Avanzare insieme nella società anziana
DOI: 10.1401/9788815413086/c5
Lo studio di Floridi e
colleghi utilizza come dipendente una variabile a diverse classi, con le seguenti
categorie: a) l’aver ricevuto esclusivamente cura informale
almeno una volta a settimana, indipendentemente dal fatto che fosse fornito o meno
da un componente della rete parentale (ad es. partner, figli, amici);
b) l’aver ricevuto esclusivamente cura formale, in forma di
cure domiciliari pagate o comunque professionali; c) l’aver
ricevuto un mix di cure, ovvero una combinazione di cure informali e
formali.
¶{p. 116}
Lo studio di Suanet definisce
una variabile dipendente con le seguenti categorie: a) l’aver
ricevuto regolarmente cure informali da parte di familiari conviventi negli ultimi
12 mesi; b) l’aver ricevuto cure informali da parte di membri
esterni al nucleo familiare convivente; c) l’aver ricevuto cure
formali professionali o comunque pagate presso il proprio domicilio.
Nello studio di Balia e Brau
le variabili dipendenti si riferiscono sia alla probabilità di ricevere cura formale
o informale, che al numero di ore ricevute per le due fonti di cura.
Lo studio di Lallo e colleghe
utilizza tre variabili dicotomiche che indicano: a) l’utilizzo
di servizi sanitari negli ultimi 12 mesi; b) l’utilizzo di
servizi sociali negli ultimi 12 mesi; c) l’utilizzo usuale di
uno o più caregivers privati.
Lo studio di Arlotti e
colleghi utilizza una serie più ampia di variabili dipendenti:
a) la percentuale di accesso ai servizi pubblici di
assistenza domiciliare; b) le ore medie settimanali trascorse
dalla persona che passa più tempo con l’anziano non-autosufficiente, escludendo il
coniuge; c) la percentuale di anziani che si avvale di un
caregiver familiare per più di 20 ore a settimana;
d) la percentuale di anziani che si avvale dell’utilizzo di
un badante.
4. La stratificazione della ricezione di cure di lungo termine secondo il livello di istruzione
Il livello di istruzione
conseguito è la variabile che più frequentemente viene considerata negli studi che
analizzano l’associazione tra status socio-economico e ricezione di aiuto di cura.
Lo studio di Broese Van Groenou e
colleghi evidenzia, al netto della presenza di problemi di salute limitanti nel soggetto
anziano, un gradiente negativo per cui: a un maggior livello di istruzione è associata
una minore probabilità di ricevere cure informali da individui esterni al nucleo
familiare convivente. Un andamento analogo emerge per la probabilità di ricevere cure
formali: anche in questo caso, a un maggior livello di istruzione è associata una minore
probabilità di ricevere cure formali. Gli autori della ricerca suggeriscono che questa
associazione negativa tra istruzione e aiuti di cura ricevuti possa dipendere dal fatto
che gli individui a bassa istruzione possiedono meno ri¶{p. 117}sorse
materiali e sociali a livello individuale, e hanno generalmente uno stato di salute
peggiore. Queste sarebbero le ragioni che li porterebbero a ricorrere più frequentemente
a cure informali e formali.
Il lavoro di Tomassini e colleghi
conferma solo parzialmente i risultati sopra riportati. Se, da un lato, anche in questo
caso risulta che gli anziani altamente istruiti abbiano minori chances di ricevere aiuto
di cura informale da parte di soggetti esterni al nucleo familiare, dall’altro Tommasini
e colleghi trovano anche un’associazione positiva, e statisticamente significativa, tra
la variabile istruzione e le probabilità di ricevere aiuto di cura a pagamento.
