Avanzare insieme nella società anziana
DOI: 10.1401/9788815413086/c5
La dimensione della ricchezza
familiare si sovrappone solo parzialmente con quella del reddito. Se da un lato la
ricchezza finanziaria può rappresentare una sorta di reddito di riserva con cui
acquistare servizi di cura, la ricchezza reale – soprattutto nella forma della proprietà
della casa di residenza – non può essere altrettanto facilmente e velocemente liquidata
per acquistare servizi di cura e, in presenza di politiche basate sulla prova dei mezzi,
può rappresentare addirittura una barriera all’accesso ai servizi di cura forniti da
istituzioni pubbliche.
¶{p. 121}
Lo studio di Albertini e Pavolini
suggerisce come le famiglie più ricche, ovvero quelle collocate nel quintile più alto
della distribuzione nazionale della ricchezza finanziaria, ricorrano maggiormente a cure
formali. Tuttavia, l’associazione non risulta essere statisticamente significativa.
Nello studio di Floridi e colleghi
i risultati evidenziano che i soggetti con maggiore ricchezza hanno maggiori probabilità
di accedere esclusivamente a cure formali. Le autrici della ricerca mostrano inoltre
che, nelle regioni con un numero ridotto di letti per le cure di lungo termine, i
soggetti più ricchi hanno maggiori probabilità di accedere a forme miste di cura, mentre
nelle regioni con un numero elevato di letti il gradiente diventa a favore dei soggetti
più poveri. Tali risultati sono robusti alle diverse specificazioni dei modelli.
Alcuni degli studi inclusi in
questa rassegna usano anche indicatori di ricchezza che si riferiscono alla componente
di ricchezza reale. Ad esempio, lo studio di Broese Van Groenou e
colleghi trova che i soggetti privi della proprietà della casa mostrano maggiori
probabilità di ricevere cure informali da soggetti esterni alla famiglia convivente.
Nel lavoro di Tomassini e colleghi
emerge che essere proprietari di casa ha un’associazione negativa col ricevere aiuto
privato a pagamento, e una positiva, ma non statisticamente significativa, con il
ricevere aiuto da parte dei familiari conviventi.
Nello studio di Albertini e
Pavolini la proprietà della casa non mostra alcuna associazione statisticamente
significativa con il ricevere cure formali, per quanto il segno del coefficiente sia
negativo e suggerisca dunque una minore propensione degli anziani proprietari di
immobili alla ricezione di cure formali. A conclusioni simili giunge anche lo studio di
Floridi e colleghi: gli individui che non sono proprietari di un’abitazione hanno minori
probabilità di avere accesso esclusivamente a cure formali; non emerge invece alcuna
associazione statisticamente significativa tra questa condizione e l’accesso esclusivo a
cure informali o l’accesso a cure miste.
Nel modello base stimato nello
studio di Floridi e colleghi emerge anche che gli individui che possiedono un’automobile
hanno minori probabilità, rispetto a quelli che non la possiedono, di accedere a
qualsiasi tipo di cura, sia essa esclusivamente informale, esclusivamente formale, o un
misto delle due. ¶{p. 122}Tale associazione risulta essere
particolarmente forte quando si considera l’accesso esclusivo a cure formali. Nel
modello che include gli effetti fissi per paese, tale associazione diventa ancora più
marcata, e assume significatività statistica anche nel caso dell’accesso a forme miste
di cura come variabile dipendente. Considerati congiuntamente, questi due risultati
raggiunti da Floridi e colleghi sembrano confermare come una minore disponibilità di
risorse economiche e materiali sia associata a un minor ricorso in generale a cure,
siano esse formali, informali o miste.
7. Stratificazione sociale e accesso a cure formali e informali in età anziana in Italia
Nel contesto del fenomeno
dell’invecchiamento della popolazione, molti studi si sono concentrati sulla (crescente)
distanza tra necessità e risorse di cure di lungo termine, sia a livello individuale che
sociale. Meno attenzione, invece, è stata dedicata ad analizzare gli aspetti
distributivi di questa scarsità di servizi di cura in Italia. Se, ai fini di rispondere
alla crescente domanda, è importante capire quanto le risorse di cura potranno essere
aumentate o diversamente organizzate, allo stesso tempo è altrettanto rilevante capire
in che misura e modo l’accesso alle cure di lungo termine sia associato alle
disuguaglianze socio-economiche preesistenti.
