso esclusivo a cure formali. Nel modello che include gli effetti fissi per paese, tale associazione diventa ancora più marcata, e assume significatività statistica anche nel caso dell’accesso a forme miste di cura come variabile dipendente. Considerati congiuntamente, questi due risultati raggiunti da Floridi e colleghi sembrano confermare come una minore disponibilità di risorse economiche e materiali sia associata a un minor ricorso in generale a cure, siano esse formali, informali o miste.

7. Stratificazione sociale e accesso a cure formali e informali in età anziana in Italia

Nel contesto del fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, molti studi si sono concentrati sulla (crescente) distanza tra necessità e risorse di cure di lungo termine, sia a livello individuale che sociale. Meno attenzione, invece, è stata dedicata ad analizzare gli aspetti distributivi di questa scarsità di servizi di cura in Italia. Se, ai fini di rispondere alla crescente domanda, è importante capire quanto le risorse di cura potranno essere aumentate o diversamente organizzate, allo stesso tempo è altrettanto rilevante capire in che misura e modo l’accesso alle cure di lungo termine sia associato alle disuguaglianze socio-economiche preesistenti.
Dal punto di vista sostanziale quello che emerge con chiarezza è che l’istruzione, oltre a essere la caratteristica studiata più frequentemente, è anche la dimensione più rilevante nel determinare i diversi livelli di accesso alle cure di lungo termine, formali e informali. Analizzando i risultati riportati dagli studi inclusi in questa rassegna, si può affermare che in Italia esiste una relazione positiva tra l’istruzione dell’individuo anziano e la probabilità che riceva aiuto a pagamento. La relazione tra istruzione e cure fornite dai servizi pubblici è invece meno chiara. Anche rispetto all’aiuto informale il ruolo dell’istruzione non emerge con chiarezza: il segno della relazione è sempre negativo – con eccezione dello studio di Floridi e colleghi – ma quasi mai i coefficienti risultano statisticamente significativi. Per quanto riguarda il reddito, l’associazione con le cure ricevute {p. 123}risulta statisticamente significativa in pochissimi casi. Si osserva una relazione positiva con la probabilità di ricevere aiuti di cura formale negli studi di Albertini e Pavolini e di Balia e Brau, che tuttavia non distinguono tra servizi pubblici e privati, questi ultimi pagati dalle famiglie. Inoltre, nello studio di Balia e Brau viene riportata una relazione negativa tra reddito e aiuto informale. Infine, la ricchezza familiare risulta essere negativamente e significativamente associata alle cure formali solo quando è riferita alla proprietà di un’abitazione o di un’auto. I risultati relativi alla relazione tra aiuto informale e ricchezza sono invece di più difficile lettura: questo tipo di aiuto è relazionato negativamente con la ricchezza netta familiare e con il vivere in un’area urbana centrale non periferica, ma positivamente con la proprietà della casa di residenza.
Letti nel loro insieme questi risultati suggeriscono che, nell’attuale contesto istituzionale e demografico che caratterizza l’Italia, è l’istruzione il fattore che più influisce sull’accesso alle cure formali di lungo termine. La rilevanza del capitale umano e sociale delle persone anziane, pertanto, risulta maggiore di quella delle risorse economiche in loro possesso. Relativamente a queste ultime risorse, peraltro, va notato che il possesso dell’abitazione di residenza – un tipo di ricchezza che incide molto sul portafoglio delle persone anziane e, quindi, anche sul loro ISEE – è negativamente associato con la probabilità di accedere ai servizi pubblici di cura e, allo stesso tempo, pare rappresentare un vantaggio in termini di accesso alle cure a pagamento. Un’ultima utile indicazione di policy che può essere tratta da questa rassegna è che la frequente assunzione che chi ha meno risorse economiche «compensa» con un maggiore accesso alle cure informali non trova un esaustivo riscontro nella ricerca esistente.
