Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c1
Ma ciò che qui più interessa è che
la memoria poneva con forza il tema delle implicazioni geopolitiche legate alla presenza
napoletana a Parigi. L’autore, infatti, partiva dalla constatazione che se certo la
«mémorable journée de Marengo amena une partie des déportés dans l’Italie», era
altrettanto innegabile che, anche dopo il ritorno repubblicano nella penisola, «une
grande partie resta dans la France et dans l’Italie et y reste toujours à narrer le
roman de ses exploits, des services importantes rendus à la France, de la perte de sa
fortune». Tuttavia, i problemi sorgevano sia perché gli esuli rimasti oltralpe non
sempre erano repubblicani sinceri e rifugiati integerrimi (tant’è che egli stesso
dichiarava di essere «témoin de la dilapidation et des vols
¶{p. 63}commis par tous ces soi-disant patriotes»), sia perché molti
altri napoletani continuavano ad arrivare.
Pertanto, nella prima parte della
memoria l’anonimo redattore tornava sulle vicende della crudele repressione monarchica
avviatasi a Napoli nell’estate 1799 per sostenere che la grande affluenza oltralpe di
quegli anni era dovuta alla politica della Corte borbonica. A suo giudizio, questa, dopo
aver «sacrifié à son aveugle vengeance le bien de son pays et celui de toute l’Europe en
la privant des lumières des philosophes les plus célèbres», aveva deciso di porre fine a
quella carneficina «par une déportation générale de tous les innocents amis de la
France». Ciò nonostante, a giungere oltralpe non erano stati solo i patrioti sottrattisi
alla cattura, ma anche spie e criminali fatti infiltrare dal governo borbonico, il
quale, ispirato dal primo ministro John Acton, aveva adottato «le système de perfide du
Cabinet de Saint James» consistente nel compromettere «le salut de l’Europe en cherchant
d’introduire dans la France des pestiférés». Tale sistema, mediante una «combinaison
perfide d’innocents et de criminels, d’amis de la France et de vils espions», si
proponeva il raggiungimento di un triplice obiettivo: innanzitutto, «répandre dans la
France une partie d’espions et d’émissaires»; poi, «infecter la France par cette peste
morale des sujets les plus infestes et pernicieux à la tranquillité publique»; infine,
favorire oltralpe «l’indignation du gouvernement et l’exécration de la société», i quali
avrebbero così riversato la loro avversione «sur l’entière masse des patriotes innocentes»
[68]
. Ne conseguiva che proprio l’emigrazione meridionale rimasta oltralpe
costituiva uno dei principali strumenti con cui, anche in anni di sostanziale
tranquillità sul fronte militare, da Londra si provava a continuare la lotta contro il
nemico francese.
La seconda parte della memoria,
invece, suggeriva i «moyens de purger la ville de Paris des sujets les plus dangereux»,
nella convinzione che l’esistenza di un «système d’espionnage de la cour
Sicule-anglaise» avesse implicazioni tali da imporre cambiamenti radicali anche nella
gestione dei flussi ¶{p. 64}migratori. Di qui, la citata proposta
d’istituire un funzionario di polizia che affiancasse (e controllasse) l’ambasciatore
Del Gallo al fine di ridurre il potere da questi assunto nel rilascio dei passaporti per
i nuovi arrivati, ma anche, per quanto riguarda coloro i quali erano già da diversi anni
in Francia, il suggerimento di un decreto che imponesse la partenza a tutti coloro i
quali risultassero sprovvisti dei necessari permessi di residenza
[69]
. Veniva così ripresa l’idea di un provvedimento coercitivo che intimasse la
partenza di gran parte dei rifugiati residenti a Parigi: idea che già durante il 1800
era stata lanciata dal prefetto Dubois, ma che questa volta, agli albori della stagione
imperiale, assumeva connotati ancor più rilevanti, perché nasceva non più nelle sale
delle istituzioni parigine, bensì fra le file della stessa emigrazione napoletana.
Insomma, la presenza a Parigi degli
esuli del 1799 si prolungava anche oltre la fine della Repubblica consolare, diventando
sempre più complessa. Da un lato, l’esilio politico andava a intrecciarsi con forme di
mobilità più svariate che rendevano finanche una determinata comunità nazionale meno
coesa rispetto a quanto avvenuto nella fase dell’emergenza iniziale. Cosicché,
differenze (e divergenze) che in un primo momento erano state nascoste in nome di una
comune situazione di necessità emergevano con il prolungarsi di un soggiorno all’estero
nel quale il diverso grado d’integrazione con la società ospitante e le disparate
caratteristiche dei suoi protagonisti facevano sì che non tutti si trovassero a vivere
la stessa condizione. Dall’altro lato, ancora, la gestione di tali rifugiati si
configurava non più come la conseguenza delle sole decisioni delle autorità di polizia
in merito a fattori di ordine pubblico, ma come il risultato di più ampie questioni
geopolitiche. Ad ogni modo, nel bene come nel male, la coordinazione di questa mobilità
non poteva prescindere dall’evoluzione del più generale scenario europeo e dalle
relazioni che la Francia napoleonica andava stabilendo non solo con i governi
peninsulari direttamente interessati al fenomeno, ma anche con le altre grandi potenze
del continente.