Avanzare insieme nella società anziana
DOI: 10.1401/9788815413086/c8
Sul piano pratico le considerazioni
sin qui svolte conducono a ritenere che: a) quella di anziano è
nozione elastica che non si presta a essere ingabbiata in categorie normative mediante
la determinazione di un’età aprioristicamente considerata, in quanto «il confine
dell’età senile è un confine mobile» [Dalbrenta 2022] segnato da opzioni
politico-culturali [Perlingieri
¶{p. 170}2020b]; b)
la semplice senescenza, quale «espressione di un aspetto fisiologico della vita umana»
[Stanzione 1999, 119], non può giustificare in alcun modo – in assenza di una condizione
patologica – arbitrarie limitazioni all’esercizio dei diritti.
3. La condizione giuridica di vulnerabilità dell’anziano
Si è soliti accomunare alla persona
anziana la condizione di vulnerabilità. Appare dunque necessario verificare cosa debba
intendersi, sul piano giuridico, con l’aggettivo «vulnerabile» e se possa ritenersi
vulnerabile la persona anziana. Sul piano qualificatorio, ai fini della definizione del
concetto di vulnerabilità, le fonti non giungono in soccorso all’interprete che voglia
circoscriverne il contenuto. Si afferma comunemente che la persona sia, in quanto essere
umano, ontologicamente vulnerabile poiché è dell’essere umano la naturale propensione
alla fragilità e alla debolezza. Ciononostante il concetto di vulnerabilità, in
considerazione delle sue molteplici sfaccettature, sfugge all’essere ingabbiato in
strette maglie definitorie. Esso, quando riferito alla persona, rimanda inevitabilmente
a una condizione esistenziale di svantaggio o di precarietà, determinata potenzialmente
da fattori eterogenei, che reclama un intervento volto a prevenire e/o rimediare alle
sue conseguenze. Vulnerabile è dunque un termine valutativo e il suo significato può
essere precisato soltanto in base a giudizi di valore
[13]
. Vi sono circostanze nelle quali la persona umana versa in uno stato di
permanente vulnerabilità tanto per ragioni endogene (si pensi ai pazienti in stato
vegetativo permanente), quanto per ragioni esogene, quando detta condizione venga ad
esempio determinata da ragioni sociali, politiche o economiche, che generano
emarginazione (si pensi ai perseguitati per ragioni religiose). In tale prospettiva la
nozione di vulnerabilità riferita alla persona sfugge a ogni aprioristico incasellamento
o classificazione: essa è nozione aperta
[14]
.
L’elaborazione di un concetto di
vulnerabilità, in grado di assumere valore giuridico, non può prescindere dalla
peculiare ¶{p. 171}condizione nella quale viene a trovarsi la persona
umana, per la quale necessita di particolare protezione
[15]
. Sul piano pratico, la principale difficoltà risiede nello stabilire, in un
dato momento storico, quali siano le situazioni che determinano una condizione di
vulnerabilità riferibile alla persona [cfr. Lipari 2018].
Sul piano dell’ordinamento interno,
diverse sono le norme che nella Costituzione tengono conto di situazioni specifiche
assimilabili, se non sovrapponibili, alla condizione di vulnerabilità. Si pensi ad
esempio all’art. 32, comma 1, Cost. in materia di cure gratuite nei confronti degli
indigenti o all’art. 24, comma 3, Cost. in materia di garanzia per i non abbienti di
accedere alla giustizia. Più in generale, è il supremo principio di uguaglianza di cui
all’art. 3 Cost. – quale espressione compiuta del principio di tutela della persona di
cui all’art. 2 Cost. – a individuare potenziali condizioni di vulnerabilità foriere di
esclusione, marginalizzazione e discriminazioni (sesso, età, razza, lingua, religione,
opinioni politiche, condizioni personali e sociali) [Perlingieri 2020a; Stanzione 2009].