Il lavoro di Albertini e Pavolini
considera la probabilità di ricevere aiuto formale, la cui definizione include:
a) l’aiuto professionale, o comunque pagato, ricevuto
dall’esterno della famiglia; b) la permanenza in una casa di riposo
(non vengono quindi distinte le cure ricevute da istituzioni pubbliche e quelle
privatamente acquistate sul mercato). Dai risultati emerge come gli individui con
un’istruzione intermedia presentino maggiori probabilità di ricevere supporto formale,
sia rispetto a quelli con bassa istruzione che a quelli con istruzione elevata, quindi
con un andamento a U rovesciata. Tale risultato è robusto, riconfermandosi per diverse
specificazioni del modello di regressione, anche quando si includono variabili che si
riferiscono al ricevere vari tipi di supporto informale da persone conviventi o esterne
al nucleo convivente. Un andamento a U rovesciata tra istruzione e aiuto formale viene
rilevato pure da Floridi e colleghi, che lo documentano anche per l’aiuto informale;
tuttavia, i coefficienti di regressione riferiti alla variabile istruzione non risultano
essere statisticamente significativi.
Anche il lavoro di Balia e Brau
include l’Italia nell’analisi, ma la considera insieme ad altri otto paesi europei,
senza fornire risultati separati per paese. Nei modelli sviluppati dalle autrici,
vengono considerate due variabili dipendenti, ovvero il numero mensile di ore di cure
formali ricevute (una combinazione di lavoro domestico retribuito e cure
infermieristiche, nursing care) e quello di ore di cure informali
ricevute. Dai risultati emerge che l’istruzione è associata negativamente con il numero
di ore di cure informali ricevute, mentre emerge un’associazione positiva con il numero
di ore ricevute di cure formali, sebbene ¶{p. 118}quest’ultima relazione
non sia statisticamente significativa. Quando la variabile relativa alle ore di cura
formale viene disaggregata, emerge una relazione positiva tra istruzione e ricezione di
ore di cura infermieristica (nursing care), e una relazione
negativa ma non statisticamente significativa con il numero di ore di aiuto domestico
retribuito.
Nel lavoro di Suanet e colleghi,
che utilizza un framework multilivello, l’Italia è considerata
unitamente agli altri paesi inclusi nell’analisi. Lo studio definisce tre variabili
dipendenti: 1) l’aver ricevuto cure informali da individui che vivono all’interno della
famiglia; 2) l’aver ricevuto cure informali da individui che vivono all’esterno della
famiglia; 3) l’aver ricevuto cure formali, o comunque pagate, per la cura personale o
per svolgere compiti domestici che non si riescono a svolgere per via di problemi di
salute. In questo studio la variabile relativa all’istruzione dell’intervistato è
definita utilizzando gli anni trascorsi all’interno del sistema educativo. I risultati
evidenziano che per ogni anno aggiuntivo diminuisce il ricorso esclusivo a cure
informali e aumenta sia quello esclusivo a cure formali, che quello a forme di cura
miste. Va detto però che questi tre coefficienti mostrano valori prossimi allo 0, e
nessuno di essi risulta essere statisticamente significativo.
Nello studio di Lallo e colleghe
viene analizzata l’associazione tra livello di istruzione – distinto in due classi
(bassa, medio-alta) – e l’utilizzo di servizi sanitari, sociali e privati. I modelli
sono stimati separatamente per gli anni 2003 e 2016. I risultati evidenziano come avere
un livello di istruzione medio-alto abbia un’associazione negativa con il ricevere
assistenza sociale e un’associazione positiva con il ricevere assistenza privata. Meno
chiara, invece, è l’associazione che emerge quando si considera il ricorso a servizi
sanitari: in questo caso l’avere un titolo di studio medio-alto ha un’associazione
positiva, ma non statisticamente significativa nel 2003, e una più forte e negativa nel
2016.
Lo studio di Arlotti e colleghi
considera una serie di variabili relative alle cure di lungo termine: 1) l’uso di
servizi pubblici di assistenza domiciliare; 2) la percentuale di anziani che si avvale
di caregivers familiari per più di 20 ore settimanali; 3) la
percentuale di anziani che si avvale del supporto di un o una badante; 4) le ore medie
settimanali passate con l’anziano ¶{p. 119}dalla persona che passa più
ore con lui, escludendo il coniuge. Le evidenze descrittive indicano che gli anziani
laureati fanno meno frequentemente ricorso ai servizi pubblici di assistenza
domiciliare, rispetto agli anziani con livelli di studio più bassi. I soggetti anziani
che non hanno studiato oltre l’obbligo scolastico ricevono invece considerevolmente più
ore di cura da parte del caregiver familiare rispetto a chi è più
istruito. Emerge anche un gradiente positivo nell’utilizzo dei servizi di una badante: i
soggetti più istruiti ricorrono più spesso a questa forma di cura.