Oltre agli aspetti sostanziali, la revisione ha permesso di mettere in luce la rilevanza di una serie di questioni di tipo metodologico. È importante innanzitutto evidenziare la grande eterogeneità di definizioni e relative operazionalizzazioni delle variabili relative alla cura formale o informale, emersa da questa rassegna. L’aiuto di cura informale viene quasi sempre fatto coincidere con l’aiuto ricevuto da familiari, parenti o persone della rete amicale [1]
. All’interno di queste varie fonti di aiuti le {p. 124}due principali distinzioni che vengono operate sono quelle: a) tra aiuto ricevuto da conviventi vs da non conviventi e b) l’eventuale rapporto di parentela tra chi dà e riceve aiuto. Un’informazione che invece risulta assente è quella relativa all’eventuale compenso del caregiver informale o se quest’ultimo abbia qualche responsabilità/controllo nella gestione dei trasferimenti monetari eventualmente ricevuti dal carereceiver. Tale mancanza nella letteratura colpisce particolarmente se si pensa alla discussione di policy circa i potenziali incentivi e/o distorsioni che istituti quali l’indennità di accompagnamento o l’assegno di cura possono avere nei confronti del mercato del lavoro dei caregivers. Nella definizione e operazionalizzazione dell’aiuto formale si trova un’eterogeneità ancora maggiore. Da un lato si definisce spesso come formale l’aiuto fornito da un «caregiver professionale» o comunque un individuo che fornisce aiuto di cura dietro compenso economico, senza però individuare eventuali legami di amicizia o parentali con lo stesso; dall’altro, in alcuni studi, l’aiuto formale viene definito come accesso a servizi, pubblici o privati, quali pasti a domicilio, cure a domicilio o accesso alle strutture residenziali (nursing homes) o anche ai servizi sanitari veri e propri (ad es. ospedalizzazione). Non sempre quindi vi è chiarezza nella distinzione tra servizi di cura di lungo termine e che cure sanitarie. Similmente, non sempre esiste una chiara distinzione tra l’accesso a servizi pubblici/in convenzione gratuiti o in co-pagamento, e l’accesso a servizi privati interamente a carico di chi riceve cura. Infine, va notato che spesso non emerge con chiarezza il ruolo di attori del Terzo settore o del volontariato che, quindi, forniscono cure non sulla base di diritti stabiliti dalle politiche vigenti, ma su una base di autorganizzazione a livello di comunità locale (secondo la definizione di OCSE, peraltro, questi ultimi aiuti potrebbero essere classificati come cure informali).
Da questa breve rassegna appare quindi evidente una serie di importanti punti di attenzione per le future ricerche sul tema dell’accesso alle cure di lungo termine in Italia. Innanzitutto, vista l’esiguità del numero degli studi esistenti, è del tutto evidente che – in generale – occorre prestare maggiore attenzione {p. 125}all’esame degli aspetti di stratificazione nell’accesso alle cure in età anziana. Non accedere ai servizi di cura formali, o accedervi in maniera insufficiente o tardiva, rappresenta non solo un forte svantaggio per le persone anziane e la rete dei caregivers informali che si occupano di loro, ma anche un’ennesima forma di svantaggio sociale che si somma alle fragilità socio-economiche preesistenti.
Una seconda importante indicazione che emerge dalla revisione qui proposta è che gli istituti demoscopici – pubblici o privati – così come i gruppi di ricerca, devono aumentare gli sforzi per giungere a definizioni e operazionalizzazioni condivise dei fenomeni e processi oggetto di indagine. L’accumulo di evidenza e conoscenza è possibile, infatti, solo all’interno di un contesto di ricerca in cui i risultati dei diversi studi abbiano un grado di comparabilità ben più elevato di quello fin qui riscontrato. In questo senso il primo capitolo di questo volume rappresenta uno sforzo significativo nella direzione dell’adozione di un quadro teorico e definitorio comune. Allo sforzo definitorio deve chiaramente seguire anche un maggiore investimento nella raccolta dei dati e informazioni rilevanti, e nella frequenza con cui questi vengono raccolti.
Infine, terzo punto di attenzione, le ricerche future su questo tema non potranno prescindere dal considerare nuove dimensioni di disuguaglianza individuale, ad oggi poco esplorate nella letteratura sulla stratificazione dell’accesso alle cure ma di crescente rilevanza. Si consideri ad esempio lo status migratorio, che rappresenta un fattore determinante nel predire i livelli di salute individuali [Cantu et al. 2013]. In questo senso è stato evidenziato come gli individui con background migratorio mettano generalmente in pratica diversi modelli di relazioni intergenerazionali [Albertini e Mantovani 2022], che a loro volta possono portare a una diversa propensione a ricorrere a forme di cura formali e informali. Un’altra importante dimensione di stratificazione nell’accesso alle cure di lungo termine in età anziana è rappresentata dall’accesso alla tecnologia: soprattutto alla luce del crescente numero e rilevanza di strumenti tecnologici per il mantenimento e il miglioramento della propria salute e della qualità della propria vita in età anziana, o anche banalmente per l’accesso alla propria cartella sanitaria e alle prestazioni sanitarie su prenotazione [Schulz et al. 2015].
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Note
[1] Per una discussione sistematica della definizione di caregiver informale utilizzata da diverse fonti di dati e istituzioni internazionali si veda Tur-Sinai et al. [2020].