Al silenzio del legislatore – al quale deve attribuirsi la volontà di una precisa scelta
volta a garantire la piena flessibilità alla nozione sì demandando alla peculiarità del
momento giurisdizionale la qualificazione dei soggetti da ritenersi di volta in volta
vulnerabili – si contrappone l’ampio utilizzo del concetto di vulnerabilità nella
giurisprudenza costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo
[16]
. Questa ha progressivamente identificato categorie di soggetti vulnerabili,
fondando le distinzioni ora in considerazioni di qualità personali intrinseche o
situazioni di contesto
¶{p. 172}(minori stranieri, donne vittime di violenza domestica, persone
sottoposte a detenzione), ora in relazione a gruppi di persone vulnerabili (quali ad es.
disabili mentali, richiedenti asilo)
[17]
. Ne deriva che lo stato di vulnerabilità è legato indissolubilmente a una
condizione personale di bisogno dettata da una circostanza concreta. Sul piano
ricostruttivo la sua definizione «deve essere costruita non come uno status costante e
invariabile, ma come una condizione dipendente da contesti relazionali e caratteristiche
personali del soggetto che emergono in particolari situazioni e che in tali situazioni
richiedono tutela» [Cascione 2022, 157]. In riferimento agli anziani e alla
vulnerabilità che potenzialmente conforma la loro condizione, si ritiene doversi
respingere qualsivoglia presunzione legale di vulnerabilità.
4. I soggetti preposti alla cura degli anziani: il caso del caregiver
Quando si parla di assistenza agli
anziani non si può prescindere dalla conformazione valoriale del nostro sistema
ordinamentale, fondato sui principi del personalismo e del solidarismo (art. 2 Cost.)
che conducono a ritenere, come rilevato in dottrina, che «aver cura dell’altro fa parte
del concetto stesso di persona» [Perlingieri 2020a]. Ciononostante, quando un soggetto
diverso dall’operatore giuridico si interroghi sui soggetti preposti alla cura
dell’anziano potrebbe ragionevolmente indirizzarsi all’interno della famiglia, magari
verso i figli (cfr. supra, capp. 1 e 3). Invero, come la dottrina
ha da tempo rilevato e ammonito [Jemolo 1981], nel nostro ordinamento manca una norma
che riconosca all’interno del rapporto di filiazione un’adeguata risposta al fisiologico
bisogno del genitore anziano di ricevere assistenza. Alla prole, infatti, di là dalla
previsione di cui all’art. 433 c.c. che prevede un’obbligazione alimentare allorquando
il genitore manchi di mezzi sufficienti a soddisfare i bisogni primari e versi, dunque,
in uno stato di bisogno, non può imporsi dovere alcuno di cura dei genitori anziani
[Bugetti 2013]. Lo stesso non vale per il coniuge il quale, ai sensi
¶{p. 173}dell’art. 143 c.c., è onerato dell’obbligo di assistenza morale
e materiale. Cercando di rinvenire altrove soggetti preposti alla cura della persona
anziana può rilevarsi che il tema dell’assistenza personale agli anziani è stato, di
recente, oggetto di diversi disegni di legge in relazione al riconoscimento della figura
del caregiver (letteralmente «prestatore di cura») [Morotti 2022].
La legge 27 dicembre 2017, n. 205, all’art. 1, comma 255, lo ha espressamente definito
come
la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o sia titolare di indennità di accompagnamento.
A seconda che l’assistenza sia
prestata da un familiare o da un assistente familiare (badante)
[18]
si distingue ulteriormente tra caregiver professionale
e familiare.
Tale ultima figura è stata
richiamata anche dalla recente legge 23 marzo 2023, n. 33, recante Deleghe al
Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane ispirata
alla dignità e alla promozione delle condizioni di vita, di cura e di assistenza delle
persone anziane, con la quale il governo è delegato ad adottare, entro il 31 gennaio
2024, uno o più decreti legislativi. In proposito, e senza spingersi oltre, giova
rilevare che la norma citata si pone l’inopportuno sforzo di procedere a definire la
«persona anziana» (art. 3) e la «popolazione anziana non-autosufficiente che tenga conto
dell’età anagrafica» (art. 4, n. 2, lett.
