Cecilia Tomassini, Marco Albertini, Carlo Lallo (a cura di)
Avanzare insieme nella società anziana
DOI: 10.1401/9788815413086/c5
Lo studio di Floridi e colleghi utilizza come dipendente una variabile a diverse classi, con le seguenti categorie: a) l’aver ricevuto esclusivamente cura informale almeno una volta a settimana, indipendentemente dal fatto che fosse fornito o meno da un componente della rete parentale (ad es. partner, figli, amici); b) l’aver ricevuto esclusivamente cura formale, in forma di cure domiciliari pagate o comunque professionali; c) l’aver ricevuto un mix di cure, ovvero una combinazione di cure informali e formali.
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Lo studio di Suanet definisce una variabile dipendente con le seguenti categorie: a) l’aver ricevuto regolarmente cure informali da parte di familiari conviventi negli ultimi 12 mesi; b) l’aver ricevuto cure informali da parte di membri esterni al nucleo familiare convivente; c) l’aver ricevuto cure formali professionali o comunque pagate presso il proprio domicilio.
Nello studio di Balia e Brau le variabili dipendenti si riferiscono sia alla probabilità di ricevere cura formale o informale, che al numero di ore ricevute per le due fonti di cura.
Lo studio di Lallo e colleghe utilizza tre variabili dicotomiche che indicano: a) l’utilizzo di servizi sanitari negli ultimi 12 mesi; b) l’utilizzo di servizi sociali negli ultimi 12 mesi; c) l’utilizzo usuale di uno o più caregivers privati.
Lo studio di Arlotti e colleghi utilizza una serie più ampia di variabili dipendenti: a) la percentuale di accesso ai servizi pubblici di assistenza domiciliare; b) le ore medie settimanali trascorse dalla persona che passa più tempo con l’anziano non-autosufficiente, escludendo il coniuge; c) la percentuale di anziani che si avvale di un caregiver familiare per più di 20 ore a settimana; d) la percentuale di anziani che si avvale dell’utilizzo di un badante.