Dal punto di vista sostanziale
quello che emerge con chiarezza è che l’istruzione, oltre a essere la caratteristica
studiata più frequentemente, è anche la dimensione più rilevante nel determinare i
diversi livelli di accesso alle cure di lungo termine, formali e informali. Analizzando
i risultati riportati dagli studi inclusi in questa rassegna, si può affermare che in
Italia esiste una relazione positiva tra l’istruzione dell’individuo anziano e la
probabilità che riceva aiuto a pagamento. La relazione tra istruzione e cure fornite dai
servizi pubblici è invece meno chiara. Anche rispetto all’aiuto informale il ruolo
dell’istruzione non emerge con chiarezza: il segno della relazione è sempre negativo –
con eccezione dello studio di Floridi e colleghi – ma quasi mai i coefficienti risultano
statisticamente significativi. Per quanto riguarda il reddito, l’associazione con le
cure ricevute ¶{p. 123}risulta statisticamente significativa in
pochissimi casi. Si osserva una relazione positiva con la probabilità di ricevere aiuti
di cura formale negli studi di Albertini e Pavolini e di Balia e Brau, che tuttavia non
distinguono tra servizi pubblici e privati, questi ultimi pagati dalle famiglie.
Inoltre, nello studio di Balia e Brau viene riportata una relazione negativa tra reddito
e aiuto informale. Infine, la ricchezza familiare risulta essere negativamente e
significativamente associata alle cure formali solo quando è riferita alla proprietà di
un’abitazione o di un’auto. I risultati relativi alla relazione tra aiuto informale e
ricchezza sono invece di più difficile lettura: questo tipo di aiuto è relazionato
negativamente con la ricchezza netta familiare e con il vivere in un’area urbana
centrale non periferica, ma positivamente con la proprietà della casa di residenza.
Letti nel loro insieme questi
risultati suggeriscono che, nell’attuale contesto istituzionale e demografico che
caratterizza l’Italia, è l’istruzione il fattore che più influisce sull’accesso alle
cure formali di lungo termine. La rilevanza del capitale umano e sociale delle persone
anziane, pertanto, risulta maggiore di quella delle risorse economiche in loro possesso.
Relativamente a queste ultime risorse, peraltro, va notato che il possesso
dell’abitazione di residenza – un tipo di ricchezza che incide molto sul portafoglio
delle persone anziane e, quindi, anche sul loro ISEE – è negativamente associato con la
probabilità di accedere ai servizi pubblici di cura e, allo stesso tempo, pare
rappresentare un vantaggio in termini di accesso alle cure a pagamento. Un’ultima utile
indicazione di policy che può essere tratta da questa rassegna è che la frequente
assunzione che chi ha meno risorse economiche «compensa» con un maggiore accesso alle
cure informali non trova un esaustivo riscontro nella ricerca esistente.
Oltre agli aspetti sostanziali, la
revisione ha permesso di mettere in luce la rilevanza di una serie di questioni di tipo
metodologico. È importante innanzitutto evidenziare la grande eterogeneità di
definizioni e relative operazionalizzazioni delle variabili relative alla cura formale o
informale, emersa da questa rassegna. L’aiuto di cura informale viene quasi sempre fatto
coincidere con l’aiuto ricevuto da familiari, parenti o persone della rete amicale
[1]
. All’interno di queste varie fonti di aiuti le ¶{p. 124}due
principali distinzioni che vengono operate sono quelle: a) tra
aiuto ricevuto da conviventi vs da non conviventi e
b) l’eventuale rapporto di parentela tra chi dà e riceve aiuto.
Un’informazione che invece risulta assente è quella relativa all’eventuale compenso del
caregiver informale o se quest’ultimo abbia qualche
responsabilità/controllo nella gestione dei trasferimenti monetari eventualmente
ricevuti dal carereceiver. Tale mancanza nella letteratura colpisce
particolarmente se si pensa alla discussione di policy circa i potenziali incentivi e/o
distorsioni che istituti quali l’indennità di accompagnamento o l’assegno di cura
possono avere nei confronti del mercato del lavoro dei caregivers.