a).¶{p. 174}
5. L’istituto dell’amministrazione di sostegno
La legge 9 gennaio 2004, n. 6,
riformando la rubrica del Titolo XII del Libro primo del codice civile Delle
misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di
autonomia, ha introdotto nel capo I l’istituto dell’amministrazione di
sostegno, quale strumento giuridico adottabile in favore della persona che, per effetto
d’infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trovi nell’impossibilità,
anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi (art. 404 c.c.) ed è
andata ad affiancarsi, senza sostituirle, alle misure di protezione delle persone
fisiche già vigenti: l’inabilitazione e l’interdizione. Scopo e merito principali della
novella sono stati quelli di tutelare «con la minore limitazione possibile della
capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento
delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o
permanente» [Bonilini e Chizzini 2007, 71] in modo da salvaguardare l’autonomia, o
meglio l’autodeterminazione, del soggetto destinatario della misura in riferimento
all’esercizio di situazioni anche a carattere non patrimoniale. In tale prospettiva
l’amministrazione di sostegno si orienta, mediante la sua flessibilità, alla massima
conservazione della capacità d’agire della persona, diversamente dall’istituto
dell’interdizione giudiziale che sovente è stato tacciato di illegittimità
costituzionale in relazione agli artt. 2 e 3 Cost.
[19]
. L’amministrazione di sostegno si è presentata fin da subito agli occhi
degli interpreti come un modello di protezione che, ispirato dall’esigenza e dalla
possibilità di poter ponderare volta per volta i concreti bisogni del beneficiario della
misura di protezione, potendo il giudice, in ogni momento, modificare le decisioni
assunte con il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno (art. 407 c.c.), fosse
da privilegiare. Ciononostante, da quella che doveva prospettarsi come una misura
disegnata sulla persona del beneficiario è risultata divenire nel tempo una misura
standardizzata nel contenuto dei decreti di nomina degli amministratori.
L’art. 404 c.c. non contempla la
persona anziana quale possibile beneficiario della misura. Ciò concorre a supportare la
tesi per la quale giammai «l’età senile», astrattamente e
isolata
¶{p. 175}mente considerata, possa costituire una causa che incida
sulla privazione di autonomia della persona [Bonilini 2005]. In questa prospettiva l’età
anziana mai potrà determinare alcuna forma d’incapacità. La flessibilità che
caratterizza la figura dell’amministratore di sostegno, seppur concepita per rispondere
a diverse esigenze di protezione, può nella pratica determinare situazioni di
particolare incertezza che, in assenza di precise disposizioni nel decreto di nomina,
richiedono un’analisi meticolosa e approfondita.
Note
[13] Questa è la prospettiva, che si condivide, di Giova [2022, 168].
[14] Sulla nozione dal punto di vista sanitario e di assistenza vedi supra, capitolo 1.
[15] Così testualmente Giova [2022].
[16] Una recente ricerca ha rilevato che la Corte «parla di “vulnerability” (come condizione) all’interno di circa 500 casi (64 decisi in Grande Camera); [...] inoltre, in 137 casi i giudici di Strasburgo parlano anche di “particular vulnerability”. I casi poi diventano circa 1.400 con riferimento all’aggettivo “vulnerable” che la Corte utilizza nelle seguenti forme: vulnerable (senza sostantivo); vulnerable position; vulnerable persons (o person); vulnerable situation; vulnerable group (o groups); vulnerable individuals; vulnerable members; vulnerable people; vulnerable state; vulnerable population; vulnerable prisoners; vulnerable victims; vulnerable child (o children); vulnerable women (o woman); vulnerable patients; vulnerable families (o family); vulnerable social groups; vulnerable condition; vulnerable prisoner; vulnerable old people; vulnerable girl; vulnerable communities (o community); vulnerable mother (o mothers); vulnerable employees; vulnerable youth». Vedi Lorubbio [2020].
[17] In questi termini e per la casistica si veda Scarlatti [2021, 8 ss., spec. note 11 e 12].
[18] Cfr. La figura del «caregiver» nell’ordinamento italiano, Dossier n. 141, in «camera.it».
[19] Per tutti, vedi Perlingieri [2014, 153].