Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/p1
Ma soprattutto, la scelta di soffermarsi sulla Francia nasce dalla volontà di indagare la portata che tale contatto ebbe nella costruzione dell’identità italiana, da un lato consentendo a cittadini di diversa provenienza di conoscersi
{p. 21}reciprocamente, dall’altro rendendo possibile la loro aspirazione a dare visibilità europea a fattori identitari, quali lingua e letteratura, considerati centrali nella difesa di un sentimento nazionale. E così, in profondo disaccordo con quegli approcci che rifiutando il concetto stesso di «identità nazionale» non fanno altro che mortificare storia e cultura di un dato paese finendo con il ragionare – seppur declinandole in maniera negativa – con quelle stesse categorie che intenderebbero contestare [18]
, qui si è voluto prospettare una visione per cui il senso di identità italiana molto deve al contatto avvenuto in e con un paese straniero, quale appunto la Francia rivoluzionario-napoleonica.
Inoltre, un simile approccio ha consentito di riflettere su tale contatto non più dalla prospettiva della penisola (e dunque delle scelte politiche effettuate dalle istituzioni francesi nei territori sotto l’egemonia napoleonica) [19]
, ma dal punto di vista dell’Esagono, in tal modo restituendo centralità al ruolo che anche gli italiani in Francia svolsero nel rafforzare tale legame. Anche per questo, contrariamente a quanto fatto da altri studiosi [20]
, l’oggetto d’analisi di questa ricerca non è l’operato dei collaboratori napoleonici sul fronte italiano, ma l’azione degli italiani nella Francia del tempo, con la conseguenza che la figura di Napoleone, per quanto comunque imprescindibile, rimane fondamentalmente sullo sfondo, perché più che sulla sua vita e sulle sue decisioni, qui interessa focalizzare l’attenzione sul contesto politico-istituzionale nel quale tali uomini si trovarono a operare.
Un’altra ripercussione metodologica ha poi riguardato la periodizzazione, questione quanto mai cruciale per qualsiasi ricerca storica. Infatti, si è proceduto ad analizzare un arco cronologico piuttosto esteso rispetto agli standard degli {p. 22}studi sulla mobilità politica, i quali di solito riguardano una fase molto più contingentata. Ma soprattutto, si è scelto di comprendere tale periodo fra due estremi che, almeno apparentemente, possono sembrare contraddittori e discutibili. Contraddittori, perché si assume come punto di partenza un anno, il 1802, in cui l’esilio avviato qualche tempo prima appare ormai terminato e molti di quei protagonisti risultano rientrati nella penisola, mentre come tappa conclusiva è individuato quel 1821 in cui, invece, una nuova ondata di flussi migratori verso l’estero prende corpo per permettere ai protagonisti dei falliti tentativi costituzionali di Napoli e Torino di sottrarsi agli arresti. Discutibili, poi, perché le date in questione sono solitamente considerate l’una (la prima) piuttosto marginale e l’altra (la seconda) estranea a quella «stagione napoleonica» che pur è qui evocata.
Eppure, è sembrato che questi due estremi siano non solo coerenti con quanto detto sin qui in merito a una nuova lettura dell’esilio, ma anche funzionali a un più approfondito studio su tale generazione. Da un lato, infatti, l’individuazione del 1802 quale data a quo è dovuta alla volontà di valorizzare la stabilizzazione napoleonica della penisola sancita in quell’anno dai Comizi di Lione e a cui corrispose in Francia, seppur sul terreno più prettamente privato, un identico processo per quegli uomini che, anche dopo Marengo, preferirono prolungare la propria permanenza all’estero. Dall’altro lato, con la scelta di considerare quale termine ad quem il 1821 ci si propone di valutare le conseguenze del contatto con la Francia napoleonica anche al di là della svolta sancita dalla caduta dell’Impero, tenendo tuttavia fuori da tale studio l’esilio politico che prese corpo in quell’anno. Un esilio, quello legato alle «rivoluzioni costituzionali» di Napoli e Torino, del resto già ampiamente analizzato dai lavori con cui Agostino Bistarelli e Maurizio Isabella hanno meritoriamente sottolineato l’impatto di tali circolazioni nel più ampio processo risorgimentale [21]
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Dunque, l’impostazione di questo lavoro risulta la conseguenza dell’approccio generazionale di cui si è detto, il quale ha portato a concentrare gli sforzi sugli uomini attivi nei decenni a cavallo fra i due secoli senza inoltrarsi oltremodo nelle posteriori vicende ottocentesche. Al tempo stesso, la scelta di continuare lo studio anche al di là del crollo napoleonico molto deve alla suggestione – non poco maturata su impulso della magistrale lezione di Adolfo Omodeo sulla continuità delle istanze rivoluzionarie finanche nella Restaurazione [22]
– secondo cui la portata della cesura sancita dalla svolta del 1815 merita di essere non poco sfumata, in quanto essa non segnò la fine dell’impegno degli uomini attivi sino a quel momento, né tantomeno implicò la brusca interruzione di una mobilità ideologicamente connotata.
