Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/p1
Certo, nel caotico contesto che costringe uomini e donne ad abbandonare il proprio paese per mettersi in salvo all’estero, le difficoltà – tanto di ambientamento, quanto di sostentamento economico – sono tante. Certo, in un simile scenario la continuazione della lotta politica spesso avviene in modalità segrete e attraverso forme associazionistiche clandestine. Ma tutto ciò non esclude che l’esilio possa rivelarsi anche come l’inizio di un nuovo percorso di vita nel quale il diretto interessato decide, pur con tutte le sofferenze del caso, di prolungare la propria residenza nel paese che nel momento delle difficoltà gli ha dato alloggio
{p. 16}e che nel corso del tempo gli ha offerto inedite possibilità di realizzazione.
In sostanza, si vuole provare a esplorare la suggestione per cui l’esilio politico possa al tempo stesso non concludersi, ma finire: non concludersi, perché logisticamente il rifugiato prosegue il proprio soggiorno all’estero senza far rientro in patria; finire, perché nel suo stesso svolgimento tale permanenza si trasforma in altra cosa rispetto a ciò che era stato nella sua fase iniziale. Da una difficile e provvisoria esperienza in un contesto sconosciuto nel quale si è giunti a causa dell’emergenza del momento, essa diventa un prolungato soggiorno condotto su base volontaria, il risultato di un’integrazione talmente riuscita da indurre il diretto interessato a trascorrere nel nuovo paese il resto (o quantomeno una parte consistente) della propria esistenza. E così, quell’iniziale e difficoltoso soggiorno all’estero si trasforma senza interrompersi, evolve nel corso del suo stesso articolarsi, diventa altro ma pur sempre nello stesso luogo, modifica i propri connotati ma senza per forza causare l’abbandono delle istanze che, tempo addietro, erano state alla base del suo avvio.
Al tempo stesso, tale prosecuzione attesta altresì l’incidenza che una simile mobilità riveste per il paese di accoglienza. Gli esuli, infatti, portavano con loro il proprio carico di esperienze e di competenze, il quale spesso si rivelava una vera e propria ricchezza per la società locale [7]
. Cosicché, più in generale, qui si intende invitare a concepire l’arrivo dei flussi migratori in un dato contesto nazionale non come un possibile pericolo per l’ordine pubblico, ma quale fattore di reciproca crescita, quale fonte di scambi e interazioni dagli effetti importanti sulla medio-lunga durata. Ad esempio, la presenza nella Francia napoleonica degli italiani giunti oltralpe nel 1799 ebbe delle ripercussioni non da poco nella conoscenza europea di prosa e poesie italiane, in quanto tali uomini (e fra questi Buttura fu uno dei più {p. 17}attivi) molto operarono nel diffondere – attraverso un lavoro dagli evidenti scopi politici, che mirava a salvaguardare l’identità nazionale su un terreno culturale – il meglio dei grandi autori della storia letteraria della penisola, in primis quel Dante Alighieri la cui riscoperta ottocentesca molto deve proprio agli esuli neoclassici della Parigi napoleonica [8]
.
Tuttavia, preme chiarire che il tema della mobilità politica non è tanto l’oggetto di studio generale di questa ricerca (la quale, dunque, non aspira a ricostruire in senso lato le tappe varie e le epoche diverse dei casi di esilio prolungatisi nel tempo), bensì costituisce una prospettiva particolare con cui si intende approfondire l’operato di una specifica generazione politica, quella avviatasi all’impegno pubblico negli anni della rivoluzione sulla spinta del contatto con le armate repubblicane francesi giunte nella penisola nel 1796. Insomma, più che seguire le diverse traiettorie internazionali di molteplici generazioni di rifugiati ottocenteschi, qui si presenta uno studio maggiormente delineato nella sua estensione temporale e nella sua prospettiva territoriale: si propone, cioè, un’analisi della continuazione di quello specifico esilio che nei drammatici mesi del 1799 aveva portato il personale repubblicano italiano a riparare in Francia. Una simile analisi è effettuata nella convinzione che il lavoro di tali uomini fu ben lungi dall’esaurirsi con il crollo di quelle «Repubbliche sorelle» a cui essi avevano fornito sostegno ed ebbe invece modo di articolarsi, in Italia come in Francia, attraverso un impegno nelle istituzioni napoleoniche e mediante un fermento culturale che meritano sicuramente un’attenzione maggiore rispetto a quanto non sia stato a lungo riconosciuto loro.