Nella definizione e operazionalizzazione dell’aiuto formale si trova un’eterogeneità
ancora maggiore. Da un lato si definisce spesso come formale l’aiuto fornito da un
«caregiver professionale» o comunque un individuo che fornisce
aiuto di cura dietro compenso economico, senza però individuare eventuali legami di
amicizia o parentali con lo stesso; dall’altro, in alcuni studi, l’aiuto formale viene
definito come accesso a servizi, pubblici o privati, quali pasti a domicilio, cure a
domicilio o accesso alle strutture residenziali (nursing homes) o
anche ai servizi sanitari veri e propri (ad es. ospedalizzazione). Non sempre quindi vi
è chiarezza nella distinzione tra servizi di cura di lungo termine e che cure sanitarie.
Similmente, non sempre esiste una chiara distinzione tra l’accesso a servizi pubblici/in
convenzione gratuiti o in co-pagamento, e l’accesso a servizi privati interamente a
carico di chi riceve cura. Infine, va notato che spesso non emerge con chiarezza il
ruolo di attori del Terzo settore o del volontariato che, quindi, forniscono cure non
sulla base di diritti stabiliti dalle politiche vigenti, ma su una
base di autorganizzazione a livello di comunità locale (secondo la definizione di OCSE,
peraltro, questi ultimi aiuti potrebbero essere classificati come cure informali).
Da questa breve rassegna appare
quindi evidente una serie di importanti punti di attenzione per le future ricerche sul
tema dell’accesso alle cure di lungo termine in Italia. Innanzitutto, vista l’esiguità
del numero degli studi esistenti, è del tutto evidente che – in generale – occorre
prestare maggiore attenzione ¶{p. 125}all’esame degli aspetti di
stratificazione nell’accesso alle cure in età anziana. Non accedere ai servizi di cura
formali, o accedervi in maniera insufficiente o tardiva, rappresenta non solo un forte
svantaggio per le persone anziane e la rete dei caregivers
informali che si occupano di loro, ma anche un’ennesima forma di svantaggio
sociale che si somma alle fragilità socio-economiche preesistenti.
Una seconda importante indicazione
che emerge dalla revisione qui proposta è che gli istituti demoscopici – pubblici o
privati – così come i gruppi di ricerca, devono aumentare gli sforzi per giungere a
definizioni e operazionalizzazioni condivise dei fenomeni e processi oggetto di
indagine. L’accumulo di evidenza e conoscenza è possibile, infatti, solo all’interno di
un contesto di ricerca in cui i risultati dei diversi studi abbiano un grado di
comparabilità ben più elevato di quello fin qui riscontrato. In questo senso il primo
capitolo di questo volume rappresenta uno sforzo significativo nella direzione
dell’adozione di un quadro teorico e definitorio comune. Allo sforzo definitorio deve
chiaramente seguire anche un maggiore investimento nella raccolta dei dati e
informazioni rilevanti, e nella frequenza con cui questi vengono raccolti.
Infine, terzo punto di attenzione,
le ricerche future su questo tema non potranno prescindere dal considerare nuove
dimensioni di disuguaglianza individuale, ad oggi poco esplorate nella letteratura sulla
stratificazione dell’accesso alle cure ma di crescente rilevanza. Si consideri ad
esempio lo status migratorio, che rappresenta un fattore determinante nel predire i
livelli di salute individuali [Cantu et al. 2013]. In questo senso
è stato evidenziato come gli individui con background migratorio mettano generalmente in
pratica diversi modelli di relazioni intergenerazionali [Albertini e Mantovani 2022],
che a loro volta possono portare a una diversa propensione a ricorrere a forme di cura
formali e informali. Un’altra importante dimensione di stratificazione nell’accesso alle
cure di lungo termine in età anziana è rappresentata dall’accesso alla tecnologia:
soprattutto alla luce del crescente numero e rilevanza di strumenti tecnologici per il
mantenimento e il miglioramento della propria salute e della qualità della propria vita
in età anziana, o anche banalmente per l’accesso alla propria cartella sanitaria e alle
prestazioni sanitarie su prenotazione [Schulz et al.
2015].
¶{p. 126}
Note
[1] Per una discussione sistematica della definizione di caregiver informale utilizzata da diverse fonti di dati e istituzioni internazionali si veda Tur-Sinai et al. [2020].