Per tutte queste ragioni, la periodizzazione individuata aspira, tra le altre cose, a contribuire a colmare un vuoto storiografico inerente la mobilità politica dei primi due decenni dell’Ottocento: vuoto creato dalla circostanza per cui se da un lato gli studi sull’esilio rivoluzionario si sono fermati ai primissimi anni del secolo, dall’altro le numerose ricerche sulle circolazioni ottocentesche hanno quasi sempre preso avvio dalla Restaurazione. Da questo punto di vista, non si nasconde una certa incomprensione nei confronti di un’impostazione, quella di gran parte degli studi sull’esilio ottocentesco, che, pur meritoriamente indagando il ruolo della mobilità nel secolo degli State-building, poco o nulla ha riconosciuto alla stagione rivoluzionario-napoleonica, finendo con l’estromettere dalle proprie indagini un periodo che, anche solo da un punto di vista cronologico, pur dovrebbe far parte di quel secolo (e che ancor più meriterebbe di esser considerato tale sul piano politico-culturale).
Al tempo stesso, è doveroso confessare il debito contratto con quei lavori che per primi hanno indagato l’emigrazione politica italiana in Francia del 1799. Si fa riferimento all’opera con cui, proprio nell’anno del bicentenario di quelle {p. 24}vicende, Mariasilvia Tatti ha ricostruito il lavoro culturale svolto oltralpe dagli esuli italiani nel breve arco cronologico dei 12 mesi compresi fra la primavera del crollo delle «Repubbliche sorelle» e il giugno della vittoria francese di Marengo [23]
. E si fa riferimento, ancor più, all’evocata ricostruzione che, già nel 1992, sull’esulato italiano ha fornito Anna Maria Rao. Una ricerca, questa, che ha costituito un imprescindibile punto di partenza per il lavoro che qui si presenta, non solo per la dettagliata ricostruzione di tempi e modalità dell’arrivo in Francia dei patrioti peninsulari, ma soprattutto perché in conclusione suggeriva la possibilità di concepire quell’esilio quale tappa decisiva di un cruciale ripensamento – tanto esistenziale, quanto politico – messo in atto dai suoi protagonisti:
Molti finirono col trovare nell’esilio, in via temporanea o definitiva, quelle occasioni di impegno, di carriere aperte ai talenti, che gli stati italiani di antico regime avevano loro negato [...]. Per gli esuli, prevalentemente ma non solo meridionali, che rimasero in Francia, cominciava la storia, ancora in gran parte da esplorare, di un impegno diverso da quello in cui li aveva gettati il vortice della rivoluzione, ma a questo profondamente legato: un impegno che li spingeva a trasferire sul terreno storico e letterario la ricerca e la costruzione di quella identità nazionale che avevano pensato di poter realizzare sul piano politico attraverso la costruzione di uno Stato unitario [24]
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Inoltre, proprio come i due riferimenti cronologici più estremi, anche le date di svolta «interna» si rivelano fondamentalmente legate a ragioni politiche: esse sono, infatti, il 1806 dell’occupazione del Regno di Napoli da parte delle armate imperiali francesi e il 1814 del crollo napoleonico. Anni, questi, che, modificando i più generali assetti geopolitici europei, segnarono trasformazioni importanti anche per {p. 25}l’articolazione della presenza italiana in Francia, in quanto comportarono nel primo caso un considerevole (ma non totale) ritorno in patria dei rifugiati meridionali e nel secondo l’avvio di ulteriori migrazioni politiche in direzione francese.