Da questo punto di vista, ci si iscrive in una prospettiva storiografica, quella tracciata ormai un quarto di secolo fa da Antonino De Francesco, che si propone di recuperare l’impegno politico di cui fu protagonista il personale rivo{p. 18}luzionario italiano nella stagione napoleonica. Un simile approccio ambisce soprattutto a dimostrare la longevità di questa generazione e, per questa via, a «suggerire altra lettura del Risorgimento, dove l’identità liberale, ancora oggi ostentatamente reputata l’architrave del movimento nazionale, viene non poco incrinata da un cuneo rivoluzionario e latomico, democratico e cospiratorio che sembra invece riassumere l’Ottocento politico d’Italia» [9]
. Insomma, questa ricerca resta essenzialmente un lavoro di storia politica che aspira a contribuire all’analisi non dell’esilio in quanto tale, ma dell’operato che, anche dalla Francia, la prima generazione risorgimentale italiana (quella rivoluzionaria, appunto) riuscì a portare avanti anche in età napoleonica (e oltre).
In questo discorso, altrettanto importanti sono le riflessioni di chi, come Umberto Carpi, ha individuato le origini dell’identità nazionale proprio nel drammatico passaggio che, nei primi anni del XIX secolo, portò i protagonisti di quella generazione a trasformarsi da patrioti a napoleonici (o meglio: da patrioti a patrioti e napoleonici) [10]
. Simili prospettive, infatti, ci sembrano meritevoli di essere applicate anche all’esilio, poco o nulla studiato per la stagione napoleonica come già ricordato a suo tempo da Franco Venturi nella sua monumentale ricostruzione dell’«Italia fuori d’Italia» [11]
. Al riguardo, poi, sul fronte storiografico francese altrettanto decisiva si è rivelata la lezione con cui, prospettando una République des girouettes sorta proprio in quella stagione del Direttorio che coincise con il Triennio in Italia e poi protrattasi addirittura oltre la svolta del 1815, Pierre Serna ha invitato a riconsiderare le continuità dell’azione politica di un’intera classe dirigente che, ben lungi dall’abbandonare le proprie istanze dopo il 18 brumaio, seppe con straordinaria capacità storicistica portare avanti le convinzioni ini{p. 19}ziali adeguandole agli incessanti mutamenti del contesto di riferimento [12]
. A suo giudizio, infatti, per comprendere fino in fondo il portato storico di quegli anni occorre «ne plus focaliser son attention sur la conséquence ultime du phénomène de météorologie politique, lorsque vire la girouette, mais au contraire s’intéresser à la cause de son mouvement» [13]
.
Pertanto, qui si ritiene che queste prospettive meritino di essere impiegate non solo per quei giacobini divenuti funzionari nelle istituzioni dell’Italia napoleonica, ma anche per quei rifugiati che decisero di prolungare la propria permanenza in Francia ben oltre la battaglia di Marengo. La prosecuzione di tale soggiorno, infatti, andò di pari passo con l’evoluzione della loro esperienza politica: e così, non più esuli-rivoluzionari come al momento dell’arrivo, bensì esuli-funzionari (ed esuli-letterati) per il resto della stagione napoleonica, con tutto ciò che tale passaggio significò per loro in termini di attività politica e d’integrazione con la società locale. Insomma, l’impostazione concettuale presentata in apertura nasce dalla volontà storiografica di indagare tale generazione anche e soprattutto da una prospettiva che si estende oltre i confini nazionali e di applicare quindi ai primi due decenni del XIX secolo l’approccio mirante a valorizzare il ruolo assunto nei processi di trasformazione dai condizionamenti reciproci instauratisi fra contesti nazionali diversi [14]
, e in particolare dalle connessioni stimolate dalla mobilità politica [15]
.{p. 20}
Una simile impostazione ha poi comportato non poche ripercussioni metodologiche che hanno a loro volta determinato il contenuto di questo lavoro. Innanzitutto, circa la distribuzione geografica si è deciso – riprendendo una storica suggestione di Alessandro Galante Garrone sulla necessità di porre l’emigrazione italiana ottocentesca in «continuo, minuto riferimento alla situazione politica e sociale della Francia» [16]
– di soffermarsi sullo spostamento nel solo contesto transalpino, con particolare riferimento alla capitale Parigi. Una decisione, questa, che concretamente ha portato a concentrare le ricerche documentarie sugli archivi francesi e che è nata dalla convinzione per cui non sempre le rotte migratorie sono casuali, bensì spesso si rivelano il risultato di scelte effettuate sulla base di valutazioni anch’esse politiche. Nello specifico, il sostegno che durante il Triennio tali uomini fornirono in Italia alle armate francesi avrebbe non solo indotto all’apertura di rotte che ne facilitarono lo spostamento nei territori dell’Esagono, ma anche costituito un punto di forza nel consentire loro di rivendicare oltralpe ospitalità e finanziamenti, così favorendo l’instaurazione di ulteriori réseaux che avrebbero a loro volta posto le basi per il successivo arrivo di altri emigranti. Da questo punto di vista, la ricca ricerca di Delphine Diaz sul ruolo svolto dalla Francia nel corso della prima metà del XIX secolo quale terra di accoglienza di diversi gruppi di rifugiati europei ha fornito informazioni di grande utilità [17]
.