4. La stratificazione della ricezione di cure di lungo termine secondo il livello di istruzione

Il livello di istruzione conseguito è la variabile che più frequentemente viene considerata negli studi che analizzano l’associazione tra status socio-economico e ricezione di aiuto di cura.
Lo studio di Broese Van Groenou e colleghi evidenzia, al netto della presenza di problemi di salute limitanti nel soggetto anziano, un gradiente negativo per cui: a un maggior livello di istruzione è associata una minore probabilità di ricevere cure informali da individui esterni al nucleo familiare convivente. Un andamento analogo emerge per la probabilità di ricevere cure formali: anche in questo caso, a un maggior livello di istruzione è associata una minore probabilità di ricevere cure formali. Gli autori della ricerca suggeriscono che questa associazione negativa tra istruzione e aiuti di cura ricevuti possa dipendere dal fatto che gli individui a bassa istruzione possiedono meno ri{p. 117}sorse materiali e sociali a livello individuale, e hanno generalmente uno stato di salute peggiore. Queste sarebbero le ragioni che li porterebbero a ricorrere più frequentemente a cure informali e formali.
Il lavoro di Tomassini e colleghi conferma solo parzialmente i risultati sopra riportati. Se, da un lato, anche in questo caso risulta che gli anziani altamente istruiti abbiano minori chances di ricevere aiuto di cura informale da parte di soggetti esterni al nucleo familiare, dall’altro Tommasini e colleghi trovano anche un’associazione positiva, e statisticamente significativa, tra la variabile istruzione e le probabilità di ricevere aiuto di cura a pagamento.
Il lavoro di Albertini e Pavolini considera la probabilità di ricevere aiuto formale, la cui definizione include: a) l’aiuto professionale, o comunque pagato, ricevuto dall’esterno della famiglia; b) la permanenza in una casa di riposo (non vengono quindi distinte le cure ricevute da istituzioni pubbliche e quelle privatamente acquistate sul mercato). Dai risultati emerge come gli individui con un’istruzione intermedia presentino maggiori probabilità di ricevere supporto formale, sia rispetto a quelli con bassa istruzione che a quelli con istruzione elevata, quindi con un andamento a U rovesciata. Tale risultato è robusto, riconfermandosi per diverse specificazioni del modello di regressione, anche quando si includono variabili che si riferiscono al ricevere vari tipi di supporto informale da persone conviventi o esterne al nucleo convivente. Un andamento a U rovesciata tra istruzione e aiuto formale viene rilevato pure da Floridi e colleghi, che lo documentano anche per l’aiuto informale; tuttavia, i coefficienti di regressione riferiti alla variabile istruzione non risultano essere statisticamente significativi.
Anche il lavoro di Balia e Brau include l’Italia nell’analisi, ma la considera insieme ad altri otto paesi europei, senza fornire risultati separati per paese. Nei modelli sviluppati dalle autrici, vengono considerate due variabili dipendenti, ovvero il numero mensile di ore di cure formali ricevute (una combinazione di lavoro domestico retribuito e cure infermieristiche, nursing care) e quello di ore di cure informali ricevute. Dai risultati emerge che l’istruzione è associata negativamente con il numero di ore di cure informali ricevute, mentre emerge un’associazione positiva con il numero di ore ricevute di cure formali, sebbene {p. 118}quest’ultima relazione non sia statisticamente significativa. Quando la variabile relativa alle ore di cura formale viene disaggregata, emerge una relazione positiva tra istruzione e ricezione di ore di cura infermieristica (nursing care), e una relazione negativa ma non statisticamente significativa con il numero di ore di aiuto domestico retribuito.
Nel lavoro di Suanet e colleghi, che utilizza un framework multilivello, l’Italia è considerata unitamente agli altri paesi inclusi nell’analisi. Lo studio definisce tre variabili dipendenti: 1) l’aver ricevuto cure informali da individui che vivono all’interno della famiglia; 2) l’aver ricevuto cure informali da individui che vivono all’esterno della famiglia; 3) l’aver ricevuto cure formali, o comunque pagate, per la cura personale o per svolgere compiti domestici che non si riescono a svolgere per via di problemi di salute. In questo studio la variabile relativa all’istruzione dell’intervistato è definita utilizzando gli anni trascorsi all’interno del sistema educativo. I risultati evidenziano che per ogni anno aggiuntivo diminuisce il ricorso esclusivo a cure informali e aumenta sia quello esclusivo a cure formali, che quello a forme di cura miste. Va detto però che questi tre coefficienti mostrano valori prossimi allo 0, e nessuno di essi risulta essere statisticamente significativo.
Nello studio di Lallo e colleghe viene analizzata l’associazione tra livello di istruzione – distinto in due classi (bassa, medio-alta) – e l’utilizzo di servizi sanitari, sociali e privati. I modelli sono stimati separatamente per gli anni 2003 e 2016. I risultati evidenziano come avere un livello di istruzione medio-alto abbia un’associazione negativa con il ricevere assistenza sociale e un’associazione positiva con il ricevere assistenza privata. Meno chiara, invece, è l’associazione che emerge quando si considera il ricorso a servizi sanitari: in questo caso l’avere un titolo di studio medio-alto ha un’associazione positiva, ma non statisticamente significativa nel 2003, e una più forte e negativa nel 2016.
Lo studio di Arlotti e colleghi considera una serie di variabili relative alle cure di lungo termine: 1) l’uso di servizi pubblici di assistenza domiciliare; 2) la percentuale di anziani che si avvale di caregivers familiari per più di 20 ore settimanali; 3) la percentuale di anziani che si avvale del supporto di un o una badante; 4) le ore medie settimanali passate con l’anziano {p. 119}dalla persona che passa più ore con lui, escludendo il coniuge. Le evidenze descrittive indicano che gli anziani laureati fanno meno frequentemente ricorso ai servizi pubblici di assistenza domiciliare, rispetto agli anziani con livelli di studio più bassi. I soggetti anziani che non hanno studiato oltre l’obbligo scolastico ricevono invece considerevolmente più ore di cura da parte del caregiver familiare rispetto a chi è più istruito. Emerge anche un gradiente positivo nell’utilizzo dei servizi di una badante: i soggetti più istruiti ricorrono più spesso a questa forma di cura.