Ne è conseguita un’organizzazione in tre grandi sessioni, le quali, pur in sostanziale continuità fra loro, riflettono l’evoluzione delle modalità con cui fu vissuto quel soggiorno. Così, a una prima parte che approfondisce i motivi e le caratteristiche della scelta di continuare il soggiorno in Francia nel primo lustro del XIX secolo ne segue una seconda che coincide con gli anni dell’apogeo imperiale e nella quale si analizzano i connotati del consolidamento della presenza italiana. La terza e ultima sessione esamina una fase, quella inauguratasi con il crollo dell’Impero e protrattasi per il primo quinquennio della Restaurazione, nella quale da un lato presero corpo ulteriori circolazioni innescate dal mutato quadro internazionale, dall’altro la mobilità degli albori del secolo trovò modo di stabilizzarsi finanche da un punto di vista giuridico.
Una simile evoluzione trova poi riflesso nelle fonti con cui si è cercato di indagare tali periodi. Nella prima parte i principali strumenti di lavoro sono stati i rapporti della polizia francese, ossia i risultati dell’attenta sorveglianza con cui quest’ultima – spesso supportata dal contributo di spie individuate all’interno degli stessi ambienti italiani – guardò con preoccupazione a tale presenza, la quale del resto non tardò a confermare la fondatezza di quei sospetti. In un secondo momento, l’intensificarsi di attività editoriali da parte di un personale che andava dedicandosi sempre più al lavoro di valorizzazione oltreconfine della propria letteratura nazionale ha fatto sì che testi a stampa di vario genere (dai giornali alle traduzioni, dalle antologie fino ai manuali di grammatica) abbiano costituito il principale strumento di lavoro. E va detto che in tale ricerca un contributo non certo marginale è stato fornito dalle recensioni che di tali testi vennero pubblicate sui fogli coevi per la penna degli stessi protagonisti di quell’emigrazione, a testimonianza di una tendenza – oggi drammaticamente quasi del tutto scomparsa – a condurre la lotta politica anche attraverso
{p. 26}un profondo dibattito culturale, a considerare storia e letteratura come temi e strumenti attraverso i quali elaborare e proporre una propria idea di società, a far sì che le classi dirigenti dialogassero e si scontrassero soprattutto su visioni di politica culturale, in tal modo mostrando una formazione intellettuale e una dedizione allo studio che qui non saranno mai rimpiante abbastanza. Infine, nella parte conclusiva, alle fonti più classiche già citate si sono aggiunti documenti se non del tutto nuovi, di solito poco utilizzati negli studi inerenti la mobilità politica: fra questi, in particolare i dossier di naturalizzazione si sono rivelati strumenti molto utili non solo per effettuare un’analisi socio-quantitativa sulla presenza italiana in Francia in quel dato momento, ma anche per rinvenire notizie altrimenti difficilmente reperibili sul percorso biografico di tali uomini negli anni precedenti.
Note
[18] Il riferimento è a C. Raimo, Contro l’identità italiana, Torino, Einaudi, 2019.
[19] M.P. Donato, D. Armando, M. Cattaneo e J.F. Chauvard (a cura di), Atlante storico dell’Italia rivoluzionaria e napoleonica, Roma, École française de Rome, 2013.
[20] A. Pillepich, Napoléon et les Italiens. République italienne et Royaume d’Italie (1802-1814), Paris, Nouveau monde, 2003.
[21] A. Bistarelli, Gli esuli del Risorgimento, Bologna, Il Mulino, 2011; M. Isabella, Risorgimento in esilio. L’internazionale liberale e l’età delle rivoluzioni, Roma-Bari, Laterza, 2011.
[22] A. Omodeo, Studi sull’età della Restaurazione. La cultura francese nell’età della Restaurazione: aspetti del cattolicesimo della Restaurazione, Torino, Einaudi, 1970.
[23] M. Tatti, Le tempeste della vita. La letteratura degli esuli italiani in Francia nel 1799, Parigi, Champion, 1999. Dell’autrice molto utile è anche Bohème letteraria italiana a Parigi all’inizio dell’Ottocento, in Ead. (a cura di), Italia e Italie. Immagini tra rivoluzione e Restaurazione, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 139-160.
[24] Rao, Esuli, cit., p. 565.