5. La stratificazione della ricezione di cure di lungo termine secondo il reddito
Il reddito familiare rappresenta
una proxy importante per misurare il potere di acquisto delle famiglie; si tratta di un
fattore chiave soprattutto rispetto alla possibilità di acquisire servizi di cura sul
mercato (regolare o meno).
Albertini e Pavolini nel loro
lavoro utilizzano la posizione nella distribuzione nazionale del reddito,
operazionalizzata come quintili di reddito, e ne stimano l’associazione con la
probabilità di ricevere aiuto formale. I loro risultati evidenziano un gradiente
positivo: i soggetti con maggiore reddito mostrano probabilità più elevate di ricevere
supporto formale.
Lo studio di Balia e Brau
suggerisce invece che l’associazione tra reddito familiare e ricorso a ore di cura
formale e informale non sia statisticamente significativa, tranne nel caso di ore di
cura infermieristica (nursing care) ricevuta: più alto è il
reddito, maggiore è il numero di ore ricevute di questo tipo di cura formale. Anche
l’approccio utilizzato da Lallo e colleghe, che utilizza come indicatore di status
socio-economico dell’anziano una misura della soddisfazione rispetto alla situazione
economica familiare, non evidenzia alcuna associazione statisticamente significativa con
l’utilizzo di servizi sanitari, sociali e privati.
Nello studio di Arlotti e
colleghi, che considera il reddito netto mensile, emerge un gradiente negativo piuttosto
marcato sia rispetto all’uso di servizi pubblici di assistenza domiciliare che alle ore
medie settimanali passate con il caregiver familiare.
¶{p. 120}È interessante notare che, relativamente alla percentuale di
individui che accedono con grande intensità a un caregiver
familiare (ricorrendo alle sue cure per più di 20 ore settimanali), la vera differenza
emerga fra gli anziani con reddito di oltre 2.000 euro mensili, che ricorrono con scarsa
intensità al caregiver familiare, e quelli con reddito inferiore a
questa soglia. Diversamente, relativamente all’utilizzo della badante emerge un
gradiente positivo: i soggetti a reddito più alto fanno maggiormente ricorso a questa
soluzione.
Nello stesso studio Arlotti e
colleghi considerano l’ultima occupazione svolta dall’anziano: le differenze che
emergono relativamente alla percentuale di utilizzo di servizi pubblici di assistenza
domiciliare sono contenute, ma documentano una maggiore probabilità di utilizzo per chi
era operaio o lavoratore in proprio rispetto a chi era impiegato o lavoratore
qualificato. La stessa differenza tra i due gruppi di occupazioni emerge anche rispetto
alle ore mediamente passate dalla persona che trascorre più ore con l’anziano
non-autosufficiente (a esclusione del coniuge), con i primi due gruppi di occupazioni
sopra citati che fanno registrare valori molto più alti rispetto agli ultimi due. Lo
stesso pattern si ritrova anche quando si analizza la percentuale di individui che si
avvale di un caregiver familiare per più di 20 ore a settimana,
mentre considerando la percentuale di anziani che si avvale dell’utilizzo di una badante
il gradiente è opposto: sono gli impiegati e soprattutto i lavoratori qualificati ad
avvalersi maggiormente di questo tipo di supporto.
6. La stratificazione della ricezione di cure di lungo termine secondo la ricchezza
La dimensione della ricchezza
familiare si sovrappone solo parzialmente con quella del reddito. Se da un lato la
ricchezza finanziaria può rappresentare una sorta di reddito di riserva con cui
acquistare servizi di cura, la ricchezza reale – soprattutto nella forma della proprietà
della casa di residenza – non può essere altrettanto facilmente e velocemente liquidata
per acquistare servizi di cura e, in presenza di politiche basate sulla prova dei mezzi,
può rappresentare addirittura una barriera all’accesso ai servizi di cura forniti da
istituzioni pubbliche.
¶{p. 121}
Note