5. La stratificazione della ricezione di cure di lungo termine secondo il reddito

Il reddito familiare rappresenta una proxy importante per misurare il potere di acquisto delle famiglie; si tratta di un fattore chiave soprattutto rispetto alla possibilità di acquisire servizi di cura sul mercato (regolare o meno).
Albertini e Pavolini nel loro lavoro utilizzano la posizione nella distribuzione nazionale del reddito, operazionalizzata come quintili di reddito, e ne stimano l’associazione con la probabilità di ricevere aiuto formale. I loro risultati evidenziano un gradiente positivo: i soggetti con maggiore reddito mostrano probabilità più elevate di ricevere supporto formale.
Lo studio di Balia e Brau suggerisce invece che l’associazione tra reddito familiare e ricorso a ore di cura formale e informale non sia statisticamente significativa, tranne nel caso di ore di cura infermieristica (nursing care) ricevuta: più alto è il reddito, maggiore è il numero di ore ricevute di questo tipo di cura formale. Anche l’approccio utilizzato da Lallo e colleghe, che utilizza come indicatore di status socio-economico dell’anziano una misura della soddisfazione rispetto alla situazione economica familiare, non evidenzia alcuna associazione statisticamente significativa con l’utilizzo di servizi sanitari, sociali e privati.
Nello studio di Arlotti e colleghi, che considera il reddito netto mensile, emerge un gradiente negativo piuttosto marcato sia rispetto all’uso di servizi pubblici di assistenza domiciliare che alle ore medie settimanali passate con il caregiver familiare. {p. 120}È interessante notare che, relativamente alla percentuale di individui che accedono con grande intensità a un caregiver familiare (ricorrendo alle sue cure per più di 20 ore settimanali), la vera differenza emerga fra gli anziani con reddito di oltre 2.000 euro mensili, che ricorrono con scarsa intensità al caregiver familiare, e quelli con reddito inferiore a questa soglia. Diversamente, relativamente all’utilizzo della badante emerge un gradiente positivo: i soggetti a reddito più alto fanno maggiormente ricorso a questa soluzione.
Nello stesso studio Arlotti e colleghi considerano l’ultima occupazione svolta dall’anziano: le differenze che emergono relativamente alla percentuale di utilizzo di servizi pubblici di assistenza domiciliare sono contenute, ma documentano una maggiore probabilità di utilizzo per chi era operaio o lavoratore in proprio rispetto a chi era impiegato o lavoratore qualificato. La stessa differenza tra i due gruppi di occupazioni emerge anche rispetto alle ore mediamente passate dalla persona che trascorre più ore con l’anziano non-autosufficiente (a esclusione del coniuge), con i primi due gruppi di occupazioni sopra citati che fanno registrare valori molto più alti rispetto agli ultimi due. Lo stesso pattern si ritrova anche quando si analizza la percentuale di individui che si avvale di un caregiver familiare per più di 20 ore a settimana, mentre considerando la percentuale di anziani che si avvale dell’utilizzo di una badante il gradiente è opposto: sono gli impiegati e soprattutto i lavoratori qualificati ad avvalersi maggiormente di questo tipo di supporto.

6. La stratificazione della ricezione di cure di lungo termine secondo la ricchezza

La dimensione della ricchezza familiare si sovrappone solo parzialmente con quella del reddito. Se da un lato la ricchezza finanziaria può rappresentare una sorta di reddito di riserva con cui acquistare servizi di cura, la ricchezza reale – soprattutto nella forma della proprietà della casa di residenza – non può essere altrettanto facilmente e velocemente liquidata per acquistare servizi di cura e, in presenza di politiche basate sulla prova dei mezzi, può rappresentare addirittura una barriera all’accesso ai servizi di cura forniti da istituzioni pubbliche.
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Note