Ma soprattutto, la scelta di soffermarsi sulla Francia nasce dalla volontà di indagare la portata che tale contatto ebbe nella costruzione dell’identità italiana, da un lato consentendo a cittadini di diversa provenienza di conoscersi
{p. 21}reciprocamente, dall’altro rendendo possibile la loro aspirazione a dare visibilità europea a fattori identitari, quali lingua e letteratura, considerati centrali nella difesa di un sentimento nazionale. E così, in profondo disaccordo con quegli approcci che rifiutando il concetto stesso di «identità nazionale» non fanno altro che mortificare storia e cultura di un dato paese finendo con il ragionare – seppur declinandole in maniera negativa – con quelle stesse categorie che intenderebbero contestare [18]
, qui si è voluto prospettare una visione per cui il senso di identità italiana molto deve al contatto avvenuto in e con un paese straniero, quale appunto la Francia rivoluzionario-napoleonica.
Note
[7] Proprio a proposito della Francia dei primi decenni del secolo un esempio significativo è I. Coller, Arab France Islam and the Making of Modern Europe, 1798-1831, Berkeley, University of California Press, 2011.
[8] F. Di Giannatale, Esilio e Risorgimento. Il mito dantesco in Francia nella prima metà dell’Ottocento, in Id. (a cura di), Escludere per governare. L’esilio politico fra Medioevo e Risorgimento, Milano, Mondadori, 2011, pp. 173-194.
[9] A. De Francesco, L’Italia di Bonaparte. Politica, statualità e nazione nella penisola tra due rivoluzioni, 1796-1821, Torino, Utet, 2011, p. XIX.
[10] U. Carpi, Patrioti e napoleonici. Alle origini dell’identità nazionale, Pisa, Edizioni della Normale, 2013.
[11] F. Venturi, L’Italia fuori d’Italia, in R. Romano e C. Vivanti (a cura di), Storia d’Italia, Annali, vol. 8, Dal primo Settecento all’Unità, Torino, Einaudi, 1974, p. 1243.
[12] P. Serna, La République des girouettes: 1789-1815 et au-delà. Une anomalie politique: la France de l’extrême centre, Seyssel, Champ Vallon, 2005.
[13] Ibidem, p. 539.
[14] M. Kaci, A. Karla e A. Lignereux (a cura di), L’âge des révolutions: rebonds transnationaux, numero monografico di «AHRF», 397, 2019; S. Desan, L. Hunt e W.M. Nelson (a cura di), The French Revolution in Global Perspective, Ithaca, Cornell University Press, 2013; A. Forrest e M. Middell (a cura di), The Routledge Companion to the French Revolution in World History, New York, Routledge, 2016. Più inerenti il contesto dell’Europa mediterranea: M. Isabella, Southern Europe in the Age of Revolutions, Princeton, Princeton University Press, 2023; K. Zanou, Transnational Patriotism in the Mediterranean, 1800-1850: Stammering the Nation, Oxford, Oxford University Press, 2018.
[15] M. Isabella e K. Zanou (a cura di), Mediterranean Diasporas. Politics and Ideas in the Long 19th Century, London, Bloomsbury, 2016; J. Polasky, Revolutions without Borders. The Call to Liberty in the Atlantic World, New Haven, Yale University Press, 2015; L. Charrier, K. Rance e F. Spitzl-Dupic (a cura di), Circulations et réseaux transnationaux en Europe (XVIIIe-XXe siècles). Acteurs, pratiques, modèles, Berne, Lang, 2013.
[16] A. Galante Garrone, L’emigrazione politica italiana del Risorgimento, in «Rassegna Storica del Risorgimento», 41, 1954, pp. 223-242.
[17] D. Diaz, Un asile pour tous les peuples? Exilés et réfugiés étrangers en France au cours du premier XIXe siècle, Paris, Armand Colin, 2014.
[18] Il riferimento è a C. Raimo, Contro l’identità italiana, Torino, Einaudi, 2019.